La scienza nel calice
Meglio i lieviti indigeni o quelli selezionati? Quando un vino sa di Brett, cosa significa? E ancora: tra ossidazione e riduzione, chi la vince? Con Christian Parolini e Roberta Viotti i soci di AIS Monza hanno cercato le risposte in sei calici decisamente anticonvenzionali
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Va subito detto, ci aspettavamo una serata semplice, con alcune nozioni già note ma spiegate meglio, qualche aneddoto divertente e chiarificatore e una degustazione coerente. E invece ci siamo ritrovati in una serata intensa, fitta e densa, una serata che - seppur tra risate e confronti - ha richiesto un’attenzione che neanche all’università, e sei assaggi sorprendenti, utili e illuminanti. Christian Parolini, biotecnologo e degustatore AIS, è riuscito con precisione e carisma, in questo suo esordio sul palco, a catturare e tenere viva l’attenzione, anche quando si è addentrato nei meandri più reconditi della vita dei lieviti; Roberta Viotti, ottima degustatrice, ci ha accompagnato nell’esplorazione dei vini con precisione e leggerezza.
La serata si apre con una formula, “quella formula” C6H12O6 -> 2 C2H5OH + 2 CO2 e un quiz: a che cosa corrisponde?
- un processo metabolico che avviene in anaerobiosi in cui dei microrganismi trasformano il glucosio in energia;
- la fermentazione alcolica;
- la ragione per cui ci svegliamo tutte le mattine;
- tutte le precedenti.
La risposta la conosciamo quasi tutti, soprattutto chi è fresco d’esame, ma il vino è ben più di quella formula, anzi, la specificità di ogni vino è tutto quello che quella formula non ci dice, ed è anche il motivo per cui siamo qui.
Come si fa a capire come il vino è diventato vino, perché esiste la volatile, a cosa servono i solfiti e come intuire la differenza performativa tra un lievito selezionato e un lievito non selezionato?
Proviamo a rispondere partendo dalla reazione metabolica chiave, compiuta dai lieviti.
I lieviti
I lieviti sono funghi unicellulari, con una lunghezza che va dai 2 ai 30-40 micron e una larghezza dagli 1 ai 5 micron, presenti fino a 10 milioni in un millilitro, con un nucleo isolato dal resto della cellula e un sistema endomembranoso e diversi organuli, ognuno con una sua funzione. All'interno dei più importanti di essi, i mitocondri, avviene la respirazione, e per tal motivo possono essere considerati la centrale energetica del lievito, cioè sono l'organulo in cui si produce la maggior parte dell'energia per svolgere tutte le altre funzioni vitali.
Il lievito non pensa, non vola e si protegge. Vive per crescere e riprodursi. Per fare questo ha bisogno di sostanze nutritive, energia e condizioni ambientali favorevoli. L’energia viene immagazzinata sotto forma di ATP, ossia adenosina trifosfato, e viene restituita per svolgere processi vitali. Si crede che l'ATP sia l'energia, in realtà l'ATP è la benzina. Si brucia la benzina per ottenere l'energia, si consuma l'ATP per avere l'energia per poi svolgere le funzioni vitali.
Spesso quando si parla di vino si parla anche di lieviti, a volte in modo impreciso o inconsapevole, come se la domanda “lieviti indigeni o selezionati” valesse più dell’esposizione della vigna o di elementi più controllabili.
La domanda è interessante, ma dice più sulle scelte produttive che sul vino stesso, basti pensare che sono state individuate e catalogate 1500 specie di lieviti, all’interno delle quali ci sono i ceppi e gli individui.
Si è soliti, per quanto le definizioni siano imprecise, dividere i lieviti in:
- selvaggi e indigeni: lieviti che si trovano naturalmente liberi sull’uva e in cantina nel preciso momento in cui si svolge la fermentazione o l’analisi;
- autoctoni: che si ritrovano a distanza di tempo in un luogo preciso a causa di una specifica pressione selettiva e una maggiore “fitness”, intesa come l'idoneità di un organismo all'ambiente, cioè il suo valore adattativo;
- selezionati: individuati per la loro performance, isolati, coltivati e usati per scopi nei quali hanno dimostrato la loro fitness;
- geneticamente modificati: costruiti in laboratorio per ottenere enzimi e proteine ottimizzare per una determinata performance.
Ricordando che la fermentazione alcolica è solo una piccola parte del processo che riguarda l’energia, la reale differenza tra i lieviti sta nella differente capacità di gestire i flussi metabolici e i numerosi prodotti complementari che ne vengono fuori soprattutto a livello di gusto.
Si deve ragionare sui lieviti come fossero uno strumento, e non la causa né l'obiettivo, a dispetto di una comunicazione sul tema che strizza l’occhio al marketing.
Assaggi 1 e 2: lievito selezionato o indigeno?
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico DOC “Castijo” 2019 - Casaleta
La degustazione comincia col botto, con una chicca che ci fa immergere nella scienza del calice: un vino prodotto in due versioni, una con lieviti selezionati, l’altra con lieviti indigeni. Per il resto, le altre variabili sono identiche: stessa annata, stesse uve, medesimi vigna e produttore.
