Lo berrò cantando, lo canterò bevendo

Racconti dalle delegazioni
12 novembre 2025

Lo berrò cantando, lo canterò bevendo

Accompagnati da Antonio Erba, Delegato di AIS Monza e Brianza, andiamo alla scoperta della Rías Baixas e del suo vitigno più importante: l’albariño. Un viaggio fatto di immagini, racconti, musiche e sapori, risate… e otto notevoli espressioni della sferzante acidità marina racchiusa in ogni assaggio.

Sara Passerini

Bisogna ammetterlo, Antonio Erba ci ha sorpresi e ammaliati regalandoci una serata dolce e nostalgica, divertente, snella, interessante e buona! Una serata che è trascorsa come ascoltando il rumore delle onde, con piacere, rilassatezza, e con un’ironia che più volte nel tempo trascorso insieme ha scatenato plauso e sincero divertimento. La zona che ha scelto di farci conoscere e degustare è quella di Rías Baixas, nella Galizia spagnola, e il vitigno principe attraverso il quale ci ha condotti su quelle maestose rive d’oceano è l’albariño. La serata si è aperta con le note di una canzone, Memoria da noite, brano di Luar na Lubre, e con una sequenza di immagini che ci ha subito portati via da Monza e immersi nel racconto.

Albariño: identità, storia e territorio

L’albariño non è solo un vitigno: in Galizia è un vero e proprio simbolo culturale, tanto da aver ispirato poeti e canzoni popolari, scrive il poeta Ramon Cabanillas: Albariño, oro della terra, sole che accende gli amori, che illumina il cammino e fa dimenticare i dolori. Lo berrò cantando, lo canterò bevendo

Dal punto di vista viticolo, l’albariño rappresenta oltre il 96% della superficie vitata della DO Rías Baixas. Si tratta di una varietà vigorosa, dal germogliamento precoce, caratterizzata da acini piccoli e buccia spessa: caratteristiche fondamentali per resistere al clima estremamente umido della regione, una delle aree più piovose d’Europa. La Galizia, infatti, sebbene faccia parte della Spagna, culturalmente e climaticamente è un mondo a sé stante, una regione di matrice celtica. 

Le origini dell’albariño sono poco chiare, alcuni lo collegano al Reno, immaginando sia giunto nel medioevo dall’area tedesca; altri ipotizzano che siano stati i pellegrini diretti a Santiago de Compostela a introdurlo lungo il Cammino, portando con sé barbatelle da piantare. Secondo un’altra tradizione, furono i monaci di Cluny, trasferitisi in Galizia, a diffondere la varietà. Le più recenti analisi genetiche indicano invece che l’albariño sia un vitigno autoctono, coltivato in Galizia da oltre un millennio. La sua diffusione, oggi, non si ferma alla Galizia: è presente anche in Portogallo, con espressioni leggermente più calde e morbide, e a partire dagli anni ’90 ha conquistato i mercati internazionali, in particolare gli Stati Uniti, fino ad approdare nei nuovi mondi del vino come Uruguay, Francia e Australia.

Il sistema tradizionale di coltivazione della Rías Baixas è l’emparrado, cioè la pergola sostenuta da pali di granito. Questa struttura rispondeva a esigenze pratiche: le vigne venivano piantate nei giardini di casa, sopra gli orti, in modo da ottimizzare lo spazio.
La pergola permette inoltre un’ottima ventilazione dei grappoli, fondamentale in un clima umido, riducendo il rischio di muffe e marciumi. Una curiosità: il granito viene usato nel vigneto così come viene usato praticamente per tutto: case, chiese, balconi, croci votive (cruzeiros), granai sopraelevati (hórreos).

Le aziende moderne preferiscono invece la spalliera, più adatta alla gestione meccanizzata e alle nuove esigenze produttive. Entrambi i sistemi convivono ancora oggi: la pergola come simbolo della tradizione, la spalliera come strumento di innovazione. Questa differenza produttiva non è l’unica nella storia e nell’interpretazione di questo vitigno e di questo vino: l’albariño degli anni Ottanta era caratterizzato da acidità altissime (anche 12-13 g/l), dà vini quasi “limonosi”, scheletrici e pungenti. Oggi i valori si attestano tra 6,5 e 7,5 g/l, mantenendo una pungente freschezza ma con più equilibrio, a questo proposito Antonio racconta che per i tradizionalisti la malolattica è un tabù assoluto, mentre per i produttori più innovativi è uno strumento utile per rendere i vini più adatti al gusto internazionale; anche l’uso della barrique e l’affinamento prolungato sulle fecce fini diventano scelte che distinguono i vini destinati al mercato locale (più freschi, essenziali, diretti) da quelli orientati all’export (più complessi, strutturati e rotondi).

