L’Irpinia e il suo patrimonio di diversità

In compagnia di Monica Coluccia, alla scoperta delle differenti espressioni che il fiano può dare a Montefredane e Lapio, due cru valorizzati dall’azienda Villa Raiano

Marco Agnelli

«In Irpinia non ci si passa per caso, ci si arriva». Così afferma Monica Coluccia, giornalista, comunicatrice di vino, storica collaboratrice della guida Duemilavini AIS e soprattutto grande conoscitrice del territorio. E con questa semplice ma fondamentale puntualizzazione, Monica ci consegna la chiave di lettura per comprendere la vitivinicoltura irpina.

L’intera zona è un porto chiuso al traffico, un cuore verde verso il quale ci si dirige solo intenzionalmente. Grazie a questa non immediata accessibilità si è riusciti a preservare l’identità del territorio. I vigneron dell’Irpinia, non a caso, sono pressoché esclusivamente locali, nati e cresciuti lì, a differenza di quanto è invece avvenuto in altre grandi zone vinicole in cui si è assistito all’arrivo di investitori da fuori. Non è facile, per ragioni storiche, avere a disposizione una verticale di un bianco irpino di piccole aziende. L’Irpinia è stata monopolizzata nelle produzioni dalle grandi realtà storiche. All’inizio del nuovo millennio c’è stata una netta inversione di tendenza, una sorta di diaspora. Il prezzo delle uve si è abbassato e tanti produttori che prima conferivano hanno iniziato mettersi in proprio. Per questo motivo non sono in molti ad avere alle spalle un archivio di annate storiche.

Un altro fattore rilevante ai fini della non facile reperibilità di vini con qualche anno alle spalle è la pervicace convinzione che i bianchi irpini siano da bere giovani, preferibilmente nell’anno, su spinta spesso della ristorazione. In base a questo tipo di attitudine, dunque, si tendeva sino a qualche anno fa a vendere tutto il vino subito, senza l’idea di metterlo da parte per sottoporlo alla sfida del tempo. Quella di stasera è dunque un’occasione unica. Avremo infatti modo di misurarci su una verticale addirittura doppia del Fiano di Villa Raiano. Per ciascuna delle annate in degustazione avremo, infatti, il privilegio di indagare i due cru aziendali, Alimata e Ventidue, espressioni rispettivamente del vitigno fiano nei comuni di Montefredane e Lapio.

Per l’azienda Villa Raiano sono presenti in sala i giovani cugini Brunella e Federico Basso. Il progetto iniziale risale al 1996, una sorta di appendice di un’azienda che produceva olio. L’anno della svolta è, invece, il 2009 con la costruzione di una nuova struttura tecnologicamente all’avanguardia e l’arrivo dell’enologo Fortunato Sebastiano. Grazie a lui viene avviato un progetto di valorizzazione del fiano che intende valorizzare le sfumature che territori vicini, ma differenti, possono dare. Ecco, quindi, l’idea di produrre i due cru da Montefredane e Lapio (e con un terzo da San Michele di Serino in arrivo). Le vigne dell’Alimata, a Montefredane, si trovano a 350 metri di altitudine mentre Lapio, dalle cui vigne si produce il Ventidue, si colloca su un pianoro a circa 450 metri.

Monica ColucciaAttraverso tutte le quattro annate in degustazione noteremo che un elemento rimarrà sempre costante: la ripetibilità dei “rapporti di forza” tra Montefredane e Lapio, a prescindere dall’andamento delle singole annate. «Ma tutto questo è in realtà frutto del nostro lavoro di analisi, discussioni ed elucubrazioni di tanti anni di degustazioni», interviene Raffaele Del Franco, storico comunicatore del territorio irpino e attuale consulente per Villa Raiano. «Nessuno è mai venuto a fare rilevamenti nei terreni, studi scientifici o altro. Queste suddivisioni le abbiamo un po’ inventate noi, ma alla fine nel bicchiere funzionano».

E andiamo dunque a scoprirlo!

