La montagna e il vino secondo Massimo Zanichelli
Intervistato da Alessandro Franceschini, giornalista e Direttore Responsabile della rivista Viniplus di Lombardia, Massimo Zanichelli ha raccontato la sua ultima opera letteraria, la prima di quattro volumi dedicati agli elementi del vino.
RUBRICHE
Forse una vita non gli basta per riuscire a realizzare la poliedricità della sua indole: Massimo Zanichelli è degustatore professionista, wine writer, documentarista, esperto d’arte, docente, regista e scrittore. E per lui non vale quanto scritto da Fedor Dostoevskij nel suo Delitto e castigo quando sottolineava che «la scrittura è un atto di forza e disgrazia»: a Massimo sembra venire tutto così semplice e naturale. Tanto è vero che questo libro, riservato alla montagna a cui seguiranno altri tre dedicati alla collina, alla pianura e al mare, in origine era nato come libro “essenziale”: in realtà più di cento aziende sono state visitate e più di settecento sono i vini raccontati nel volume.
Difficile privare il lettore dell’unicità di questi contenuti al di là della size, così come difficile è stato “negoziare” con l’editore la pubblicazione di un’opera dall’aspetto decisamente corposo: formato 17x24 cm, 646 pagine e 80 fotografie a colori. In realtà, il libro è come la montagna: di grande corpo e spessore, un vero massiccio che poi si fa leggero e leggiadro al tempo stesso, invogliando alla lettura e alla scoperta. «A suo modo è un romanzo di montagna, frutto di una serie di viaggi, di degustazioni, di verticali, di fotografie», racconta Massimo, «dove l’attività di ricerca e di recupero delle fonti storiche originali è stata importante, non essendomi mai accontentato delle citazioni o di quanto è reperibile in rete». Andare, vedere, toccare, parlare: il digital è veloce ma è il touch a fare la differenza.
Massimo, allievo spirituale di Mario Soldati, ha fatto suo il mantra di Vino al vino: è essenziale e mai derogabile l’andare sul posto, il camminare in mezzo ai vigneti e capire da quale mondo si ricavi quel vino. Veronelli, non da meno, parlava del calpestare le vigne: nell’atto del camminare c’è il senso del fare che è, prima di tutto, un sentimento. Umiltà al cospetto della montagna, tre anni e mezzo di viaggi, racconti, confronti e assaggi. Il libro è dedicato ai territori, di cui i produttori sono gli interpreti: tre regioni, Valle d’Aosta, Trentino e Alto Adige e due straordinari areali, la Valtellina e l’Etna.
Per trasferirci là dove ha trascorso una porzione di vita per la realizzazione di questo libro, Massimo ha scelto di accompagnare il suo racconto proiettando fotografia inedite: l’impatto delle immagini è potente, l’emozione genera movimento. Si parte da Morgex, in Valle d’Aosta, con Arvier, Torrette, Donnas; poi la Valtellina con le sue sottozone Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella; il Trentino con la Val di Non e la Valle di Cembra; l’Alto Adige di Cortaccia, Termeno, Terlano, la Val Venosta e la Valle Isarco: infine l’Etna con il versante Nord ed Est. Tappe e vette, d’anima e di penna, durante le quali l’espressione “viticoltura eroica” cede il passo a quella “estrema”, termine che Massimo trova più affine alla natura dei luoghi. «Sono gli stessi vignaioli a non amare l’aggettivo “eroico” in quanto evoca condizioni di sofferenza e di fatica, rimandando alla guerra, a eventi molto difficili», spiega Massimo. Quasi a dire che fare vino non sia solo un mestiere, ma un atto di tributo alla terra, un atto di gioia e, probabilmente, d’amore.
