Marsala – Seconda parte

Racconti dalle delegazioni
24 novembre 2022

Marsala – Seconda parte

Continua il viaggio, in compagnia di Giorgio Fogliani, questa volta alla scoperta dei famosi e storici vini ossidativi di Marsala, compresi i vini tradizionali del territorio prima dell’avvento degli Inglesi.

Tiziana Girasella

È innanzitutto importante capire cosa si intenda per vino ossidativo. Normalmente, infatti, si tende a evitare o comunque a preservare il vino dal contatto con l'ossigeno a tal punto da considerare l’ossidazione come un difetto. Non a caso l’aggettivo “marsalato” si usa spesso per riferirsi a un vino che ormai è irreversibilmente rovinato dall’ossidazione fino a non essere neppure più godibile. Ci sono però vini in cui il contatto con l’ossigeno è desiderato o comunque non inibito, vini in cui l’ossigeno è in grado di innalzarne la qualità gustativa. Ciò può essere realizzato, ad esempio, lavorando a botti scolme, lasciando che quindi la superficie del vino entri volutamente a parziale contatto con l’ossigeno, durante l’affinamento, indipendentemente dal fatto che i vini siano secchi o dolci, fortificati o meno: ciò non inficia il loro essere ossidativi perché nascono esattamente con questo intento. Oltre al Marsala, altri esempi di vini ossidativi sono: Malvasia di Bosa, Vernaccia di Oristano, Vin Jaune (e lo Château Chalon ne costituisce l’espressione più alta), Banyuls, Maury, Porto, Madeira e Sherry, solo per citare i più famosi.

Due sono le macro-tipologie di affinamento ossidativo. In un caso si forma la cosiddetta flor o voile, un sottile strato di lieviti saccaromyces cerevisae, un film protettivo sulla superficie del vino a contatto con l’ossigeno che lo rende più dolce e meno brutale. Questo metodo è diffuso soprattutto in Jura, ma utilizzato anche per alcune tipologie di sherry; gli spagnoli parlano in questi casi di crianza biologica. Nell’altro, invece, non si crea la flor, come per il Marsala, a causa dell’elevato contenuto d’alcol che impedisce, di fatto, la sopravvivenza dei lieviti; in Spagna si parla di crianza oxydativa.

Giorgio FoglianiA Marsala, prima dell’arrivo degli Inglesi, si faceva un vino chiamato perpetuo, appartenente alla tradizione contadina, ottenuto pressoché solo da uve bianche raccolte a piena maturità o in surmaturazione (con un tenore zuccherino elevato che portava a sviluppare un alto grado alcolico). Normalmente veniva tenuto in una sola botte, stillato per le grandi occasioni: si scolmava la botte senza mai andare oltre la metà e, poi, la si riempiva nuovamente con il vino della nuova vendemmia, in modo tale che il contenuto non fosse di un’annata specifica, ma venisse rigenerato annualmente mantenendo sempre una piccolissima frazione della vendemmia più lontana. Questo vino non veniva fortificato sia perché non si aveva alcol a disposizione e sia perché il contenuto alcolico dello stesso era piuttosto elevato. Sono diverse le testimonianze che attestano la coesistenza di questo vino con il Marsala: addirittura, spesso, le botti di perpetuo venivano utilizzate come marcatore ossidativo, partecipando alla concia del Marsala.

Con il boom economico degli anni ’60, una delle conseguenze dell’industrializzazione fu la nascita delle cantine sociali: lo sviluppo industriale risultò invitante per i vignaioli che, a seguito della diminuzione dell’ammontare dei lavori da effettuare durante l’anno, iniziarono a costruirsi uno stile di vita diverso potendo cercarsi un altro lavoro. I vignaioli diventarono perciò conferitori d’uva, disimpararono a fare vino e non ebbero più le proprie botti di perpetuo. Per ovviare a ciò, iniziarono a chiedere alla cantina sociale una piccola parte di vino che ricalcasse quello tradizionale, creandosi una produzione parallela e abbastanza nascosta, di cui non si trova traccia, di vini chiamati alto grado o stravecchio. Questi corrispondono ai vecchi perpetuo, in versione un po’ più rustica, in quanto prodotti in grande quantità, magari in vasche di cemento, ma con l’obiettivo di restituire al vignaiolo-consumatore il gusto dei vini tradizionali.

