Le Donne del Vino raccontano la Toscana
AIS Milano e l’Associazione Nazionale Le Donne del Vino hanno dedicato un’indimenticabile serata alla Toscana. Accompagnati dalla sommelier Alessandra Marras, un viaggio tra le colline toscane alla ricerca dell’anima femminile di questa terra incantevole.
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L’Associazione Nazionale Le Donne del Vino nasce nel 1988 e riunisce oggi circa 1100 socie, tra produttrici, ristoratrici, enotecarie, sommelier, giornaliste ed esperte di vino in tutta Italia. Accomunate dalla volontà di promuovere il vino, la sua cultura, anche in ottica di sviluppo sostenibile e di salvaguardia dei vitigni autoctoni, le Donne del Vino danno voce al ruolo delle donne nella filiera produttiva enologica e non solo, sia in Italia che all’estero grazie a un network che unisce 11 associazioni internazionali. Tra le tante iniziative ricordate da Paola Rastelli, vice-delegata regione Toscana, una menzione speciale va alle attività di charity e in particolare quelle a favore dei Centri Antiviolenza.
La parola passa alla nostra Alessandra Marras con la quale partiamo alla scoperta della Toscana.
Donna Toscana
Se la dolcezza delle colline vi hanno fatto pensare al corpo femminile e alla sua fecondità, sappiate che questa Regione porta nel suo DNA tracce ben più importanti del suo essere donna. L’Etruria comprendeva, almeno intorno al 750 a.C., tutta la Toscana, più una parte dell’Umbria e del Lazio, e fu la culla di una civiltà incredibilmente avanzata culturalmente. Il ruolo delle donne nella società etrusca era, infatti, decisamente avanguardistico: libere, moderne, alfabetizzate e indipendenti, le donne etrusche avevano voce non solo nella gestione della casa, ma partecipavano attivamente alla vita pubblica.
«Sono forti bevitrici e molto belle da vedere», scrive lo storico greco Teopompo. Donne e vino, un rapporto quasi sacrale che mette in luce due elementi protagonisti dei banchetti e delle relazioni del popolo etrusco. Noti per aver fatto nascere in Italia la coltivazione della vite a partire dalla varietà selvatica (la tecnica della “vite maritata” oggi è ancora in uso per l’asprinio di Aversa), gli Etruschi furono un popolo molto interessato all’enologia: svilupparono la tecnica della vinificazione a caduta e usarono il vino come merce preziosa di scambio.
A ragion veduta possiamo davvero pensare alla Toscana come a una terra femmina, che storicamente aveva visto nella vite e nel vino un asset importante di sviluppo economico e sociale.
Ma è tempo di addentrarsi nella degustazione anche attraverso le voci delle 9 produttrici ospiti e dei loro vini.
La degustazione
Letizia Cesani, insieme alla sorella Marialuisa, gestisce l’azienda agricola di famiglia nata nel 1949 dalle mani dei nonni a San Gimignano. Qui iniziamo a conoscere quella maglia fitta che rappresenta la biodiversità della Toscana: un puzzle di vigneti, ulivi, altre colture e boschi che fanno da scenario a piccoli borghi pieni di fascino. L’azienda conduce 26 ettari di vigneti su tre diverse zone. In una terra rossista per l’87% circa (di cui il 60% è sangiovese) assaggiamo la regina bianca di Toscana: la vernaccia di San Gimignano. I vigneti sono situati a Pancole a circa 250-300 m s.l.m., su terreni argillosi di origine marina ricchi di fossili.
Il calice si presenta vivo e cristallino di un colore paglierino dal piglio giovanile. Un naso floreale, di ginestra, di fiore di cappero e di camomilla, si alterna alle erbe aromatiche, come il timo e la salvia, e a un agrume leggero. Entrata avvolgente al palato, lascia presto spazio alla vera protagonista di questo vino: la sapidità. Con una freschezza contenuta, una sfumatura di nocciola tostata e un retrogusto ammandorlato, questa espressione di Vernaccia di San Gimignano ci regala un’esperienza in cui sapidità e grip tannico si fanno corpo e donano eleganza e profondità.
