Monsieur Buvoli: il Metodo Classico come opera d’arte

Una serata di degustazione e racconto, condotta insieme a Vinicio Zanetti e Marco Buvoli, per conoscere un vignaiolo e comprendere la profondità di uno stile che unisce artigianalità, rigore e tempo.

Sara Passerini

Il pinot nero, si sa, è un vitigno tra i più amati e temuti al mondo. Seducente, capriccioso, nobile e sfuggente, dà un vino che non lascia indifferenti, e il degustatore e relatore Vinicio Zanetti introduce Marco Buvoli e la serata ospitata da AIS Monza e Brianza con due esemplari citazioni: da un lato, l’enologo russo-americano André Tchelistcheff, padre del cabernet californiano, che sosteneva: “God made cabernet sauvignon whereas the devil made pinot noir”; dall’altro, la master sommelier Madeleine Triffon lo definiva “sex in the glass”, sottolineandone la carica sensuale e la potenza evocativa. 

Le origini del pinot nero si perdono nella notte dei tempi. Gli studi genetici rivelano che non deriva da una vite vinifera classica, bensì da un’ibridazione tra viti selvatiche (vite labrusca) e viti orientali portate nell’Europa centro-occidentale durante l’Impero Romano. Un ruolo chiave fu quello dell’imperatore Marco Aurelio Probo, che nel III secolo d.C. annullò l’editto di Domiziano (che vietava la coltivazione della vite fuori dall’Italia) e promosse la viticoltura nei territori del Reno, in quella Gallia che oggi conosciamo come Alsazia e Germania occidentale. Le barbatelle orientali si incrociarono con le viti locali, dando origine a varietà come lo heunisch, fondamentale per la genetica di molte varietà moderne, tra cui riesling, chardonnay e lo stesso pinot noir. Il pinot nero è noto per la sua incredibile variabilità genetica, frutto spesso di mutazioni spontanee: oggi ne esistono centinaia di cloni, ciascuno con caratteristiche agronomiche e organolettiche diverse, risultato di oltre 1500 anni di selezione. 

A livello globale, la Francia guida la classifica delle superfici coltivate (circa 30.000 ettari), seguita dagli Stati Uniti (soprattutto Oregon e California), Germania, Nuova Zelanda, Australia e, a distanza, l’Italia. Il pinot nero ha bisogno di climi freschi, escursione termica marcata e suoli calcarei, condizioni che si ritrovano in regioni come Borgogna (Côte de Nuits in primis), Champagne, Alsazia, Rheingau, Oregon, Central Otago, Tasmania e Alto Adige.

In Italia, il cuore del pinot nero è l’Oltrepò Pavese, con circa 3000 ettari su 5000 totali. Storicamente noto per le basi spumante - anche commercializzate come “champagne italiano” nel primo Novecento -, l’Oltrepò purtroppo fatica ancora oggi a valorizzare appieno questa vocazione. Altri territori di rilievo sono l’Alto Adige (con i cru di Mazzon), il Trentino (base per molti spumanti Metodo Classico), e zone emergenti come il Friuli, il Mugello in Toscana, e alcune micro-produzioni nelle Marche.

Un caso significativo e interessante, in Italia, è proprio quello di Marco Buvoli, che ha scelto di coltivare pinot nero nei Colli Berici e nei Colli Euganei, zone tradizionalmente poco note per questa varietà. I suoli calcarei, le esposizioni ventilate e l’escursione termica rendono queste colline, a sud di Vicenza, un territorio sorprendentemente adatto, tanto da offrire vini di grande finezza, capaci di esprimere il territorio in modo unico. 

Marco Buvoli

La storia enologica di Marco Buvoli nasce da una passione familiare, ma trova forma e sostanza in un’intuizione più profonda, nutrita da viaggi, incontri e riflessioni. Figlio di un sommelier appassionato, fin da giovane ha respirato il vino come cultura e condivisione. Dopo una carriera nel settore automotive e anni trascorsi a viaggiare in Francia per lavoro, qualcosa cambia. Incontra Anselme Selosse, figura di rottura e genio visionario della Champagne, e quell’assaggio dei vin clair - i vini base, prima dell’assemblaggio - accende in lui una scintilla definitiva. «Nessuno mi aveva mai fatto assaggiare i vini base prima di Anselme», racconta Buvoli, «e lì ho cominciato a pensare: un giorno mi piacerebbe produrre un Metodo Classico in Italia, ma con quello stile». 

Il suo è un progetto controcorrente, maturato nel tempo e basato su una scelta artigianale radicale: non vini dell’ultima vendemmia, ma cuvée complesse costruite a partire da vini di riserva, con un’attenzione maniacale alla qualità della base. «Lo Champagne è un vino costruito dall’uomo», spiega, «abbiamo tutti gli stessi colori a disposizione, ma ognuno dipinge con il proprio stile. È questo che rende il Metodo Classico una vera opera d’arte».