Tornando alla storia del Marsala, sembra che John Woodhouse fosse sbarcato a Marsala per sbaglio, costretto dalle cattive condizioni del mare, che abbia assaggiato il perpetuo e lo abbia apprezzato trovandovi delle similitudini con il Madeira. Intuendo un potenziale business, stipulò dei contratti con i vignaioli locali affinché gli fornissero vino perpetuo. Si installò a Marsala, acquistando un baglio, e iniziò a vendere il vino come Sicily Madeira. A seguito del grande successo della sua impresa, venne emulato da altri Inglesi, tra cui Ingham e Whitacker che innestarono a Marsala una rete produttiva molto particolare e totalmente sconosciuta nel resto d’Italia, iniziando a produrre il Marsala propriamente detto. Tutto ciò portò un notevole benessere alla comunità e venne creato un sistema produttivo che potrebbe definirsi industriale, cioè altamente organizzato (internamente era spesso prevista sia la tonnellerie che la distilleria per produrre l’alcol). In questo periodo venne anche creata la ricetta della concia; la fortificazione veniva utilizzata al solo scopo di stabilizzare il vino e consentirne il trasporto.

Florio è la prima cantina siciliana di Marsala: originario di Bagnara Calabra, Vincenzo Florio arriva in Sicilia abbastanza povero. La sua famiglia fa fortuna grazie al chinino, farmaco importante all’epoca, a Palermo. Diversificano la propria attività, si stabiliscono a Marsala e seguono il business già fiorente. A latere fanno anche gli armatori, hanno fonderie, una tonnara a Favignana (in cui inventano la scatoletta di tonno), sono assicuratori e banchieri. Hanno goduto di un’epopea incredibile, inserendosi nella borghesia e nella nobiltà della Palermo dell’epoca, divenendo personaggi pubblici. La loro fine è legata alla mancanza di eredi ragion per cui l’azienda è stata venduta a Cinzano. Oggi appartiene al Gruppo Duca di Salaparuta e molte delle uve sono fornite da conferitori.

Legislazione

Marsala è la seconda Denominazione di Origine Controllata siciliana (dopo la DOC Sicilia) e ha un disciplinare molto complesso: consta di 31 tipologie date dalla combinazione di tre parametri: affinamento, dolcezza e colore, la cui indicazione in etichetta è obbligatoria per il primo e facoltativa per gli altri, più altre due specifiche. L’affinamento si distingue in fine, superiore e superiore riserva (a seconda che sia maggiore di uno, due o quattro anni); la dolcezza in secco, semisecco e dolce (meno di 40 g/L, tra 40 e 100 g/L e più di 100 g/L di zucchero residuo rispettivamente); il colore in ambra, oro e rubino con oro e ambra ottenuti da uve bianche e il rubino, che costituisce la produzione minoritaria, da uve rosse.

Le altre categorie sono: vergine o solera, (anche se il metodo solera non viene di fatto utilizzato per la produzione) che ammette solo l’aggiunta di alcol, richiede almeno 5 anni di affinamento ed è prodotto sempre secco, e vergine riserva. Si può indicare anche l’annata, che però non rappresenta il millesimo della vendemmia ma quello della concia, così come “vecchio” è inteso come sinonimo del termine superiore; inoltre esistono delle vecchie menzioni, raramente utilizzate, come IP (Italia Particolare), SOM (Superior Old Marsala), GD (Garibaldi dolce) e LP (London Particular). I Marsala aromatizzati, invece, non sono veri e propri Marsala, pur sopravvivendo sul mercato, in quanto esclusi dal disciplinare nel 1984.

Tranne che per i Marsala vergine, non si fortifica tale vino solo con alcol: ben 27 tipologie su 31 ammettono la mistella e 9 anche il mosto cotto. La mistella è il mosto la cui fermentazione viene inibita tramite aggiunta di alcol: in tal modo esso rimane dolce e acquista allo stesso tempo alcolicità. Il mosto cotto è mosto che, tramite cottura, viene ridotto e concentrato: dà quindi maggior tenore zuccherino, colore ambrato al Marsala a cui viene aggiunto e un gusto di caramello bruciato o addirittura di goudron.

C’è, infine, una tipologia, non disponibile al dettaglio ma prevista dal disciplinare e che costituisce circa il 40% del mercato del Marsala, che è il 4 mesi: viene cioè data la possibilità alle aziende di far uscire il Marsala prodotto (ovviamente fine) dopo solo 4 mesi di affinamento, in recipienti anche superiori ai 60 litri, per destinarlo alla produzione di altri generi alimentari (carni in scatola, pasticceria o liquori).

