La Campania del vino: la vocazione bianchista di Napoli e Salerno

Con Guido Invernizzi come cicerone, i soci di AIS Brescia hanno potuto godere di uno splendido itinerario tra le province di Napoli e Salerno nel primo appuntamento di un master articolato in tre fasi che porterà, alla fine, ad una conoscenza più approfondita dell’areale vitivinicolo campano.

Giovanni Sabaini

Come spesso capita nei territori del sud Italia, la vitivinicoltura in Campania ha una storia millenaria, che affonda le sue radici ai tempi della Magna Grecia (VIII secolo a.C.), quando l’uva arrivò prima a Siracusa, poi a Pithecusa, sull’attuale isola di Ischia, considerata a tutt’oggi come il più antico stanziamento greco in Italia.

Ischia era, però, un’isola vulcanica con una notevole attività sismica e pare fosse proprio questo il motivo che spinse i greci a spostarsi sulla terra ferma, iniziando a civilizzare quella che oggi è la Campania e fondando Neapolis, letteralmente tradotto come “città nuova”, l’attuale Napoli.

Nel corso dei secoli, però, furono diverse le influenze sul territorio campano di molti altri popoli. Gli etruschi, per esempio, lasciarono in eredità ai greci un particolare (e geniale) sistema di allevamento della vite: l’alberata casertana.  Si tratta della creazione di un collegamento tra due pioppi grazie ad alcuni fili di ferro, intorno ai quali la vite può arrampicarsi ad altezze che possono anche arrivare a 20 metri. Questo consentiva di lasciare libero il terreno per la coltivazione di altre piante e di avere libero appoggio per la particolare scala leggerissima e a pioli molto stretti, utilizzata per la vendemmia. Oggi l’alberata casertana viene utilizzata per la coltura dell’asprinio.

Un altro grande contributo all’enogastronomia campana venne dato dai longobardi che arrivarono nella zona del medio salernitano con i bufali, protagonisti oggi della produzione dell’iconica mozzarella, e con il riso, che tanto bene si presta come ingrediente principale di molte preparazioni della cucina partenopea.

Facendo poi un lunghissimo balzo fino alla fine del diciannovesimo secolo, è fondamentale il passaggio storico della fillossera. Mentre quasi tutte le regioni d’Europa venivano devastate dall’invasione di questo piccolo afide, in Campania i suoli vulcanici non ne consentivano la sopravvivenza poiché la totale assenza di argilla nel terreno ne causava il soffocamento.

Così, per molto tempo, le viti a piede franco dei territori campani producevano anche per tutti quei territori che attendevano di poter ricominciare l’attività vitivinicola e per almeno un ventennio tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, la viticoltura campana beneficiò di questa situazione, anche se, va detto, solo in termini quantitativi.

Per decenni, infatti, si è continuato a produrre vino sfuso, senza puntare su produzioni in bottiglia di particolare qualità, fino alla metà degli anni ’80 quando alcune famiglie del territorio decisero di cominciare ad investire pesantemente sulla produzione di qualità. Volendone citare alcune possiamo parlare della famiglia Mastroberardino nella zona di Avellino, la famiglia Mustilli per il Sannio Beneventano e la famiglia Martusciello per l’areale di Napoli.

Da allora molto è cambiato e, nonostante una presenza ancora importante di produzioni di vino sfuso, la strada intrapresa dalle aziende è quella della qualità, un lavoro a tutt’oggi ancora in corso, ma ottimamente supportato dai consorzi. Ad oggi, infatti, la Campania può vantare quattro DOCG, due per vini bianchi (Fiano di Avellino DOCG e Greco di Tufo DOCG) e due per vini rossi (Aglianico del Taburno DOCG e Taurasi DOCG) ed è sulla strada per ottenerne una quinta con la Falanghina del Sannio.

La degustazione

Asprinio d’Aversa DOC Brut Metodo Martinotti Trentapioli 2019 – Salvatore Martusciello
100% asprinio d’Aversa

Il nome di questo vino è quantomai evocativo e riporta alla mente la scala utilizzata per la vendemmia dei grappoli di asprinio sugli impianti ad alberata casertana. Si tratta di un Metodo Charmat lungo, 180 giorni di sosta sui lieviti, che comunque non riescono ad attutire l’acidità sferzante di questo vitigno.

Il colore è paglierino pieno, estremamente luminoso, che non lascia spazio a riflessi d’altro tipo. Il bouquet olfattivo racconta di una parte fruttata incentrata sugli agrumi verdi come il cedro o il lime, con una parte salmastra, quasi sulfurea, certamente figlia dei terreni vulcanici che caratterizzano il territorio. Il sorso è scorrevole, vibrante grazie ad un’acidità presente in notevole quantità che aiuta molto la persistenza, così come notevole è l’apporto salino che aiuta ad asciugare la bocca dopo la deglutizione. Inutile dire che l’abbinamento chiamato da questo vino è con la mozzarella di bufala…

Caprettone  Spumante Metodo Classico Pietrafumante 2020 – Casa Setaro
100% caprettone

Vitigno tipico solo ed esclusivamente dei terreni vesuviani settentrionali del Monte Somma, il caprettone è stato a rischio di estinzione, fino al rinnovato e assolutamente giustificato interesse dei produttori al giorno d’oggi. Casa Setaro coltiva i vigneti di caprettone a 350 metri di altezza nel Parco Nazionale del Vesuvio.

36 mesi sui lieviti traghettano il vino verso un colore paglierino brillante e ad un naso che esprime ricordi di frutta tropicale e pesca gialla matura, in aggiunta ad una bellissima nota di finocchietto su uno sfondo di crosta di pane. La bocca conferma la salinità come trait d’union di questi vini ottenuti da terreni vulcanici, l’acidità è moderata e il sorso può quasi definirsi morbido, grazie anche ad una bollicina estremamente setosa.

