“L’Italia degli autoctoni” e il gusto del terroir
Un viaggio per (ri)conoscere i vitigni storici italiani, un confronto “a sorpresa” per scoprirne le tipicità e le differenze
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Degustare un vino significa fotografarne le caratteristiche, memorizzare le sensazioni che regala, collegare le informazioni che il calice offre con la storia, l’evoluzione e il terroir e, infine, tradurlo e interpretarlo per scoprirne le tipicità. La teoria e l’applicazione aiutano certamente nell’ardua impresa, ma capire come i sensi e l’esperienza di Luisito Perazzo riescono a guidare ognuno di noi alla scoperta di cosa stiamo degustando è davvero magico.
L’Italia – per fortuna o sfortuna dei sommelier e wine lovers – è uno dei paesi al mondo maggiormente dotati dal punto di vista ampelografico e offre uno straordinario e quanto mai variegato patrimonio di vitigni (sono quasi 590 le varietà e cloni presenti nel registro nazionale) anche grazie a contaminazioni provenienti dalla cultura fenicia, greca, etrusca, caucasica, spagnola e austro-ungarica. Dai vitigni storici ormai celebrità e pilastri della viticoltura italiana come il nebbiolo e il sangiovese a quelli legati a piccolissimi areali come il lagrein dell’Alto Adige-Sùdtirol e il timorasso dei Colli Tortonesi fino ai vitigni che hanno più volte rischiato l’estinzione come il cutrera in Sicilia e il ribona nelle Marche, l’Italia ha una biodiversità che non ha eguali nelle altre aree vocate del mondo. Ma oltre all’incredibile ventaglio di vitigni autoctoni, la difficoltà di questa “traduzione” dipende anche dal fatto che molti vini sono il risultato di blend, anche di vitigni che non hanno caratteri marcatori facilmente riconoscibili. L’obiettivo è quindi comprendere e memorizzare le caratteristiche dei vini monovarietali, per poi cercare di riconoscerle anche nei vini più complessi nati dalla combinazione di più vitigni italiani o internazionali.
Nei vini monovarietali ci sono diversi fattori da considerare per cercare di (ri)conoscerne i tratti distintivi, a partire dalla valutazione visiva: se il coloredipende direttamente dalle caratteristiche del vitigno, dalla temperatura e durata della fermentazione, dalla quantità di anidride solforosa utilizzata e dal numero di rimontaggi, l’intensità è invece determinata dal terreno. I terreni calcareo-marnosi donano ai vini colori compatti e profondi, profumi intensi e complessi, buona struttura e ricchezza alcolica, bassa acidità e longevità. Quelli calcareo-arenacei contengono sabbia in una discreta percentuale e regalano vini equilibrati dotati di profumi fini, ma non predisposti a lunghissimi invecchiamenti. I terreni marneo-ferruginosi e le terre rosse danno vini di ottima qualità, quelli per lo più argillosi creano vini dai colori molto intensi, dai profumi complessi, ricchi di alcol e predisposti all’invecchiamento, mentre i terreni sabbiosi non producono vini ricchi di colore e struttura. Infine, le terre con composizione acida danno vita a vini dal colore poco intenso, ma vivace, medie sensazioni olfattive, freschezza e leggerezza di alcol e di corpo, mentre i terreni ciottolosi e permeabili danno vini di ottima qualità e alto titolo alcolometrico.
La degustazione, condotta alla cieca, ha permesso di giocare con la memoria, con le sensazioni e con la magia che il vino sa regalare. Abbiamo scavato nella nostra mente per trovare affinità e differenze e provare a “indovinare” il vitigno di partenza o almeno la macro-zona di origine (nord, centro, sud Italia oppure montagna, mare). Quasi mai ce l’abbiamo fatta, perché il vino - si sa - è esperienza, studio, ma anche tanto tanto intuito… e possedere realmente queste tre caratteristiche non è all’ordine del giorno!