- “Castijo” 2019 con lieviti selezionati
Di colore paglierino, esordio olfattivo su delicate note di frutto a polpa bianca e fiori freschi. Un naso di media intensità, dai rimandi salmastri. Al palato coerente con il naso, ottima sapidità, chiusura su retroaromi di frutto maturo e tendenza amarognola.
- “Castijo” 2019 con lieviti indigeni
Già dal colore il vino pare un altro, tende all’oro, emana una vitalità invitante. Il naso ha una direzione dolce e lattica, è decisamente più intenso e sfaccettato, include un accenno resinoso. Anche qui al palato la sapidità è spiccata, ben intessuta alla freschezza e la chiosa ammandorlata.
Il secondo vino si rivela parente del primo, ma molto più interessante. Con i lieviti indigeni c’è una sorta di apertura alla spontaneità. Un vignaiolo seleziona un lievito per la sua performance, perché vuole essere sicuro del risultato, oppure non lo seleziona spinto da quello che noi stiamo sperimentando in questo momento, cioè il fatto di trovare un'imprevedibilità, magari un maggiore divertimento, una spontaneità.
Brettanomyces / Dekkera Bruxellensis
Anche Brettanomyces è un lievito, un lievito purtroppo caratterizzato da una grande fitness, ha metabolismo fermentativo, come il Cerevisiae, e trasforma alcuni precursori che si trovano sulla buccia in 4-etilfenolo, ovvero “note di stallatico”, o 4-etilguaiacolo, ovvero “note affumicate”.
Oltre ai fenoli volatili, Brettanomyces produce quantitativi considerevoli di acido acetico. Si pensava che questo lievito fosse legato esclusivamente all’uso di legno, si trova in realtà sia in vigna che in cantina sulle attrezzature, su muri e pavimenti oltre che nelle botti.
Quali sono gli indicatori che ci fanno pensare alla presenza di Brett?
Assaggio 3: Only the brave
Vin de France “Men in Bret” 2015 - Bret Brothers
Prodotto in regime biodinamico, da uve gamay provenienti da diversi villaggi del Beaujolais. Una geniale operazione di marketing che ci permette di sentire il malefico lievito all’ennesima potenza, dice quasi sfidandoci Christian Parolini: «praticamente viene imbottigliato il fondo delle botti».
Di colore granato, naso che sa di pellame e affumicato, sotto questi sentori traspare una nota acetica e un frutto acerbo. Al palato è un vino goloso, croccante, un vino che è imperfetto, ma che tale si dichiara. Perché alla fine di questo si tratta, di un vino che non è stato perfezionato. Troviamo la nota affumicata che è molto più forte della sporcizia di stalla ed è un’affumicatura diversa da quella di un vino che ha trascorso tanti anni in barrique, ha un tono più pietroso, monolitico. La bocca è acida e nel retrogusto scorgiamo tracce d'agrume.
Per combattere il propagarsi questo lievito servono temperature basse, ottima igiene in cantina, forte acidità e… l’anidride solforosa, un importante alleato nella produzione dei vini, nonostante il suo ruolo sia spesso dibattuto.
In primis svolge un’importante funzione antisettica, inibendo le funzionalità di microrganismi e batteri anche a basse concentrazioni agendo sui loro enzimi. Questa caratteristica consente di limitare lo sviluppo di microrganismi indesiderati, come i batteri responsabili della fermentazione acetica, favorendo l’azione dei lieviti necessari per una corretta fermentazione.
Un altro problema che l’anidride solforosa aiuta a contrastare è l’ossidazione, causata dalla reazione dell’ossigeno con composti sensibili nel vino. L’anidride solforosa agisce ossidandosi preferenzialmente rispetto ad altre componenti, proteggendo il vino e preservandolo dall’ossidazione chimica. Inoltre inibisce gli enzimi ossidasici proteggendo i vini prima della fermentazione.
Un ulteriore ruolo della SO₂ è la sua capacità di legare chimicamente l’aldeide acetica, un intermedio nella formazione dell’acido acetico. Questo legame previene l’acetificazione del mosto e del vino.
Per contro va considerato che l’anidride solforosa è una sostanza tossica, nell’essere umano, se consumata a dosi elevate può causare danni alla salute nonché gravi reazioni allergiche. E la sua presenza tende a far perdere un po’ di dinamicità al vino.
Assaggi 4, 5 e 6: ossidazione e riduzione
Gli assaggi che seguono si fanno emblema, a livello degustativo, di quando un vino può essere considerato “ridotto” e quando “ossidato”:
- in chimica, con il termine “riduzione” s’intende l’acquisizione di elettroni: per semplificare, un composto si riduce se gli viene fornito idrogeno e tolto ossigeno.
