Master la Borgogna

Ventuno gradi a fine febbraio sono anomali, un anticipo di primavera lungo le strade di Milano. Forse anche il tempo voleva assecondare l’inizio della nuova edizione del Master sulla Borgogna targato AIS Milano.

Giuseppe Vallone

Dodici lezioni, trenta ore mal contate di immersione piena in terra borgognona, ottantacinque vini provenienti da quella straordinaria striscia che da Digione si spinge fino a Chassagne-Montrachet.

La terza edizione del Master sulla Borgogna ospitata da AIS Milano, vista in prospettiva e a qualche tempo di distanza dalla sua conclusione, è qualcosa di imponente. C’è da dire che le aspettative erano alte, più di altri eventi: la mitica Borgogna, origine e megafono dei vini più celebrati e venerati al mondo; il Master, talmente strutturato da consentire un livello di approfondimento universitario; e poi Armando, l’inizio e la fine di questo progetto di ampio respiro, il nostro Virgilio che al tempo stesso si fa Anfitrione, mettendo tutti – e sempre – a completo agio, con quel suo fare affabile e amichevole.

L’articolazione del programma prevedeva, a ogni lezione, una prima sezione dedicata a tematiche generali, seguita poi dall’approfondimento di un territorio e alla conseguente fase degustativa.

“La porta della Côte”, così era intitolata la serata del 27 febbraio 2019, l’inizio del nostro cammino. Fermi alla periferia di Digione, nel comune di Marsannay, Armando ci ha istruito sulla legislazione borgognona, indispensabile per individuare e saper distinguere Appellation Regional, Village, Premier Cru e Grand Cru, i quattro gradini creati dall’INAO per regolamentare qualitativamente le 1.247 parcelle di Borgogna. 

Poi, di serata in serata, abbiamo camminato lungo la D974 in direzione sud, il nostro sguardo perennemente rivolto al paesaggio che via via si sviluppava sempre alla nostra destra. Tra aneddoti, richiami culturali e artistici e rimandi alla storia plurisecolare di questi luoghi, Armando ci ha condotti tra clos e villaggi, strade deserte e piccole chiese.
Il relatore

In questo viaggio la parte del leone, ovvio ma non scontato, l’ha giocata il vino. Un senso di emozionata attesa pervadeva, ogni volta, l’intera sala. A volte, come nel caso della serata dedicata alle “denominazioni minori della Côte de Beaune”, questa impazienza era frutto di una genuina curiosità verso vini sconosciuti ai più e pressoché introvabili nel nostro Paese. Altre volte, invece, l’attesa era l’anticamera dell’emozione per assaggi «capaci di marcare la carriera di un degustatore», come nel caso degli appuntamenti dedicati a Vougeot, Gevrey-Chambertin o Vosne-Romanée.

L’approccio di Armando a ogni vino, di qualunque denominazione fosse, è sempre stato laico. Poco propenso ad abbandonarsi a scontati entusiasmi, in più di occasione l’abbiamo però visto accendersi, con gli occhi brillanti, e ne aveva ben donde. Come nel caso del Meursault Premier Cru Le Genevrìeres 2015 di François Mikulski, ottenuto da una parcella di 0,53 ettari, per Armando la seconda migliore di Borgogna: iris, bon bon ai fiori, propoli, polline, camomilla e una suadente nota speziata delineano un vino non solo lungo ma anche largo, importante. O ancora, quando abbiamo assaggiato il Beaune Premier Cru Clos des Mouches 2016 di Joseph Drouhin, arancia e spezia, con una bocca sferica.

Vini diversi, perle alla luce del sole affiancate a gemme più nascoste, che Armando ha voluto selezionare per rimarcare il più possibile l’estrema diversità dei terroir di Borgogna. Due esempi su tutti: lo Chambolle-Musigny Premier Cru Les Sentiers 2016 di Robert Groffier, 1.800 bottiglie da poco più di un ettaro di vigna risalente al 1934. Al naso è compatto, frutta fresca, lavanda e viola su uno sfondo di incenso e note cerose. Un naso di classe, seguito da un assaggio che è quasi un esercizio di stile per quanto la soavità del frutto è impeccabile. E poi il Nuits-Saint-Georges Blanc Premier Cru Clos de l’Arlot 2015 del Domaine de l’Arlot, 2.000 bottiglie da una piccola vigna di metà anni ’30 condotta in regime biodinamico. Il vino, chardonnay con una piccola frazione di pinot gris, è una scoperta: prodotto senza rinunciare ai raspi in vinificazione e con un passaggio in legno di 12 mesi, è un effluvio di agrume, talco e gesso e anticipa un assaggio rotondo ma al contempo sapido e citrino.


I vini

I bianchi di Borgogna, già. Come non citarli, come non innamorarsene. Già dal primo assaggio, Armando ci ha messo in guardia sulla loro potenza, tale da cancellare il ricordo gustativo di qualunque rosso. Ecco perché, senza eccezione alcuna, i bianchi di Borgogna hanno sempre seguito, e mai preceduto, i loro compagni a bacca nera. Tre ricordi in particolare: il Marsannay Blanc Les Champs Perdrix 2015 di Marc Roy, chardonnay in purezza da mezzo ettaro di vigna, che gioca sul frutto e sul fiore in connubio con una sapidità dai tratti balsamici. L’incredibile Morey-Saint-Denis Blanc Premier Cru Monts Luisants Vielles Vignes 2015 che Ponsot produce da una vigna 100% aligoté risalente al 1911. Nessuna diraspatura, nessuna malolattica svolta, si apre su profumi di mimosa e camomilla, poi mela acerba, agrumi e nota accennata di burro. In bocca ha una notevole struttura, snellita da una grande acidità. Questo vino, davvero straordinario, è, con le parole di Armando «la prova che in Borgogna ancor prima dell’uva viene il territorio e il terroir nel suo complesso». Non può, infine, non citarsi il Bâtard-Montrachet Grand Cru 2014 di Jean-Marc Boillot, mille bottiglie da una parcella di 0,18 ettari risalente al 1956, ammaliante sin dall’aspetto cristallino: la grande struttura si palesa in un assaggio quasi “oleoso” eppure snello grazie a una freschezza e a una sapidità pregevoli. Un vino masticabile, persistente, che riassume perfettamente il terroir di Puligny-Montrachet.

Non solo approfondimento, dunque, non meri assaggi, bensì vere e proprie esperienze culturali che ci consentiranno, d’ora in poi, di affrontare il “mostro sacro” di Borgogna senza più (troppi) timori. 

Dans chaque plante il y’a une architecture liée au nombre d’or et una beauté absolument fabouleuse.

Le respect du vivant resume ma manìere d’habiter le monde.

(Anne-Claude Leflaive, 1956-2015)

Foto in alto: i vini della 4° lezione del Master