Sebbene l’albariño domini il panorama e la degustazione, nella DO Rías Baixas sono coltivate anche altre uve, seppure in percentuali minime:

loureira (circa 0,8%), dal profilo balsamico e aromatico, usata esclusivamente in blend per la sua delicatezza; treixadura (0,6%), presente soprattutto nella parte meridionale, capace di apportare note agrumate e speziate; caíño blanco (0,9%), varietà tardiva, adatta ai suoli scistosi del sud. Altre uve minori come godello, torrontés e doña blanca, più diffuse in denominazioni vicine.

Territorio e denominazioni

La Galizia è suddivisa in quattro province principali (A Coruña, Lugo, Pontevedra e Ourense) e ospita diverse denominazioni di origine. Tra queste, la più importante è Rías Baixas, nata nel 1988 e articolata in cinque sottozone: Val do Salnés, la culla storica dell’albariño, con suoli granitici; O Rosal e Condado do Tea, nella parte meridionale, con terreni alluvionali e più caldi; Soutomaior, oggi quasi scomparsa come produzione autonoma; Ribeira do Ulla, creata più recentemente per soddisfare la crescente domanda.

Le rias, dalle quali prende il nome la denominazione, sono estuari fluviali che si insinuano nell’Atlantico, simili ai fiordi ma a livello del mare. Questo paesaggio, modellato dall’incontro tra acqua dolce e salata, definisce il microclima e contribuisce alla spiccata identità minerale e salina dei vini.

Il clima è atlantico, contraddistinto da un inverno mite e una primavera e un autunno decisamente piovosi: tra i 1600-1800 mm all’anno. L’estate è calda e ventilata, la zona ha un’alta umidità tutto l’anno e il cambio di tempo atmosferico, anche nel corso della stessa giornata, è repentino.

La denominazione Rías Baixas è regolata da un disciplinare nato nel 1988 e continuamente aggiornato. I vitigni ammessi: albariño in primis, seguito da loureira, treixadura, caíño blanco, godello e poche altre varietà autoctone. La densità d’impianto è piuttosto elevata, fino a 7000 ceppi per ettaro per l’albariño e 5000 per le altre varietà. Con 4-5 gemme per tralcio, questo porta a rese di 10-15.000 gemme per capo, sulle bottiglie l’annata deve sempre comparire in etichetta e le produzioni biologiche o biodinamiche sono praticamente assenti per le condizioni climatiche.

Oltre alle Rías Baixas, la Galizia ospita anche altre denominazioni degne di nota: Ribeiro (bianchi da treixadura e torrontés), Ribeira Sacra (conosciuta per i rossi da mencía), Valdeorras (terreno d’elezione per il godello), e la piccola Monterrei, con varietà autoctone e verdejo.

La zona è caratterizzata da un aspetto fondamentale: il minifundismo, che descrive la frammentazione estrema della proprietà agricola in Galizia. Basta osservare il paesaggio del Salnés, ad esempio nei dintorni di Cambados: ogni casa ha la sua piccola vigna intorno al giardino. È un mosaico di appezzamenti minuscoli che disegnano il territorio.

I numeri aiutano a capire: i viticoltori sono circa 6000 in tutta la denominazione per una superficie complessiva di circa 4000 ettari; in media, ciascun viticoltore possiede 0,66 ettari suddivisi in più parcelle, le parcelle complessive sono circa 21.000, il che significa che ogni produttore gestisce in media 3-4 appezzamenti, spesso non contigui. 

In realtà, questa media nasconde forti squilibri: ci sono aziende che possiedono oltre 150 ettari, ma la stragrande maggioranza ha appena una o due parcelle minuscole, talvolta di soli 1000 metri quadrati, spesso nel giardino di casa. È questa la vera essenza del minifundismo: una viticoltura domestica, nata per il consumo familiare, che oggi confluisce in gran parte nelle cooperative. Cantine come Martín Códax, ultimo vino in degustazione, riuniscono centinaia di conferitori, dando voce e valore economico a questo tessuto produttivo diffuso. Il risultato è una viticoltura che porta con sé due volti: da un lato la difficoltà nel valorizzare singolarmente appezzamenti così ridotti, dall’altro una grande biodiversità e una continuità storica che lega ogni famiglia al proprio fazzoletto di vigna.