Un ambiente riducente con carenza di ossigeno permette il mantenimento di profumi e aromi varietali, nonché la fragranza olfattiva. Il rischio però è quello di un’eccessiva riduzione, che porta ai tipici odori di cavolo, sensazioni agliacee e di uova marce. Le cause di questi odori legati a un’eccessiva riduzione sono la presenza di troppo zolfo libero come eredità di troppi trattamenti in vigna, una sosta troppo prolungata sulle fecce, la composizione aminoacidica con molti gruppi solfurati nel mosto e altre;
- con il termine “ossidazione” invece ci si riferisce alla cessione di elettroni: un composto, sempre per semplificare, si ossida se gli viene fornito ossigeno e tolto idrogeno.
Ciò che si ossida sono i composti fenolici, e quindi antociani, flavonoli e tannini, l’etanolo ed eventualmente gli altri composti organici. L'ossigeno può ossidare l'etanolo in acetaldeide, una sostanza che conferisce al vino aromi simili alla mela cotta o al solvente, altri aromi tipici legati all’ossidazione sono richiami alla distillazione, al vino cotto, al caramello, alla resina, sensazioni metalliche, note di legno umido e verdura cotta. Le cause dell’ossidazione possono essere chimiche o enzimatiche, i fattori che incidono sono la temperatura, la luce, il pH e altre.
Non si può, inoltre, parlare di ossidazione senza parlare di flor, perché esiste un'ossidazione magica: il mondo degli ossidativi col velo. Si tratta di lieviti che, una volta terminata la fermentazione di base, in botti scolme, creano uno strato sulla superficie del vino andando a creare questo velo di flor.
I lieviti, in questo caso, vengono chiamati lieviti flore. Regalano i tipici profumi di nocciola, mandorla dolce, mela cotta, miele, zafferano, zucchero di canna, caffè tostato.
Sono dei lieviti fermentativi che fanno il vino in maniera efficiente, ma che arrivati al punto di non avere più zucchero da mangiare, in presenza dello stesso vino che hanno creato, invece che sopirsi e rinunciare a vivere, cambiano metabolismo da fermentativo a ossidativo/respiratorio, si arrampicano fino ad arrivare in superficie - dove c’è aria -, e lì costituiscono una barriera.
Vin de France “SO2” 2021 - Domaine de L’R
Da uve cabernet franc che crescono sui terreni ghiaiosi nella Valle della Loira con viticoltura biologica. Il vino è stato fatto in un ambiente riducente e ci permette di identificare con chiarezza i sentori di “vino ridotto” di cui tanto si parla.
Bel colore carminio, avviciniamo il naso e lo storciamo, la prima percezione non è piacevole, sentiamo suggestioni di minestrone, di cavolo. con pazienza emerge un linea vegetale impreziosita da sussurri di cannella. Sotto questi primi macro profumi, dopo un po’, comincia a sentirsi il frutto. Al palato ci pare dapprima astringente, piuttosto acido, amarognolo e un po’ caustico, imparando a conoscerlo sentiamo anche una croccantezza che accompagna un po’ il retro aroma di frutta non matura.
Campania IGT “Clown Oenologue” 2019 - Cantina Giardino
Vigne di circa 75/90 anni di età a 450 metri di altitudine su suolo di tipo arenaceo e argilloso. Coltivazione biologica, vinificazione tramite fermentazione a strati (grappoli diraspati e interi) e macerazione per 28/29 giorni in anfore di terracotta da 200 litri con soli lieviti indigeni, senza aggiunta di solforosa. Affinamento di 12 mesi in anfora aperta.
D’aspetto mite, un po’ spento, un carminio scuro. Il naso è ricco di indicatori legati all’ossidazione, esordisce con cenni di acetone, poi note laccate e smaltate, fiori in appassimento. Bocca dal tannino aguzzo e dall’acidità dirompente. L’ossidazione provocata dal metodo produttivo è evidente soprattutto nei riconoscimenti di solvente, non mancano comunque accenni aromatici legati al varietale. Il vino non ha suscitato il plauso in sala, ma il relatore ce lo suggerisce così come l’ha incontrato, con una funzione gastronomica, magari accompagnato a un piatto d’asino in umido con polenta.
Arbois Pupillin Savagnin "48 mois sous voile" 2018 - Domaine de la Renardière
Savagnin in purezza che cresce in regime biologico su terreni argillosi e calcarei ricchi di marne rosse, nello Jura, fermentazione spontanea in serbatoi di acciaio e tonneau senza controllo della temperatura, affinamento di 48 mesi in tonneau scolmi.
Dorato, con riflessi aranciati. Al naso è incredibile e complesso; si esprime dapprima verso direzioni floreali di ginestra, poi vira verso la tostatura di nocciola, polline, mallo di noce, scorza di limone, cenni di sottobosco. Al palato si presenta fresco, di buon corpo, avvolgente nella sua cremosità, denso e di ottima persistenza su tracce di limone.
Concludiamo in bellezza, storditi dalla quantità di informazioni e ammaliati dagli assaggi - notevoli da tutti i punti di vista. Pare che Dalì una volta abbia detto: L'arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare. Questa sera abbiamo la felice sensazione di aver mischiato un po’ le carte.