2013: annata la cui chiave di volta è stata la parte finale della stagione poiché fra settembre e ottobre si sono recuperate alcune avversità dei mesi precedenti. Dopo millesimi caratterizzati da produzioni più contratte, con il 2013 si torna in linea con i volumi storici.

Alimata: un campione perfetto di cosa significa il varietale per il fiano e in particolare quello di Montefredane. Colpisce per un approccio raffinato che arriva quasi a toni balsamici di salvia. Un vino di sei anni che sembra quasi fatto ieri. Nocciola fresca e delicata nuance affumicata tipica delle evoluzioni del vitigno. Pesca bianca e componente floreale che vira sui ricordi di tiglio. In bocca esprime un grande equilibrio, con un suo carattere distintivo. Perfetta rispondenza gusto-olfattiva, presa decisa. Spessore e continuità.

Ventidue: si alza il tono dell’intensità aromatica. La sensazione affumicata già avvertita nel precedente calice lascia qui il passo a una netta percezione salina, quasi vulcanica. Un profilo complessivamente più ficcante, con un carattere dritto tipico di vigna in altitudine.

 

2014: annata difficile, con pioggia costante pressoché in tutte le fasi vegetative e che ha imposto una decisa cernita delle uve.

Alimata: naso erbaceo, marcatamente pirazinico. I fiori non sono dolci, ma richiamano sensazioni più linfatiche, quasi da sauvignon blanc. Pur nella particolarità e nella sofferenza dell’annata, è un vino che non rinuncia al suo essere fiano, seppur equalizzato su toni un po’ più soffusi.

Ventidue: a Lapio, più che a Montefredane si è ottenuto un buon quantitativo di uva anche per questa annata difficoltosa. In questo caso il vino è giocato sulla rarefazione; il profilo olfattivo si fa più affilato, ricorda quasi un kumquat verde. Il carattere del territorio di Lapio esce anche in questa annata. L’assaggio è più ricco e si sente un’acidità che fa capolino nel tessuto salino, sempre dominante.


I vini

2015: annata calda, con un anticipo del germogliamento e delle fasi fenologiche un po’ ovunque. In Irpinia, a dispetto del calore dell’annata, si sono ottenuti, comunque, vini equilibrati.

Alimata: naso decisamente stondato, di vino già pronto, probabilmente più di quanto lo sia quello delle annate precedenti. Ne risulta un fiano più accogliente per il contributo dato dal millesimo caldo, ma complessivamente meno intenso per l’età ancora giovanile di questo vino. Al passaggio gusto-olfattivo si conferma un profilo rotondo ed equilibrato.

Ventidue: è dei due fiano quello che ha sofferto di più l’annata calda, con una vendemmia forzatamente anticipata. In questo caso è stato necessario fare anche una fermentazione malolattica, evento non comune per questo vino. Il risultato finale è un carattere più docile, con sentori che in qualche modo rimandano addirittura a ricordi di elastico e di gomma, note tipicamente figlie di millesimo caldo. In bocca si conferma, nonostante tutto, con una presa gustativa maggiore rispetto all’Alimata. 

2016: annata dall’andamento stagionale molto vario, con una forte gelata a fine aprile. I risultati sono stati eterogenei, ma complessivamente, per il fiano, è stata un’annata di livello più che soddisfacente.

Alimata: delicato sul piano olfattivo, ancora poco decifrabile per via della grande gioventù. Si intuisce comunque una grande finezza, seppur rarefatta. In bocca colpisce la pienezza, caratteristica dominante del fiano nei suoi primi anni di vita. Notevole eleganza, e freschezza ben percepibile, nonostante il fiano di suo non sia un vitigno con un’acidità spiccata.

Ventidue: vendemmiato più precoce rispetto all’Alimata. Per poter coglierne la potenza gustativa e poterlo confrontare con quello di Montefredane si dovrà attendere ancora un po’. In questo momento, infatti, il Fiano di Lapio si esprime più sottovoce rispetto a quello che ci si aspetterebbe da un vino ottenuto in un territorio a maggiore altitudine. Il sorso è comunque caratterizzato da una bella freschezza, integra e vibrante.