La degustazione

Seleccion Finca Monte Alto 2022 - Fillaboa

La degustazione si apre con un vino della cantina Fillaboa, situata a Salvaterra de Miño, nella parte meridionale della Galizia, al confine con il Portogallo. Questa è una delle aree più vocate alla coltivazione dell’albariño: il fiume Miño segna il limite naturale con il paese vicino, affiancato dal fiume Tea, che dà il nome a una delle sottozone della denominazione.

Fillaboa è una delle tenute più estese della regione, con circa 50 ettari suddivisi in dodici parcelle. Oggi la cantina fa parte di un gruppo che riunisce quattro bodegas distribuite in tutta la Spagna. È un segno dei profondi cambiamenti avvenuti a partire dal 1988, anno in cui venne istituita la DO Rías Baixas. Da allora l’Albariño, per secoli vino consumato quasi esclusivamente in ambito locale, ha vissuto una rapida espansione sui mercati internazionali, soprattutto negli Stati Uniti. Negli anni Duemila, molte grandi aziende spagnole hanno scelto di investire in Galizia per avere un Albariño di qualità nel proprio portfolio, in un fenomeno che ricorda, per certi versi, la rinascita del Timorasso in Piemonte.

Il vino in degustazione è la Selezione Finca Morroy Alto 2022, ottenuto da un singolo vigneto piantato nel 1988, a circa 150 metri di altitudine. La vinificazione avviene con lieviti indigeni e prevede un affinamento di 12 mesi sulle fecce fini, per una produzione complessiva di circa 14.000 bottiglie.

Luminoso su cromie che si ritrovano nell’intersezione tra l’oro e il verde, ha grande brillantezza. Il naso è generoso, tra accenti floreali, fruttati e iodati, che vanno oltre i classici sentori di pesca e albicocca, tipici dell’albariño, per sfociare in toni più maturi e tropicali. L’assaggio rivela subito una spiccata acidità, cifra stilistica del vitigno. Nonostante la giovane età, il vino mostra già una struttura importante, coniugando tensione verticale e una certa ampiezza, frutto sia della provenienza meridionale sia del lungo contatto con le fecce fini. Il sorso è sapido, con un finale capace di permanere sul palato. Un esordio convincente, che mette in luce le caratteristiche della versione meridionale dell’Albariño: solare, strutturata, tridimensionale e con un buon potenziale evolutivo.Albariño 2024 - Santiago RuizSantiago Ruiz, figura leggendaria, è considerato il “padre dell’Albariño moderno”. Uomo e cantina coincidono: è stato lui, negli anni Ottanta, a traghettare il vitigno nell’epoca contemporanea. Se fino ad allora l’albariño veniva vinificato prevalentemente in legno per il consumo locale, Santiago Ruiz fu il primo a introdurre l’acciaio, cambiando radicalmente lo stile e aprendo la strada alla diffusione nazionale e internazionale.

Scomparso nel 1998, ha lasciato un’eredità così importante che la sua cantina si trova oggi in Rua do Vinicultor Santiago Ruiz, 1. Oggi la bodega appartiene al gruppo portoghese Sogrape, proprietario anche di marchi storici come Sandeman. Dispone di 38 ettari di vigneto e produce circa 250-300.000 bottiglie all’anno, tutte concentrate in un’unica etichetta.

Il vino degustato è l’annata 2024, proveniente dalla sottozona meridionale di O Rosal. Non si tratta di un albariño in purezza, ma di un blend tipico della zona: albariño 76%, loureiro 11%, treixadura 5%, caíño blanco 4%, godello 4%. 

Il colore si presenta piuttosto fitto nella trama, indice della provenienza meridionale e della presenza di più varietà. Il profilo odoroso è meno incisivo rispetto al primo vino degustato, ma guadagna in complessità aromatica: emergono infatti suggestioni di erbe aromatiche e sfumature citrine, accanto a tocchi floreali delicati. In bocca è austero e asciutto, con una struttura che evidenzia soprattutto l’acidità, a tratti un po’ scomposta. Le note agrumate si spostano sul registro del limone e del pompelmo, con un setale leggermente amarognolo. È un vino diretto, essenziale, meno “concessivo” e più rigoroso rispetto alle versioni più moderne e ricche dell’Albariño. Il bianco di Santiago Ruiz non rappresenta oggi l’espressione più entusiasmante della denominazione, ma resta un passaggio obbligato per comprenderne la storia. 