Catalanesca del Monte Somma IGP Katà 2022 – Cantine Olivella
100% catalanesca

Anche la catalanesca, come il caprettone, è un vitigno tipo del Vesuvio Monte Somma, non è possibile trovarlo altrove. La forma di allevamento più frequente è ad alberello ed ha una diffusione estremamente limitata, solo 54 ettari.

Il colore dà l’impressione di essere al cospetto di un vino sanissimo, grazie ad un paglierino di ottima trasparenza e vivacità. Il naso ha ricordi fruttati, ma dolci, grazie alle note di albicocca e banana, ma non si nascondono le erbe mediterranee e una piacevole sensazione leggermente affumicata. L’impatto al palato è rotondo, un bell’abbraccio al cavo orale, ma il sorso diventa lungo e saporito grazie ad una bellissima freschezza che rivela note agrumate non così nette all’esame olfattivo.

Falanghina Campi Flegrei DOC Cruna Delago 2021 – La Sibilla
100% falanghina

Nell’assaggio di una falanghina dei Campi Flegrei va innanzitutto ricordato che il vitigno esprime un’acidità inferiore rispetto a quella, per esempio, del beneventano. La particolarità di questo vino va, dunque, cercata in altre caratteristiche.

Il Cruna Delago mostra i muscoli già dall’esame visivo: nel calice, infatti, si presenta di un dorato pieno, vivo, di straordinaria sanità cromatica. L’impatto olfattivo è molto intenso, giocato sulla frutta tropicale matura come il mango e l’ananas, ma che vira in fretta su note di biscotto secco e un retronasale di scorza d’arancia. La bocca conferma l’agrume della percezione retronasale, ma sorprende per la sensazione vellutata che lascia sul palato. Vino che chiude su note leggermente amaricanti, ma solo a seguito di una lunga, lunghissima presenza sapida che contribuisce ad amplificare tutte le percezioni aromatiche.

Ischia DOC Vigna del Lume 2021 – Antonio Mazzella
100% biancolella

Proveniente dalla costa est dell’isola di Ischia, il Vigna del Lume viene prodotto con uve raccolte in leggera surmaturazione. I grappoli vengono pigiati nei locali sotterranei della cantina e il mosto lasciato a riposare dodici ore prima di essere spostato in botti e trasportato in barca sulla terra ferma per essere vinificato.

La surmaturazione potrebbe suggerire la ricerca di una massa colorante importante; invece, il vino si presenta al cospetto del degustatore in abito paglierino splendente. Al naso è un’esplosione di profumi che vanno dall’uva passa alla ginestra, dal miele di castagno alle note speziate di pepe bianco, dalle erbe mediterranee alle note mentolate. Il palato conferma la perfetta corrispondenza naso-bocca e ritorna a richiamare nettamente la vicinanza al mare e il suolo vulcanico, grazie ad una nettissima sapidità.

“Pian di Stio” 2022 – 100% Fiano – Az. San Salvatore 1988

Cilento DOP Pietraincatenata 2021 – Luigi Maffini
100% Fiano

Fiano sì, ma non di Avellino, per entrambi questi vini si parla di Cilento. La curiosità del Cilento è senza dubbio il terreno, il flitsch cilentano (marnoso, argilloso-calcareo), a richiamare il più famoso flitsch, quello friulano. Luigi Moio e Carlo Cotarella, che non hanno bisogno di presentazioni, collaborano alla creazione di questi due vini per i quali, curiosamente, l’areale geografico sembra essere l’unico tratto in comune.

Il Pian di Stio è un vino prodotto con uve coltivate in vigne site a 650 metri di altura e vuole farsi ricordare per freschezza, finezza, eleganza. La struttura c’è, ma il 14% di alcol è più che altro un contributo determinante nella creazione di un’ossatura importante che va a braccetto con una grande freschezza e rende il sorso estremamente equilibrato.

Strada diversa, invece, quella che prende il Pietraincatenata, non fosse altro per il fatto che passa 8 mesi in legno. Già il colore che vira sul dorato tradisce percezioni che si spostano sul tropicale di banana, sul burro fuso e su note mentolate e di spezia dolce. Il legno, però, è ben gestito perché aiuta sì l’arricchimento del bouquet olfattivo, ma in bocca non copre la parte fresca, agrumata e minerale tipica del fiano cilentano.

Furore Bianco DOC Fiorduva 2021 - Marisa Cuomo
30% fenile, 30% ginestra, 40% ripoli

Proveniente da vigne site fino a 550 metri di altitudine, la vendemmia avviene nella terza decade di ottobre, dunque, anche in questo caso si può parlare di surmaturazione delle uve.

Curioso lo spettro cromatico che rivela un cuore paglierino con riflessi che virano talvolta sul verdolino, talvolta sul dorato. Di notevole complessità olfattiva, racconta di percezioni fruttate di pesca gialla, con richiami agrumati di lime, note floreali di tiglio e una leggera percezione di nocciola tostata. La bocca si conferma di estrema eleganza richiamando quella parte di macchia mediterranea che al naso sembrava essere più fugace e lasciandoci con l’impressione di essere di fronte ad un vino perfettamente equilibrato in tutte le sue componenti.

Chiusura con il botto, dunque, per questa prima fase di approfondimento sui vini campani, ma c’è ancora molto, molto altro da raccontare. I ringraziamenti doverosi sono per la delegazione di Brescia, sempre ricca di interessanti iniziative, e per il suo gruppo servizi, perfetto come al solito.

Arrivederci alla prossima puntata!