La viticoltura di montagna è imponente e regala una sensazione emozionale fino alla sublimazione, espressione chiave per Massimo: nella vertigine, nel senso di vuoto legato a precipizi e verticalità c’è il senso del “lasciarsi andare”, seguendo metaforicamente le vigne di montagna che sembrano lentamente scivolare verso il fondovalle, soprattutto quando la disposizione dei filari è a ritocchino. Ben ancorate sono invece alla terra, per via di quei fattori (altitudine, pendenze, terrazzi o gradoni e muri a secco) che testimoniano quanto l’uomo abbia cercato di sfruttare nella verticalità ogni spazio possibile e disponibile. Scale che scendono e che salgono tra sassi, pietre o terra, semplici sentieri o vie sulla roccia: un labirinto in cui perdersi e ritrovarsi. La terra non mente mai. Ed è così che il comune denominatore che unisce donne e uomini che lavorano in montagna è proprio il rapporto con la vigna e con la terra, un legame forte, sinergico, unico ed esclusivo: storia e futuro insieme, l’asse del tempo che segna i giorni del ciclo della vite e della vita biologica dell’essere umano.
La Degustazione
La degustazione dei vini scelti da Massimo e narrati da Alessandro è un viaggio tra parole e immagini: gli assaggi sono rigorosamente alla cieca, nel tentativo di ricercare nel calice quella parte di terroir che contraddistingue i diversi areali. Ciò che sorprende è l’assoluta coerenza in una logica di perfetta corrispondenza tra sensazioni saporifere e tattili del vino e luoghi in cui le uve sono state allevate.
Il primo vino è un Blanc de Morgex et de La Salle di Ermes Pavese annata 2020: note di basilico, menta, mela acerba. Un bianco severo e verticale solo apparentemente leggero, ma in grado di esprimere un timbro tipico di montagna. La texture di questo bianco è affine a filigrane gustative dal taglio acido-salivare ma che in pochi istanti arrivano a riscaldare il palato, con un contrasto tra ghiaccio e fuoco.
Il secondo vino è un Kerner di Pacher Hof 2019: il naso è la pietra, la parete di roccia umida, qualcosa che si accende simile alla pietra focaia. Ricorda la parete rocciosa montana. È un vino che fa un passaggio in legno (botte grande acacia e rovere), che non mina in alcun modo l’autenticità espressiva del vitigno.
Il terzo vino in degustazione è un Riesling di Zanotelli: siamo in Valle di Cembra, che conferisce al calice evidenti tratti montani. Al palato è una lama, con una spiccatissima acidità mai invadente.
Con il quarto vino ci spostiamo a Sud, sul versante Est dell’Etna. Si tratta del Sive Natura di Giuseppe Paoli. Qui il carricante si fa vulcano, con esplosioni olfattive di zolfo e di lava. L’Etna è un territorio netto, distinto, dove “a Montagna” ha un potere seduttivo.
Il penultimo vino si presenta con un colore rosso rubino quasi filigranato e un naso dai toni delicati di piccoli frutti di bosco. Al palato l’ingresso è severo, con un’acidità significativa e l’energia di un ruscello di montagna. Si tratta del Rosso di Valtellina DOC di Dislivelli, che presenta il suo primo vino. 2000 bottiglie per la prima annata 2020, 4000 per la seconda da uve nebbiolo delle Alpi allevate nella Sassella, una zona dura, dove la montagna è più aggettante rispetto ad altre zone. In sala Gian Piero Ioli, il titolare della giovanissima cantina, che racconta con orgoglio le scelte biologiche e biodinamiche percorse per realizzare un vino senza compromessi.
L’ultimo vino è il Torrette Superiore Ostro Cantina Di Barrò vendemmia 2017 da uve petit rouge: il naso è francamente irresistibile, con sentori che vanno dalle bacche selvatiche succose a evidenti note ematiche di montagna. Un finale che comunica un grande senso di assoluto che tracima, per usare le parole tanto amate da Massimo, nel sentimento del sublime.
La serata termina, e probabilmente Massimo vorrebbe raccontare ancora mille cose: il dialogo con Alessandro Franceschini, che lo conosce da molto tempo, ha consentito la messa a fattor comune di esperienze ed emozioni che sono arrivate al cuore dei presenti. Un libro “in salita” che incontrerà il favore del pubblico: come dice sempre Marco Fay, noto produttore valtellinese, basta girare la montagna per trovare la discesa. Alla fine tutto è molto più semplice del previsto.