La Valtellina e le sue DOCG:
 figli della terra e figli del vento a contrasto

Racconti dalle delegazioni
09 febbraio 2023

La Valtellina e le sue DOCG:
 figli della terra e figli del vento a contrasto

Con la precisione della giornalista e la passione di chi la vive in prima persona, Sara Missaglia ha tenuto una lezione in AIS Monza e Brianza dedicata alla Valtellina: una terra montana che oggi è sugli scudi, ma che a lungo è stata lasciata in ombra.

Florence Reydellet

All’estremo nord della Lombardia, in provincia di Sondrio, vi è una lunga e larga valle parallela al crinale alpino che separa le Alpi Centro-orientali dalle Alpi Sud-orientali. Di nome fa Valtellina. Lì, in tempi remoti, la vitivinicoltura si sviluppò sul versante assolato delle Alpi Retiche alla destra orografica del fiume Adda, secondo un inconsueto asse longitudinale ovest-est. 

Ai giorni nostri sono 820 gli ettari vitati. Si collocano a quote comprese fra i 300 e i 900 metri sopra il livello del mare e si distribuiscono su 2.500 chilometri di muretti a secco; millenaria arte, che dal novembre 2018 è iscritta nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO. Cinque sono le sottozone: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella. Per quanto attiene invece al clima, a differenza di quanto si sarebbe indotti a pensare, esso è mediterraneo, tant’è che ritroviamo addirittura i fichi d’India, appoggiati come tappeti sulla roccia; dal punto di vista litologico, infine, i suoli derivano dalla disgregazione di rocce granitiche. Essi sono sabbiosi per il 70% (perciò molto drenanti), limosi per il 18%, argillosi per meno del 10%, esenti da calcare.

Sara MissagliaSiamo al cospetto di coltivazioni che si svolgono in condizioni di viticoltura eroica. Il CERVIM (Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana) ne ha stabilito le caratteristiche: pendenze superiori al 30%; altitudine oltre i 500 metri s.l.m.; coltivazione su gradoni o terrazze; coltivazione su piccole isole. Così in Valtellina. Vette che vanno oltre i 3.500 metri; rocce e dirupi dove la pendenza oscilla tra il 45% e il 65%; vigneti sino ai 900 metri di quota; e una montagna interamente ridisegnata dall’uomo, fatta a scalini con terrazzamenti a strapiombo delimitati da muretti in pietra a secco. Allevare la vigna necessita dunque di una fatica quattro volte maggiore rispetto agli altri comprensori vitati italiani. A titolo illustrativo, facciamo presente che in Piemonte ci vogliono in media 330 ore di lavoro annuo per ettaro, mentre in Valtellina ne occorrono all’incirca 1.200. 

La cultivar sovrana del comprensorio è la chiavennasca (dal termine dialettale “ciuvinasca”, ossia “più vinosa”), un biotipo di nebbiolo dal colore particolarmente timido. Ha note gustative astringenti - che però non condizionano negativamente la qualità finale del vino - e profumi delicati, specie floreali (violetta di bosco). Rispetto al suo cugino piemontese, richiede un più lungo affinamento e trae particolare vantaggio dal rovere. E come del resto ebbe modo di sottolineare il professor Luigi Moio in una lezione del novembre 2013 al Westin Palace: “il ricorso alla botte migliora la qualità del vino in complessità; favorisce la stabilizzazione del vino; rifinisce l’equilibrio gustativo; e valorizza i profumi”. 