Quella che poteva sembrare un’ambizione romantica però prende forma reale grazie al susseguirsi di profetiche coincidenze. Nel ‘97 Marco compra un casolare e comincia a restaurarlo, il precedente proprietario faceva un vino casalingo e, insieme alla casa, lascia i suoi attrezzi e strumenti. Ben presto, inoltre, Marco scopre quasi per caso una piccola vigna di pinot nero piantata a pochi passi dal casolare che aveva appena acquistato sui Colli Berici. Cloni francesi, barbatelle dalla Champagne, un progetto di zonazione dell’Istituto di Conegliano. Un segno del destino. E da lì parte la sua avventura: lenta, consapevole, rigorosa, fondata su ricerca, vinificazione paziente e una profonda idea di bellezza enologica. Nel 2001 comincia, dapprima con alcuni amici, poi da solo. Ancora oggi Monsieur Buvoli non si avvale di enologi.

Il Metodo Classico secondo Marco Buvoli non è un semplice processo tecnico, ma una filosofia di costruzione del vino. «In Italia spesso si vinifica con l’ultima vendemmia, ma se vuoi fare un grande spumante devi pensare in grande: partire dai vini base e costruire la tua cuvée con pazienza, stratificazione e memoria», spiega. Per questo ha scelto un approccio francese, curando con estrema attenzione la gestione dei vini di riserva, che riposano per anni in cantina e diventano la spina dorsale delle sue cuvée. Non sorprende che ogni bottiglia sia frutto di un disegno preciso, in cui ogni annata aggiunge sfumature, profondità e personalità.

L’altro aspetto peculiare è la scelta del pinot nero come vitigno unico e identitario. Buvoli lo lavora in purezza, tanto nella versione rosé quanto in quella bianca. I suoi spumanti sono vinificati con precisione sartoriale: una parte fermenta e affina in acciaio sulle fecce fini per preservare freschezza e frutto, l’altra - i vini di riserva - riposa in legno, sviluppando struttura e complessità. 

La distinzione tra le sue cuvée si gioca soprattutto nel tempo di sosta sui lieviti: il “3” rappresenta l’inizio, con almeno 36 mesi di rifermentazione in bottiglia, secondo Buvoli «sotto i tre anni i vini sono troppo duri», il “5”, con cinque anni di affinamento, è l’unico pas dosé, non dosato proprio perché dopo cinque anni «gli angoli e le spigolature sono stati mitigati dal tempo», altre cuvée superano anche i sei o sette anni, fino a dodici. Marco Buvoli opera al di fuori del disciplinare di denominazione, e questo gli permette di sperimentare con grande libertà: «Per me il Metodo Classico è luce», dice. «Sono vini luminosi, che brillano nel calice non solo per il colore, ma per la vitalità che riescono a trasmettere. È un equilibrio continuo tra acidità, finezza e profondità».

Una sfida non da poco, considerando che il pinot nero in Veneto è tutt’altro che assodato. Sui Colli Berici, dove la vendemmia avviene in anticipo per preservare l’acidità, Marco deve confrontarsi con acidità diverse da quelle della Champagne, spesso dominate dall’acido malico, più spigoloso. È qui che entra in gioco la sensibilità: monitoraggio preciso della maturazione, scelte in cantina calibrate. Ogni dettaglio è pensato per creare un vino coerente con la sua idea di eleganza, senza concessioni alle scorciatoie.

Un’altra scelta stilistica è la non filtrazione e non chiarifica. Una possibilità resa concreta dalla dimensione artigianale della cantina, che consente il controllo botte per botte: «Pulisco i miei vini solo al momento della sboccatura. La permanenza sulle fecce fini è fondamentale per dare grassezza, materia, profondità. Se resta un velo, me lo perdonerete: Emmanuel Brochet le fa tutte così, volutamente».

La degustazione

Metodo Classico Tre Rosé Saignée Extra Brut
36 mesi sui lieviti, sboccatura a novembre 2023, come tutti i suoi spumanti anche questo è una cuvée: nato da un blend di vini di riserva e vini d’annata. In questo caso, la parte più giovane è stata affinata in acciaio sulle fecce fini per mantenere freschezza e frutto, mentre i vini di riserva hanno fatto legno. Il vino è prodotto con la tecnica del rosé de saignée che prevede una breve macerazione del mosto con le bucce (circa 3-4 ore) per estrarre non solo il colore, ma anche precursori aromatici varietali, conferendo maggiore intensità olfattiva e gusto più strutturato. Questa tecnica comporta un’incognita: il colore può variare di anno in anno. Ma per Buvoli, questo non è un limite, bensì un’espressione di sincerità e identità.