Il disciplinare non prevede limitazioni quanto ai vitigni utilizzabili: possono essere usati indistintamente grillo, catarratto, inzolia e damaschino, mentre i rubino possono essere prodotti da nero d’Avola, pignatello e nerello mascalese; è però opinione comune che il grillo, soprattutto se coltivato lungo la costa, sia il vitigno più adatto alla produzione di Marsala, in quanto, anche se raccolto in surmaturazione, mantiene elevati tenori di acidità; è più raro l’utilizzo del catarratto, mentre gli altri vitigni sono comprimari.

La prima legislazione sul Marsala risale al 1931 e ha delimitato l’area di produzione a tutta la Sicilia occidentale (prima, essendo il Marsala considerato come tipologia di vino e non come denominazione, non vi erano limiti circa la provenienza delle uve); nel 1984 sono state tolte le province di Palermo, Agrigento e Alcamo, nonché le isole minori. La DOC è del 1969, ma già nel 1961 un DPR l’aveva disciplinata.

Prima di passare alla degustazione, Giorgio ci fa riflettere su alcune questioni che rimangono a tutt’oggi ancora insolute e che ci fanno capire come ci sia la possibilità concreta che il mondo del Marsala possa evolvere nei prossimi anni. Fra queste:

  • ha ancora senso imporre la fortificazione al Marsala dato che raggiungerebbe da sé un tenore alcolico notevole e ha parametri enologici che gli permetterebbero di resistere a viaggi o escursioni termiche?
  • da circa 20 anni il perpetuo sta avendo una rinascita ad opera di alcuni vignaioli. Questa tipologia non è prevista nella DOC. Ha ancora senso lasciarli fuori dal disciplinare?
  • qual è la logica di far fermentare un vino fino a farlo diventare secco per poi aggiungere una concia per renderlo dolce?
  • i tempi di affinamento potrebbero essere allungati, soprattutto se si paragona il Marsala alle altre tipologie di vini fortificati presenti all’estero?
  • qual è il posto dei vini non ossidativi all’interno di questo panorama?

La degustazione

Heritage Pre-British bianco – Intorcia
Autoctono a bacca bianca 100% (si tratterebbe in realtà di grillo, ma non può essere scritto); macerazione pre-fermentativa a freddo per 3 giorni, fermentazione a temperatura controllata, 6 mesi di affinamento in botti perpetue
Naso delicatamente laccato, una discreta impronta del legno, di vaniglia e cocco, leggere note smaltate. Riesce a essere allo stesso tempo ammiccante e moderno, con un’impronta ossidativa indiscutibile: torrefazione, nocciola, pistacchio e miele, lo rendono accattivante; lasciandolo nel calice, sviluppa ricordi di mais tostato. Entra in bocca abbastanza morbido, untuoso, poi lascia spazio all’acidità e a una certa sapidità. La chiusura è amara, non lunghissimo. Sembra voler rappresentare una versione dinamica, relativamente fresca e moderna del vino di Marsala.

Stravecchio - Cantine Mothia
100% grillo; affinamento ossidativo e invecchiamento di circa 10 anni in legno e cemento
Più discreto e tenue del precedente, con sensazioni olfattive più dolci, di torrone e biscotti, e di zucchero filato. Toni acetati, di vernice, spezie e fiori appassiti, arancia. Al palato è secco, piuttosto semplice; risulta più amalgamato e coerente del precedente, territoriale e solare, lineare ma con una sua unità; non è lunghissimo, ma forse non aspira neanche a esserlo. Al palato torna la scorza e il succo d’arancia e una sensazione maltata.

I viniN° 73 Vino bianco – Viteadovest
grillo e catarratto; perpetuo con madre del 1973, rinfrescato con annate più recenti, mai fortificato né conciato, contenuto in vecchi tonneaux mai colmati
A una prima olfazione sembra più rustico, contadino, con una volatile più alta dei precedenti; risulta poi iodato, sa di salamoia, uvetta sotto spirito, ratafià e rosolio, spezie orientali e affumicatura. La presenza in bocca è maggiore, è più denso, con un ingresso morbido ma con una successiva prevalenza delle durezze, sia come acidità che come sapidità. È più lungo dei precedenti, ma ha una chiusura arricciata su sé stessa ricordando più i vini assaggiati la volta scorsa (Marsala – Prima parte).

