La voce del Pinot Nero nell’interpretazione di Le Fracce

In compagnia di Roberto Gerbino, direttore ed enologo di Le Fracce, e del sommelier Simone Bevilacqua, AIS Monza ha ospitato una serata dedicata al pinot nero con una verticale della storica Riserva prodotta dall’azienda di Mairano di Casteggio.

Sara Passerini

Certe serate sono generose di nozioni e di emozioni e questa, organizzata dalla Delegazione AIS di Monza, è certamente tra quelle. Una serata semplice e profondissima, in cui al racconto di un territorio si è sommata l’umanità di un percorso e insieme, queste due linee, ci hanno condotti alla degustazione di sei incredibili interpretazioni di Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese dell’azienda Le Fracce. Sei Riserve di annate diverse, dalla 2017 alla 2006, raccontate da Roberto Gerbino, direttore ed enologo dell’azienda oltrepadana, e del sommelier, “autoctono” Simone Bevilacqua

Qualche cenno sul territorio

L’Oltrepò Pavese è un territorio ampio, caratterizzato da una massiccia produzione di tante tipologie di vino. Gli ettari vitati sono circa 13.500, distribuiti su 42 comuni: già da questi pochi elementi è chiara la varietà ampelografica, geologica e climatica. Il contesto è collinare e qualificato da quattro vallate: valle Versa, Coppa, Staffora e Scuropasso.

Sulla mappa l’Oltrepò Pavese ha la forma di un grappolo, la viticoltura è presente da moltissimo tempo, ce ne parla già Strabone nel I secolo a.C. citando addirittura botti di grandi dimensioni, lo testimonia Andrea Bacci intorno al 1660 descrivendone i vini come “eccellentissimi”. Il territorio è sempre stato coltivato in modo promiscuo, spesso i filari erano a contorno di altre coltivazioni così da permettere un utilizzo ottimale dello spazio e diversificare la produzione; poi il mercato ha spinto sull’aumento della produzione vitivinicola incentivando la vigna. Oggi sono in atto ancora nuovi cambiamenti grazie a una maggiore sensibilità e attenzione all’ambiente e ai mutamenti climatici in atto.

Il pinot nero: il vitigno che non sopporta alcuna mediocrità

Il pinot nero, si sa, non è un vitigno autoctono della zona, eppure in Oltrepò Pavese vive e prospera da almeno 170 anni, da quando il Conte Augusto Giorgi di Vistarino lo importò e piantò per la prima volta nella sua azienda nel 1850. Il vitigno è certamente tra i più difficili e complicati da coltivare: ama i climi freschi, ha un grappolo piccolo e una struttura compatta e serrata che tende ad accumulare umidità tra gli acini dalla buccia sottile. Nonostante non sia autoctono, il 75% del pinot nero italiano è coltivato proprio in questo territorio con oltre 3.000 ettari. I cloni di pinot nero sul mercato e nel mondo sono circa 180, e diversi sono quelli dedicati esclusivamente alla produzione di basi per la spumantizzazione, da quelli dedicati alla vinificazione in rosso.

Il vigneto è un ecosistema. La filosofia di Le Fracce

Roberto Gerbino ci ammalia dal primo istante col suo piacere di raccontarsi e con la passione che leggiamo in ogni scelta che ci racconta. Esordisce con tre parole: classicità, modernità e orgoglio. L’orgoglio è per il pinot nero, che rappresenta una sfida, la vera relazione con la terra. Poi con qualche pennellata ricorda Fernando Bussolera, che forse non ha bisogno di presentazioni, ma che così dipinto risplende di nuova luce: un uomo attento alla natura che, poco prima di morire crea la Fondazione Bussolera-Branca a cui lascia l’intero patrimonio dettando gli scopi che essa deve perseguire: la conservazione della villa, del parco e delle collezioni, la promozione e la diffusione della conoscenza scientifica rivolta anche alla valorizzazione del patrimonio agricolo dell’Oltrepò Pavese. 