Un colore rosa antico, nobile e delicato, un colore caldo che ricorda la luminosità del miele. Le bollicine sono rade, sottilissime e lente a risalire, impreziosiscono come inaspettati frammenti di luce. Il naso è notevole fin dall’esordio che gioca con note legate all’evoluzione, in successione avvertiamo piccoli frutti rossi (fragolina, lampone), fiori secchi, una sensazione agrumata (scorza d’arancia) e soprattutto toni di frutta secca, come nocciola e mandorla, accompagnati da sfumature vegetali e un accenno di miele o cera d’api. La bollicina è setosa, mai invasiva, sintomo di grande maestria nella gestione della presa di spuma. Al palato il vino è godurioso, fresco ma non privo di avvolgenza, la carbonica è ben gestita il gusto è coerente, la lunga chiosa è alla scorza d’arancia.

Metodo Classico Tre Blanc de Noirs Extra Brut 
Il secondo calice della serata ci conduce in una nuova declinazione del pinot nero, sempre Metodo Classico Extra Brut 36 mesi, ma vinificato in bianco, sboccato nel gennaio 2024. La cuvée è costruita da ben sei annate diverse (dal 2019 al 2024), con i vini di riserva custoditi in botte fin dal primo settembre dell’anno di raccolta. «Anche se i legni sono vecchi e non cedono tannino, servono a costruire complessità e stabilità», spiega Marco Buvoli, «e soprattutto aiutano a far parlare il tempo». Una parte è lasciata riposare sulle fecce fini, il dosaggio finale è 3,75 g/l, ottimo per mantenere il profilo Extra Brut, senza sacrificare rotondità e armonia.

Il colore vira già verso l’oro, con riflessi paglierini intensi e una luminosità notevole. Anche qui la bollicina è sottilissima, quasi un sussurro, che accompagna il vino con discrezione più che con impeto. All’olfatto è un concerto di evoluzione e finezza: l’ouverture è vegetale, quasi marina, poi s’alternano la mela gialla matura, la cotogna, frutta candita e crosta di pane. Spiccano suggestioni di mandorla e nocciola tostata, accenni di spezie leggere come pepe bianco o curcuma, e una delicata nota quasi fumé, che richiama la permanenza in legno esausto e la micro-ossigenazione. Al palato, il vino conferma quanto promesso all’olfatto: freschezza e aromi di agrumi (lime, scorza d’arancia), su una trama sapida e lunga. La persistenza è decisa, con un finale tra il salino e l’amaricante raffinato, capace di lasciare un’interessante scia.

Metodo Classico Cinque Blanc de Noirs Pas Dosé 
Sempre MC da pinot nero in purezza, vinificato in bianco e con alle spalle cinque anni sui lieviti, sboccato nel giugno 2023 senza l’aggiunta di alcun dosaggio zuccherino. Per Marco rappresenta un vertice espressivo: un vino che «deve stare in piedi da solo», senza l’aiuto della liqueur, e che restituisce l’essenza più autentica del pinot nero lavorato con pazienza e visione. 

Il colore dorato, fitto e vivido, annuncia già una certa evoluzione. La bollicina è rarefatta, quasi meditativa. Al naso si apre un ventaglio complesso: frutta gialla matura, scorza d’arancia, nocciola tostata, mallo di noce e un accenno ossidativo che richiama eleganti richiami di mandorla, pepe bianco e fiori secchi. Ma è una nota particolare a colpire l’autore del vino, che afferma: «Una delle caratteristiche che sento in tutte le mie sboccature è il profumo del fieno di montagna. Quando lo ritrovo, sono felice», è una firma vegetale che arricchisce la tavolozza aromatica: erbe balsamiche, fieno tagliato, un accenno mentolato. Un respiro ampio e fresco, che si ritrova poi perfettamente nel sorso. In bocca il vino è teso, vibrante, salino, con una struttura acida importante. Eppure la bevuta non risulta mai scomposta: è equilibrata, profonda, saporita. Una vena di canditi agrumati, un ricordo quasi da Grand Marnier, accompagna la lunga persistenza, in un finale sapido, quasi salmastro, che lascia una sensazione pulita e intrigante.