Altogrado 2009 – Barraco
grillo 100% da vigna di 40 anni piantata ad alberello; vendemmia in surmaturazione (9 ottobre 2009), vinificazione con macerazione di due giorni, affinamento di 8 anni in botti di castagno ricolmate solo per i primi 2, poi sviluppo della flor
Il nome è mutuato dal vino prodotto dalle cantine sociali, pur essendo molto diverso in quanto millesimato, prodotto da una singola cantina e con un carattere più ambizioso. Ha una leggerissima nota di rovere attorno alla quale si intrecciano sentori mediterranei di iodio, capperi, alici, quindi spezie orientali, legno di sandalo e cioccolato bianco. All’assaggio è ancora più secco e sferzante dei precedenti, di grande personalità, caldo, più lungo e salato, schioccante. Le note classiche legate all’ossidazione sono molto evidenti: emergono pistacchio e nocciola tostata, quindi pane di segale in chiusura.

Pipa ¾ - Badalucco
grillo 100%; vendemmia 2000 in contrada Triglia, vinificazione in legno con macerazione di 15 giorni sulle bucce e botti colme solo per ¾, da cui il nome (pipa è il nome con cui localmente si chiamano le botti)
Apre su profumi decisi di curry, mela verde e noce; ricorda i vini dello Jura, risultando leggermente meno mediterraneo degli altri e più elegante; sembra aver bisogno di tempo per esprimersi. Rivela acidità spiccata ma, allo stesso tempo, distesa e in grado di veicolare il sapore del vino. Il calore è rilasciato solo nell’ultima parte della bevuta, come fosse trattenuto; sembra meno caldo del precedente e meno risolto.

Vecchio Samperi - De Bartoli
grillo 100% da vigne di 40 anni in contrada Samperi; perpetuo con 15 anni in media di affinamento, rabboccato annualmente con il 5% di vino nuovo
Sembra cambiare registro, svelando subito una potenza, un calore e una concentrazione maggiore. Tornano le note iodate così come quelle dolci: i biscotti, la frutta sotto spirito, i grandi distillati, le tostature e le affumicature; ha ritorni torbati, così come di frutta secca e mallo di noce. Vino di grande afflato, potenza e gusto. Pur restando secco ha maggior morbidezza dei precedenti, che fa pensare vi siano un residuo zuccherino e glicerina maggiori. Al palato è cremoso, sapido e gustoso, con maggior ambizione rispetto ai precedenti poiché non insiste su una sola caratteristica, racchiudendone in sé molteplici e risultando più equilibrato e compassato.

Marsala superiore ambra semi-secco riserva Aegusa 2001 - Florio
100% grillo, vendemmia 2000, vigneti in costa (Triglia e Stagnone); Aegusa è la linea dei Marsala realizzati una volta ogni decennio scegliendo le botti migliori; vinificazione con vecchio torchio senza controllo della temperatura; concia del 2001 con mistella prodotta in casa e invecchiata, più mosto cotto; 47 g di estratto secco e pH 3,30, affinato in caratelli da 300 L non colmati, imbottigliato nel 2015
Sembra avere ancora più concentrazione e maggior densità e viscosità. Ha sentori quasi di gas, di dattero, è un po’ più classico; ricorda il cioccolato fondente, con tostature più cupe del precedente che ricordano il caffè. Al palato emerge una rinfrescante arancia; il residuo zuccherino è molto ben bilanciato dalle durezze, anche se percettibile; l’unica lieve stonatura è l’amaro del caramello bruciato in fondo al palato, che comunque non disturba, anche se è piuttosto a sé stante. Anche qui la volatile contribuisce a veicolare i profumi.

Milocca 2008 – Barraco
È la versione rossa dell’Altogrado; 100% nero d’avola, contrada Bàusa; vendemmia in surmaturazione da vigna di 20 anni, fermentazione in acciaio, affinamento in botti scolme
Si apre lentamente su fragranze in parte ancora legate al frutto, soprattutto fragola e lampone, ma anche dattero, arancia rossa, carruba e cioccolato. La bocca è morbida all’ingresso, ma ha poi una spinta acida e soprattutto sapida. Pur essendo ricco sia dal punto di vista aromatico che tattile, non risulta pesante.