Vino 1 – bianco
Giallo paglierino brillante con leggeri riflessi verdolini, potrebbe far pensare a un vino del 2019 passato in legno. Profumo di fiori d’arancio, limone e mela e una leggera nota sulfurea. Il leggero sentore salino al naso potrebbe far pensare a un vino da mare, ma allo stesso tempo si potrebbe trovare in un vino di montagna. Attacco rotondo e magro, sviluppo aromatico e buonissima acidità. Una leggera nota mielosa e il “sale” sono sicuramente sinonimo del terroir di appartenenza, mentre una leggera astringenza può far pensare a una macerazione delle uve o a un’evoluzione significativa, anche se si intuisce che non si tratta di un vino con una prospettiva di invecchiamento.
Date queste caratteristiche è difficile intuire di quale vitigno si tratti: potrebbe essere un greco di Tufo che ha fatto criomacerazione o un fiano di Avellino, anche se in questo caso il vino sarebbe in generale più articolato. In realtà si tratta di un Cirò Bianco DOC 2017 di Tenuta del Conte, greco bianco 100% che ha fatto una macerazione di pochi giorni.
Vino 2 – bianco
Paglierino marcato e denso. Profumo intenso di anice, fiori bianchi, frutta secca e finocchietto, note di sabbia bagnata e agrumi, fiori gialli come il gelsomino e la foglia di pomodoro. Attacco vivo in cui si sentono i fiori e la mandorla tostata, un’ottima acidità e sapidità probabilmente caratteristiche varietali, e assenza di legno. Questo vino potrebbe nascere in territori marini o di montagna allo stesso tempo, su un terreno drenante e calcareo con ghiaia.
Potrebbe essere un Fiano di Avellino o una Passerina, mentre la sapidità eccessiva porta a escludere il Vermentino.
In realtà si tratta di un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 2018 di Fattoria Nannì.
Vino 3 – bianco
Paglierino classico. Profumo di media intensità con note di agrumi, fiori di zagara, mela, una scia minerale e gessosa e sentori di confettura di lime. In bocca la sapidità e la freschezza sono meno evidenti rispetto ai due vini precedenti, anche se i caratteri risultano comuni al secondo.
Escludiamo velocemente Fiano di Avellino, Riesling e Insolia, ma potremmo pensare a vitigni come il timorasso per alcuni tratti o al catarratto per altri. In realtà scopriamo che è un Verdicchio di Matelica 2019 di Collestefano.
Vino 4 – bianco
Il colore oro potrebbe far pensare a una macerazione sulle bucce o a un affinamento in legno. Già nel calice si nota una buona consistenza dettata dall’alcolicità e dalla presenza glicerica. Profumo di frutta secca, fiori di campo e camomilla, con note che rimandano all’evoluzione e alla dolcezza (mela candita, agrumi canditi, mela cotogna, miele, cioccolato bianco e panettone) e alla macchia mediterranea (pensiamo quindi a un vino insulare e non montano). Attacco pieno e quasi “dolce” a tal punto che potremmo pensare a un residuo zuccherino nonostante il vino sia secco. Lo sviluppo alcolico evidenzia gli aromi sentiti al naso e il finale è sapido. Si tratta di un vino difficile da decifrare e riusciamo a fare davvero pochi esempi, in attesa di sapere che è il Sarraiola 2017 di Raika, un Vermentino di Gallura Superiore DOCG, per il 10-20% vendemmia tardiva e un 15% macerato a bassa temperatura per circa 4/5 giorni.
Vino 5 – bianco
Dorato intenso che mostra una buona consistenza. Profumi di agrumi come l’arancia, pera, mela, frutta secca (nocciola), miele, sentori di pietra focaia e roccia che potrebbero far pensare a un affinamento in legno. Attacco vivo con alcolicità ben gestita, ottima acidità, sapidità minerale, sviluppo di buona ampiezza, finale agrumato e minerale di buona persistenza. Potrebbe essere un vino giovane che non si esprime in maniera ottimale al naso, nonostante l’affinamento in legno. Tali sensazioni fanno escludere il Pecorino e forse anche il Timorasso, ma non il Verdicchio dei Castelli di Jesi. In realtà si tratta di un Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2018 di Villa Diamante che ha fatto criomacerazione.