Infine, due sono le denominazioni di origine controllata e garantita:

  • Valtellina Superiore DOCG, un figlio della terra. Viene prodotto nelle cinque sottozone e prevede un periodo di affinamento minimo di 24 mesi, di cui almeno 12 in botti di legno. Va peraltro rammentato che i vini possono essere definiti “riserva” se sottoposti a un periodo di invecchiamento di almeno tre anni.  
  • Sforzato di Valtellina DOCG (o Sfursat di Valtellina), un vino passito rosso secco, figlio del vento. Difatti, nel procedimento di appassimento, la ventilazione riveste un ruolo di importanza. Le uve vengono collocate su graticci di canne sovrapponibili (o in piccoli plateau) in locali asciutti e vengono sottoposte all’azione naturale del vento per circa cento giorni. Il disciplinare di produzione prevede un minimo di 90% di nebbiolo, un massimo di 10% di altri vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia; e almeno 20 mesi di invecchiamento e affinamento in legno e bottiglia. Si fa presente, infine, che si tratta del primo vino passito rosso secco italiano che ha potuto fregiarsi della DOCG, ottenuta nel 2003.

La degustazione

Valtellina Superiore Riserva Valgella DOCG 2018 - Tenuta Scerscé

Rubino trasparente con sfumature rosso granata. Tavolozza olfattiva articolata, di rara pulizia. Le sensazioni che segnano sono il floreale della rosa canina, le erbe di campo, i chiodi di garofano, l’affumicato e l’impronta dell’amarena. Il sorso è morbido per merito di una trama tannica ben equilibrata e un guizzo giovanile restituisce nel retrogusto cenni fruttati. Magnifico, stando alla nostra memoria.  

Valtellina Superiore Riserva DOCG 2017 - Mamete Prevostini

Medesimo il colore, rubino diafano con bagliori granata. Diversa l’impronta stilistica. È austero: non è portato ad alzare la voce sebbene abbia molto da dire. Prevalgono la gelatina di frutti di bosco, la violetta e l’incenso. Entra affilato e accelera al giusto ritmo. Nonostante un’avvertibile nota alcolica in chiusura, non abbiamo motivo alcuno di lamentarci.

Valtellina Superiore Riserva DOCG “Emma” 2016 - La Grazia

Il manto, terso, è rosso rubino. Strepitosa la complessità olfattiva. A seconda della temperatura, i profumi che desta sono del tutto diversi. L’ultima olfazione gioca su toni terziari, con slanci di frutti sotto spirito, liquirizia, tabacco e soffi balsamici. La bocca è tracciata con la precisione di un grafico. È bilanciata e coerente; i tannini già morbidi tengono in equilibrio l’abbrivio fresco, mentre la salinità di fondo scorta un finale dal ricordo ematico. Proprio uno splendore, una vera bellezza valtellinese. 

Sforzato di Valtellina DOCG “Ronco del Picchio” 2018 - Sandro Fay

Ha colore rubino incandescente e il suo naso esprime il nebbiolo nella sua forma più nobile. È complesso, segnato da radice di liquirizia, noce moscata, foglie secche e menta. Sprigiona poi la parte fruttata matura di prugna. E la rosa, che è profumo fine. Al gusto non è da meno: vi sono sapore e corposità, ma molta proporzione. Un vino in verde età degno di ammirazione. Elena, Marco, noi ci congratuliamo.

Sforzato di Valtellina DOCG 2017 - Marino Lanzini

La riduzione offusca per un attimo le sue virtù. Non dice molto, ma dice tutto quel di cui abbiamo bisogno. In principio lievi nuance balsamiche, quindi un corredo di fiori secchi (viola in primis), infine un fruttato di ciliegia sotto spirito. Segue un ingresso in bocca nerboruto, di ostinato calore e dall’acidità ben delineata. Caffè e liquirizia sostengono una buona persistenza. 

Sforzato di Valtellina DOCG 2017 - Triacca

Gode di un bellissimo olfatto, sebbene inizialmente si guardi bene dal raccontarlo. A tutta prima viaggia in silenzio. Poi è severo, con profumi di incenso, torrefazione, liquirizia. L’ossigenazione fa poi emergere tratti più solari di sentori agrumati e fragola. L’assaggio ha il passo del fuoriclasse. Ha la progressione, la trama tannica tosta e precisa, la freschezza. In fondo tornano con esattezza le sensazioni olfattive. Siamo innanzi a un grandissimo vino.