O Rosal 2024 – Terras Gauda

La terza azienda presentata è Terras Gauda, una realtà importante che si trova a Salvaterra de Miño, nella subzona di O Rosal, proprio a ridosso del confine con il Portogallo. Nata alla fine degli anni Ottanta, quasi in contemporanea con il riconoscimento della denominazione, e da allora è cresciuta fino a diventare una delle cantine di riferimento dell’area, con una produzione di circa 900.000 bottiglie l’anno. Qui si coltiva circa il 90% del Caíño Blanco, vitigno raro che altrove è quasi scomparso. Insieme al caíño, ovviamente, restano protagonisti albariño e loureiro.

L’etichetta in degustazione propone un blend composto da 70% albariño, 22% loureiro e 8% caíño blanco. Curiosa è anche la pratica di commissionare ogni anno a un artista diverso un’etichetta originale, che poi viene esposta in collezione: un modo per legare il vino all’arte e alla cultura locale.

Sfumature dorate e invitanti preludono a un bouquet floreale: fiori bianchi come tiglio, gelsomino e camomilla, insieme a pesca bianca (quasi caramella alla pesca) e sensazioni fresche di erbe aromatiche, lemongrass su tutte. Si tratta di un olfatto sottile ma ben comunicativo. In bocca conferma la tipicità del vitigno: acidità netta e incisiva, grande freschezza che stimola la salivazione e pulisce perfettamente il palato. È un vino suadente, con corpo più solido rispetto ai vini precedenti. Si tratta a tutti gli effetti di un Albariño “classico” nello stile locale, quello che i consumatori spagnoli si aspettano: giovane, vibrante, tagliente. 

Gran Vino Pazo Barrantes Albariño 2021 - Pazo Barrantes

Con il quarto vino si entra in una cantina storica e prestigiosa: Pazo de Barrantes, fondata nel 1511 e oggi parte del gruppo Marqués de Murrieta. Una famiglia originaria proprio della Galizia, che dopo aver consolidato la fama con la tenuta di Rioja ha voluto “tornare a casa” acquistando questa realtà. L’azienda si trova nel cuore della sottozona Val do Salnés, considerata la culla dell’albariño. Qui i suoli sono granitici, con un sottile strato sabbioso in superficie, e i vigneti hanno un’età media di circa 40 anni. Oltre alla gamma classica, dal 2009 la cantina produce anche una versione di altissimo prestigio, il Gran Vino Pazo Barrantes, frutto di 12 ettari suddivisi in 8 parcelle diverse. È un 100% albariño vinificato 8 mesi in acciaio inox, con il 15% del vino che matura in barrique e almeno un anno di riposo in bottiglia.

Magnifico giallo intenso con riflessi verdolini, un colore che nel corso della serata definiremo “color albariño”. Rispetto ai vini precedenti rileviamo un chiaro salto di complessità con trame floreali di biancospino, fiori bianchi, cenni fruttati freschi e delicati tocchi di zucchero a velo su una base di pasticceria. La lunga sosta sulle fecce fini dona cremosità e profondità al bouquet. Grande equilibrio palatale tra acidità viva e struttura: la freschezza resta protagonista, ma è sostenuta da una materia più piena, da una tessitura più ricca e da una maggiore complessità retro-gustativa. L’uso moderato del legno aggiunge profondità, senza sovrastare la tipicità varietale.

Albariño 2023 - Pazo Baión 

Pazo Baión è una delle tenute più affascinanti e storiche della Galizia, oggi di proprietà della cooperativa Condés de Albarei. La proprietà conta 22 ha di vigneto che circondano interamente il pazo (vale a dire un palazzo signorile, tipico galiziano), racchiusi da mura in pietra. Un caso quasi unico nel Salnés, dove la frammentazione fondiaria, come appena visto, è la norma. 

Nella degustazione si rivela essere un vino più accogliente, meno teso, dove l’acidità, pur viva, trova un equilibrio in una materia più dolce e rotonda. Al naso è di buona complessità, presenta cenni di tè verde, erbe aromatiche, frutta tropicale e frutta secca. Palato confortevole, ricco, morbido, resta acido e salato, ma fodera la bocca con la sua generosità tattile.