Elisabetta Geppetti, anche detta la Signora del Morellino, è stata la prima Presidente del Consorzio del Morellino di Scansano, nonché Winemaker of the Year nel 2006. Considerata l’Ambasciatrice del Morellino di Scansano nel mondo, Elisabetta gestisce, con la primogenita Clara, 20 ettari coltivati a ulivi e 80 ettari di vigneti, principalmente su terreni arenario-argillosi, a tratti anche ferrosi, ricchi di scheletro e rocce galestrose. Il vino in degustazione è il primo prodotto e commercializzato dall’azienda.
Di color rubino luminoso, ha un’intensità profonda di frutta, dalla mora al mirtillo in confettura, fino alla scorza di arancia rossa. La bacca di ginepro e l’alloro rinfrescano il sottofondo di profumi di terra, di pepe e di incenso. Al palato si rileva di carattere, con un tannino regale, una frutta integra e croccante e una sapidità aromatica che gioca con la china, le spezie e un leggero tocco di liquirizia finale. Lunghissimo nella persistenza con un richiamo alla scorza di arancia.
«Licet sitis sine siti». Recita così il motto dell’azienda di Miriam Caporali tratto dai Carmina Burana: “è permesso bere (vino) senza avere sete”. Miriam si dedica alla valorizzazione del montepulciano, con una particolare attenzione alla viticoltura sostenibile: dal 2018 l’azienda è, infatti, certificata biologica. Ci troviamo a Montepulciano dove su 22 ettari di vigneto il prugnolo gentile - biotipo di sangiovese - e il canaiolo nero, in particolare, trovano l’habitat ideale per il proprio sviluppo.
Ha un manto di un rosso carminio che già vira al granato, il nostro calice, che colpisce per l’intensità olfattiva. Si veste di spezie, dal pepe nero al chiodo di garofano, e seduce con note di alloro e di viola. Ha una carnosità olfattiva di ciliegia e arancia sanguinella e in bocca rivela, dopo un ingresso morbido, una struttura tannica consistente. La sapidità spiccata determina un finale leggermente amaricante. Un vino molto buono oggi, che saprà donarsi anche in evoluzione.
Clara Monaci ci accompagna a conoscere la sua azienda, Corte dei Venti, che nasce nel 1943 a opera del nonno materno, nel comune di Montalcino. I vigneti si estendono per 5 ettari su terreni collinari, ricchi di argille rosse, calcaree e ferrose, dove i venti soffiano costantemente e le piogge sono scarse. Ai vigneti si aggiungono 3 ettari di uliveto. Degustiamo l’ultima annata in commercio del Rosso di Montalcino, che si presenta di un vivido color rubino, regalando con generosità sentori mentolati di pino silvestre, iris, frutta rossa fresca e qualche erba medicinale di fondo. In bocca non si nega in freschezza, rivelando una giovinezza di tannino con già il seme della rotondità. Ha una lunga e mentolata persistenza che riporta in luce la frutta, dalla melagrana al ribes.
La piccola DOCG Montecucco è stata approvata nel 2011, identificando in quell’area orientale della provincia di Grosseto che si estende quasi fino a Siena, un terroir di produzione rilevante e riconoscibile. Siamo su terreni vulcanici, con vigneti che raggiungono anche i 500 m s.l.m., dove la ventilazione costante e le particolari condizioni pedoclimatiche stanno facendo sorgere (nel 2024 dovrebbero arrivare le firme definitive) un vero e proprio distretto, con già l’85% di produzione biologica e l’impegno a convogliare tutti gli aspetti produttivi (di tutte le colture e degli allevamenti) e i servizi turistici in ottica eco-compatibile e sostenibile. In questo contesto la Tenuta l’Impostino di Patrizia Chiari tenta la scommessa di «imprigionare in ogni bottiglia la forza, la potenza e i profumi di questa terra così unica e vocata alla produzione di grandi rossi».
Il vino in degustazione ha un profilo odoroso che ricorda la prugna disidratata, la rosa rossa appassita, la viola, il sottobosco, il mallo di noce e la china. Al palato si trasforma nel ricordo del cioccolato fondente e del tabacco, con un fondo di liquirizia e violetta. Ha un profilo scuro, questo calice, che però non si nega in sapidità e freschezza. Persistenza lunga con accenni di agrumi, in particolare, chinotto.