Vino 6 - bianco
Paglierino intenso con riflessi dorati. Profumi di frutta gialla matura come l'ananas, fiori gialli, mandorla, torrone, nocciola e minerali-sulfurei di pietra focaia e una punta di smalto. Attacco rotondo e avvolgente, alcolicità media, sviluppo asciutto e pieno e buona salinità che potrebbe far pensare a un vino dell’Etna come il Carricante. Potrebbe essere un Tocai Friulano che ha come profumo marcatore la mandorla oppure un Biancolella che in evoluzione dà sentori di idrocarburi. Si tratta in realtà di un Colli Tortonesi DOC Timorasso Derthona 2018 di Claudio Mariotto.
Vino 7 - rosso
Rosso rubino non ricco e leggermente trasparente che fa pensare a un Nebbiolo, una Schiava o un Grignolino. Profumo speziato, con note di pepe, resina, cardamomo e coriandolo che lasciano pensare a speziatura da legno più che da vitigno. Sentori di frutta rossa e di grafite che potrebbero rimandare al Frappato o al Nerello Mascalese. Attacco con un buon tannino e alcol che ci fa quindi escludere il Grignolino che è più acidulo, la Schiava e anche la Vernaccia di Serrapetrona. Si tratta in realtà di un Etna Rosso DOC Arcurìa 2016 di Vini Calcagno.
Vino 8 - rosso
Colore rosso rubino. Profumi vegetali/erbacei, con una nota scura e quasi greve di mora e prugna, di spezie come il pepe e di frutta matura che potrebbero rimandare a un Syrah, una Vernaccia o un Terrano del Carso. I sentori di peperone fanno pensare a un passaggio in cemento più che in legno, mentre il tannino ci induce a ipotizzare che il vitigno non abbia raggiunto la piena maturazione fenolica: è un tannino verde, metallico e terroso che deriva direttamente dall’uva. Questo stile ci fa pensare - forse per la prima e ultima volta - a ciò che realmente è: un Colli Orientali del Friuli DOC 2016 di Aquila del Torre, refosco dal peduncolo rosso in purezza.
Vino 9 - rosso
Rosso rubino. Profumi intensi di frutta rossa come fragola e lampone, di fiori freschi come la viola e di spezie come il pepe. Nonostante la buona intensità non riusciamo a evidenziare altri sentori e famiglie di profumi, il che ci induce a ipotizzare che potrebbe essere un Marzemino e a escludere la Barbera, il Ruchè di Castagnole Monferrato, la Lacrima di Morro d’Alba e il Pelaverga di Verduro. Si tratta infatti di un Dolcetto d’Alba DOC 2018 di Giacomo Fenocchio.
Vino 10 - rosso
Colore rubino con riflessi granato, buona consistenza e intensità. Profumi di fiori secchi e appassiti, scorza di agrumi, di arancia e canditi, sentori di affumicato, tabacco e cuoio. Al naso notiamo che è un vino articolato che va verso l’evoluzione. Attacco con un tannino asciutto, ma maturo, dolce, pulito e morbido, sviluppo in cui si sente perfettamente l’arancia sanguinella. La struttura è buona ma non poderosa, il vino è “gentile e lineare”. Potrebbe essere un Nebbiolo con una buona evoluzione o un Sangiovese da Chianti Classico. In realtà è un Brunello di Montalcino DOCG 2012 di Fattoi.
Vino 11 - rosso
Rubino-granato intenso. Profumi di frutta come more, ciliegie e lamponi che si combinano con sentori dolci di vaniglia e cioccolato e anticipano le note balsamiche, di eucalipto e quelle di ossidazione dell’alcol. Attacco tannico, in cui il tannino è assertivo e si bilancia con una buona acidità e con la dolcezza al naso che si ritrova in bocca e che sicuramente proviene dal passaggio in legno. Escludiamo il Sagrantino e lo Schioppettino, mentre potremmo pensare a un Tazzelenghe o a un Montepulciano. Si tratta però di un Aglianico del Vulture DOC Vigna della Corona 2015 di Tenuta le Querce che ha fatto 22 mesi di legno nuovo.
Vino 12 - rosso
Granato intenso. Profumi davvero piacevoli di spezie dolci e orientali come l’incenso, frutta matura scura e cuoio. Il tannino è scuro e assertivo, ricco, prepotente e quasi invadente e potrebbe far pensare a un Sagrantino, un Montepulciano Riserva o un Taurasi Riserva. Effettivamente è un Marche IGT Erasmo 2014 di Maria Pia Castelli realizzato con montepulciano d’Abruzzo in purezza.