Selección de Añada 2015 - Pazo de Señorans

Il nome stesso, Pazo de Señorans, significa “Palazzo dei Signori”, e la cantina è una delle più nobili interpreti dell’Albariño. La Selección de Añada è un vino simbolo, considerato da molti il miglior bianco di Spagna. Si tratta di un vino prodotto esclusivamente nelle annate migliori, da una sola vigna, Bancales, di 45-50 anni, vendemmiata tardivamente. La fermentazione avviene solo in acciaio, e il vino matura sui lieviti per oltre 30 mesi, prima di un affinamento in bottiglia di almeno un anno. L’uscita sul mercato avviene dopo sette o otto anni dalla vendemmia: l’annata in degustazione, la 2015, è dunque la più recente disponibile. La produzione è limitata a circa 16.000 bottiglie. Non fa la malolattica, ma il lungo contatto con le fecce fini regala complessità, morbidezza e profondità.

Il risultato è un vino luminoso, di straordinaria eleganza. Al naso emergono miele d’acacia, frutta gialla matura, ricordi di camomilla e una delicatezza minerale che richiama la luce stessa dell’oceano. Nonostante l’assenza del legno, la struttura è avvolgente, ampia, con una rotondità che non rinuncia mai alla tensione. È un Albariño emozionante, cristallino e preciso, con una bocca che si allunga in una scia sapida.

1583 Albariño de Fefiñanes 2023 - Bodegas del Palacio de Fefiñanes

Nel cuore di Cambados, sorge il Pazo de Fefiñanes, un palazzo nobiliare che domina la scena come un gioiello architettonico. Qui l’albariño trova una delle sue interpretazioni più storiche. L’azienda, con 60 viticoltori conferitori, possiede una vigna spettacolare: un vero clos di viti antiche, alcune con oltre 80 o 100 anni. È un luogo che trasuda nobiltà, e la bottiglia stessa - il celebre 1583 - prende il nome dall’anno inciso sullo stemma nobiliare del palazzo. Il 1583 rappresenta la versione più “internazionale” dell’albariño: dopo la fermentazione in acciaio, il vino affina quattro mesi in barrique di rovere francese (un tempo anche di castagno), seguiti da due mesi in acciaio. Le botti variano dal primo fino al quarto passaggio.

Un biondo lucente e pieno che s’apre su un profilo aromatico completamente diverso dagli altri: suggestioni di vaniglia, caramella tostata e frutta matura, un naso rotondo e addomesticato che si spinge alla dolcezza del miele. La bocca è piena e rotonda con rimandi che portano al distillato, piacevole pur se molto costruito.

Gallaecia 2020 - Martin Códax

Per chiudere la serata, arriva un vino raro e sorprendente, prodotto solo nelle annate eccezionali: il Gallaecia di Martín Códax, la cooperativa simbolo della Galizia e del Salnés.

Fondata nel 1986 da 50 agricoltori e intellettuali galiziani, oggi conta 280 soci e rappresenta un pilastro della viticoltura atlantica, con 500 ettari suddivisi in 2.000 parcelle — l’essenza stessa del minifundismo gallego. Il nome della cantina è un omaggio a Martín Códax, trovatore del XII secolo, autore di famose poesie d’amore e di mare. 

Il Gallaecia nasce da uve albariño botritizzate, raccolte tra ottobre e novembre, quando l’autunno concede tregua alle piogge oceaniche. È un vino che non si produce ogni anno, le 6.800 bottiglie prodotte nel 2020 sono un piccolo miracolo: un vino dorato, dal colore oro antico e dai riflessi cangianti, il ventaglio unisce la dolcezza della frutta cotta, del miele e del fiore secco a una viva acidità salina che lo ancora al mare, non manca lo zafferano, la frutta essiccata e le erbe aromatiche. Gusto meno dolce dell’attesa (bene!) resta agile, è morbido e avvolgente, ma con una dolcezza misurata e una freschezza che ricorda sempre la sua origine atlantica.

È l’“Albariño da onorare”, un vino che si fa preghiera, chiusura e ringraziamento. Così si conclude la serata, con un’altra canzone Tu Gitana, con altre immagini, con un ennesimo, magico brindisi e una preghiera che riassume lo spirito della Galizia:

Por ellos - y por lo que ellos son - yo levanto desde mi casa mi copa de amarillo vino de Albariño.
Que Dios les conserve la vida y la bodega, el gusto y la sabiduría. Amén.

Per loro - e per ciò che sono - levo il calice del giallo vino d’Albariño della mia casa.
Che Dio preservi loro la vita e la bodega, il gusto e la saggezza. Amen.

Non il sabor, ma la sabiduría - la consapevolezza di una terra che conosce il sale, il vento e la lentezza. L’Albariño, in tutte le sue forme - dritto, minerale, luminoso o dolce e dorato - è il racconto di questa luce atlantica che resiste al tempo.