Proprio sulla ricerca scientifica ci fermiamo qualche momento ancora. Roberto Gerbino ci racconta qualche progetto, a partire da quelli sulle malattie delle piante per arrivare a una ricerca sui batteri presenti nella terra che permettono alla pianta di disidratarsi meno e quindi contrastare il problema idrico. A quest’ultimo studio è dedicato un ettaro di vigneto piantato nel 2018 a pinot nero e chardonnay: secondo la sua testimonianza la differenza tra questi filari e gli altri nelle ultime stagioni è stata evidente. Quello che ci descrive con umiltà e competenza è un ambiente in cui convivono la libertà di ricerca e le condizioni economiche, un contesto prezioso, e, aggiungiamo con piacere, i cui frutti sono facilmente palpabili.

Un’altra curiosità che condivide nell’intento di raccontare la Tenuta è quello di considerare il vigneto come un ecosistema, non come una monocoltura: ogni vigneto piantato è una famiglia e non un singolo clone, e come in ogni famiglia ogni componente ha punti di forza e debolezza, e ognuno ha un modo specifico di affrontare i problemi.

La degustazione | Verticale di Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Riserva 

Sei annate diverse dello stesso vino, realizzato nello stesso luogo e dalle stesse persone. Il Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Riserva de le Fracce è prodotto solo nelle annate migliori e ne vengono commercializzate tra le 1.800 e le 2.000 bottiglie. Le uve vengono allevate su due ettari di terreno ciottoloso con dotazione in calcare, situato a 300 metri di altitudine con esposizione est, nel comune di San Biagio di Casteggio. La vendemmia è rigorosamente manuale e viene eseguita da sei persone che conoscono bene le piante e capiscono cosa e quando cogliere. In cantina viene utilizzato ghiaccio secco per preservare aromi e per la purezza del colore; le uve subiscono una lenta macerazione prefermentativa. L’affinamento di 24-30 mesi avviene in legni speciali: barrique con doghe di legni provenienti da foreste diverse, con 36 mesi di stagionatura all’aria.

La verticale ci ha consentito di riflettere sia sull’effetto del tempo sul vino e quindi sulla sua evoluzione, che sul modo in cui l’annata influenza l’evoluzione. 

2017

Annata calda e siccitosa, con una gelata primaverile in aprile che ha causato stress idrico e termico, la vendemmia è cominciata il 16 agosto. Nelle due settimane precedenti alla vendemmia ci sono stati due giorni di pioggia e un’escursione termica di 17°C (20-37°C).

Sfoggia un rubino preciso, impreziosito da una leggiadra trasparenza e dalla fresca luminosità che ritroveremo come costante nella degustazione.
Frutta matura e appena macerata aprono l’esperienza olfattiva che si rivela ricca e decisamente appagante: ribes nero, resine, cenni fumé, e ancora ricordi di cuoio, il tornare della mora, una sfumatura speziata.
Fresco e piuttosto sapido il gusto, la matrice tannica è ben sostenuta, il vino si manifesta muscoloso, fitto nel sapore. La chiosa regala erbe e agrume, e lascia la bocca in attesa di un altro sorso e un altro ancora.

2015

Annata calda e siccitosa, più equilibrata della 2017, presenza di stress idrico soprattutto all’inizio dell’estate, la vendemmia è cominciata il 29 agosto, dopo due settimane tinte da una splendida escursione termica, dai 17 ai 35°C.

Di colore più granato, di trasparenza ancora maggiore, sempre vispo l’aspetto.
Il naso si concede subito, aperto, generoso, caldo. Spicca la frutta secca e disidratata, non c’è quella nota scura e carnosa che ci saremmo aspettati, piuttosto un bel mazzo di fiori secchi appeso a testa in giù, foglie ed erbe essiccate, la scorza d’arancia.
La bocca è equilibrata, oleosa nonostante la freschezza spiccata e il tannino setoso. È una bocca sottile, lunga, saporita, molto comunicativa: ci racconta un’annata calda ma boscosa, parla di licheni.