Paola Matta è la voce del Castello Vicchiomaggio, l’azienda situata in Greve in Chianti, con cui ripercorriamo anche le principali caratteristiche della denominazione Chianti Classico. La tenuta, dominata dal Castello che risale circa al 1400, si estende per 140 ettari di cui 34 a vigneto, su terreni ricchi di argilla e galestro. In degustazione abbiamo la Gran Selezione Le Bolle, il cui nome deriva dal piccolo borgo confinante con il Castello dove è situato il vigneto. Ha profumi di ciliegia croccante e arancia sanguinella, la rosa fa capolino insieme alle radici e al sottobosco, con punte di pepe rosa. Elegante e fresco, ha un tannino perfettamente incastonato e una persistenza deliziosa che richiama la beva.
Gabriella Spalletti Trivelli ci racconta la storia di Colognole, un’azienda che si estende per 650 ettari a nord-est di Firenze (di cui 27 ettari di vigneto) legata alla famiglia Spalletti Trivelli da circa 130 anni. Siamo nel pieno del Chianti Rufina, la zona incastonata tra Firenze e gli Appennini, dove alle colline si sostituisce un ambiente montano più selvaggio e ricco di zone boschive. Terrælectæ è un marchio del Consorzio Chianti Rufina che, a latere del disciplinare del Chianti, lavora su un’ulteriore selezione dei vini dati da sangiovese in purezza e da singola vigna. In anteprima assaggiamo l’annata 2020 proveniente da una sola botte: ha la fragranza dell’iris e della viola, dei piccoli frutti rossi, ribes e mirtilli, della macchia mediterranea rinfrescata da accenni di eucalipto. Non si nega la scorza di arancia. Il sorso sottolinea l’eleganza quasi rarefatta del naso, con ritorni sul floreale, piccole note ematiche e di grafite. Il tannino è ricamato e la salinità fa da spalla all’innata longevità del Rufina.
Torniamo alla dolcezza delle colline nella zona di Carmignano con Beatrice Contini Bonacossi, che rappresenta la quarta generazione della famiglia custode della Tenuta Capezzana dal 1926. La tenuta, certificata biologica, si estende per 650 ettari, di cui 78 di vigneto e 140 di uliveto. Assaggiamo la miglior selezione di più vigne che crescono su terreni misti (calcare, galestro, alberese). La profondità del colore carminio, dopo le trasparenze dei vini precedenti, ci mostra una prima particolarità del Carmignano. Il finocchietto selvatico pizzica il naso, in prima battuta, e si mischia subito con la mora di gelso, il ribes e la peonia. Ha un sottofondo elegante di cipria e di cioccolato fondente. Gusto coerente con anice e cioccolato amaro di ritorno. Tannino grippante, integro, masticabile. Sapidità spiccata che costruisce la forza e il potenziale per l’invecchiamento.
Suvereto è la zona più a ridosso della costa con la stessa natura morfologica dell’Isola d’Elba. «La DOCG Suvereto si trova circondata da un anfiteatro di colline, che rivelano un cuore di marmo rosso e rosa, con componenti ferrose importanti», esordisce così Annalisa Rossi, per sintetizzare una delle caratteristiche della sua terra che dà anche un’impronta importante ai vini. Annalisa ha portato in degustazione l’anteprima 2021 di Okenio, quale espressione massima del territorio di Suvereto. Noi scopriamo un vino profondo, dall’anima dolce e seducente: amarena selvatica, fiore di peonia scura e una leggera nota fumé – classica in questo territorio – quasi di pietra focaia. Al palato non nasconde la sua potenza e la sua giovinezza, ma con un’integrità strutturata e succosa.
La serata volge al termine e noi, oltre all’esperienza gustativa, portiamo a casa la consapevolezza che per colmare il gap di genere (attualmente pari a 162 anni per raggiungere la parità politica con gli uomini) potremmo ripartire dagli Etruschi.