2013

Vendemmia cominciata il 10 settembre, annata tratteggiata da un’estate calda con un sensibile raffrescamento all’inizio di settembre, condizioni idriche equilibrate. Roberto ci dice che il vino di quest’annata, nonostante tutte le condizioni fossero idonee, in primis la maturazione, è stato un vino complicato. Un vino da sigaro.

Di colore granato, luminoso e dalle seducenti trasparenze. Al naso esordisce floreale ed etereo, un etereo che suggerisce il tempo e la saggezza. Un’aria di tè all’arancia amara ed erbe provenzali, su un basso continuo al ribes nero.
Palato di bilanciata acidità, tannino pungente, ma una pungenza che dice: aspettami!, poi una sensazione quasi di piccantezza, intrigante, giocosa. Retrogusto balsamico.

2011

Stagionalità contraddistinta da un buon equilibrio, assenza di temperature estreme e uva dall’ottima maturità fenolica, vendemmiata a partire dal 25 agosto. Nessuna pioggia nelle settimane precedenti alla raccolta e interessanti escursioni termiche tra notte e giorno.

Manto granato con qualche ricamo color mattone, vino sempre luminoso, vivace e dalla bella trasparenza. Profilo odoroso di bosco, di fiori, di piccoli frutti scuri. Suggestioni di mallo di noce, di felce, di liquirizia, una leggera tostatura che rimanda al caffè. Un sussurro balsamico che invita al sorso.
La bocca è di grande concentrazione, è importante, fresca e sapida; il tannino è molto presente ma non allappa, concorre piuttosto a questa concentrazione quasi tattile. Lunga e tostata la chiusura, dal sapore piacevolissimo.

2009

Annata simile alla 2011, la maturazione leggermente anticipata da vampate di caldo, un’uva quasi “dopata”, difficile da cogliere al momento giusto. La vendemmia è cominciata presto, il 21 agosto, una vendemmia sotto un sole cocente, gestita sì col ghiaccio secco, ma anche con un sapiente utilizzo del graspo.

Solo a guardarlo ci sorprende, il colore è tornato indietro e ringiovanito di cinque anni, nessuna ruga, stessa aggraziata trasparenza, le linee sode della gioventù a sbigottirci.
Un naso carnoso, evoluto, scuro, equilibrato ci dà il benvenuto, manca il fiore che nei vini precedenti era costante, qui la frutta è scura e macerata o in confettura, prugna, mirtillo, ancora di ribes. Balsamicità, scorze di arancia, una nota tartufata sul finale. La costruzione gustativa è distinta da un’eleganza straordinaria, vino fresco e saporito, dalla trama tannica evidente, epilogo sottile e lungo, d’erbe amare.

2006

Torna la vendemmia settembrina, escursione termica incredibile nella decina di giorni che ha preceduto la vendemmia, regime idrico e termico equilibrato (il che significa che la pianta ha avuto l’acqua nelle giuste quantità e nei giusti periodi). Maturazione lenta.

Un granato pieno, luminoso e ancora più trasparente, ha un tono caldo. Un naso dolce, e più terziarizzato, ricco e complesso, affascinante. Un frutto che qui è glassato, l’agrume candito, fiori secchi, una tostatura di cioccolato fondente o nocciolato.
Bocca leggiadra, di classe: un nettare dal gusto deciso e ricchissimo di sfaccettature saporifere e tattili, è ancora fresco, il tannino è serico, il corpo è di estremo equilibrio. La chiusura è generosa e sapiente.

Emozionati dalla percezione di un tempo che scorre e si prende gioco di noi torniamo a uno a uno su tutti i vini, riflettiamo sul denominatore comune - ben presente - che è il vigneto, un vigneto vocato che mantiene una grande qualità anche in annate diverse, nonché una voce unica in grado di raccontare una relazione millenaria: quella tra l’uomo e la natura.