Metodo Classico Solera Blanc de Noirs Extra Brut
Solera è l’espressione della “riserva perpetua” di Marco Buvoli. «Da dieci giorni la mia riserva perpetua ha raggiunto le 24 annate», racconta con orgoglio. La sua cuvée perpetua nasce nei primi anni 2000, quando, ispirato dai grandi champagne di Vigneron e da nomi come Bollinger RD e Krug, Buvoli decise di costruire una base di riserva come fondamento per un metodo classico identitario. «Mi piaceva quell’approccio, e ho voluto copiarlo. Sin da subito ho cominciato a mettere via vino, anche se sapevo che ci sarebbero voluti anni». Il sistema è semplice nella teoria: una batteria di tonneau e barrique (mai legni nuovi) in cui ogni anno si preleva fino al 25% del contenuto, che entra nella cuvée annuale. Le botti vengono poi colmate con il vino dell’ultima vendemmia. È un meccanismo che somma nel tempo la memoria liquida di ogni annata. La cuvée così ottenuta viene rifermentata in bottiglia e lasciata riposare almeno quattro anni e mezzo sui lieviti. La versione in degustazione ha sboccatura risalente a gennaio 2024: in essa convivono ben 18 vendemmie. Dopo la sboccatura, ogni bottiglia riposa almeno 6 mesi, ma spesso anche più di un anno, perché «i miei vini hanno bisogno di tempo. Per anni li ho aperti troppo presto. Ora so che solo dopo un anno cominciano a dire davvero chi sono». Tra le etichette di Buvoli, Solera risulta quello con dosaggio maggiore: 5,5 g/l, Marco spiega che è per l'acidità pazzesca della base Solera che, anche a causa dell’evaporazione del vino ha un estratto secco che aumenta di anno in anno, inoltre l’acidità è un grande alleato per il controllo microbiologico del vino e per il suo invecchiamento.

Si presenta con un tono dorato più profondo e saturo rispetto ai vini precedenti. È una tonalità che racconta il tempo, ma senza cedere all’ossidazione: sorprendentemente, il naso è più fresco e composto di quanto ci si aspetterebbe, la bollicina è quasi impercettibile all’occhio, ma presente al palato, fine, discreta, dosata con grazia. Il profilo olfattivo, contro ogni previsione, richiama meno l’evoluzione dei vini precedenti, si apre con tratteggi di pasticceria, camomilla, erbe officinali, e una freschezza gentile che richiama profumi da profumeria francese. Il frutto racconta di mela gialla, poi sbuffi di cipria, cenni di fiori secchi. Al palato è composto e raffinato, più rotondo dei precedenti. Un Metodo Classico che si libera dal tempo lineare, per diventare racconto stratificato e profondamente personale.

Pinot Nero 2019
Prima di passare agli ultimi tre Metodo Classico viene proposto in degustazione il pinot nero vinificato in rosso. Una sfida ancora più delicata, perché priva della protezione del tempo sui lieviti o dell’alchimia della seconda fermentazione. Le uve che danno origine al rosso provengono da due vigneti situati sui Colli Berici, uno si trova a circa 280 metri di altitudine, con esposizione nord-est, e beneficia di ottima ventilazione, che consente una gestione agronomica poco interventista. L’altro è posto più in basso, a 150 metri, su suolo di argilla rossa. Entrambi sono coltivati con criteri ispirati alla biodinamica, seppur senza certificazione ufficiale. Il primo vigneto è stato impiantato nel 2012, il secondo nel 2008. Insieme formano un mosaico che Marco Buvoli ha usato, fino all’annata 2019, per comporre un’unica cuvée: «Li vinificavo separatamente, perché maturano in tempi diversi, ma poi li univo prima dell’imbottigliamento. Il risultato era superiore alla somma delle parti». A partire dalla 2020 (in uscita nel 2025), i due vigneti saranno invece proposti come cru distinti, a testimonianza della maturità raggiunta dal progetto. L’annata in degustazione è la 2019, un anno che Buvoli descrive come «quello che mi ha riconciliato con il pinot nero in rosso». Dopo una serie di vendemmie siccitose e anticipate, il 2019 ha riportato freschezza ed escursioni termiche. La vinificazione prevede 15 mesi in tonneaux, a cui seguono 3 anni e mezzo di affinamento in bottiglia, nessuna filtrazione, solo travasi per decantazione naturale. Il vino entra in bottiglia in primavera e, dopo almeno quattro anni dalla vendemmia, raggiunge il mercato.

Nel calice, il colore è granato luminoso, cristallino. Apertura di frutti di bosco maturi, visciola, mora, ciliegia nera, ma non mancano sfumature di fragola selvatica, seguite da un sottofondo di spezie dolci, tostatura e note balsamiche. Emergono liquirizia, polvere di cacao, tabacco dolce, fino a tocchi di erbe officinali. Il tannino è setoso, la freschezza bilancia la struttura, e la persistenza si sviluppa con grazia su toni tostati e speziati. Anche per questo rosso la matrice francese è chiara, tanto che qualcuno nel pubblico l’ha definito «un rosso d'oltralpe nato sui Colli Berici dalla mano di Monsieur Buvolì».

Metodo Classico Super Sei Blanc de Noirs Extra Brut
Metodo classico che non viene prodotto tutti gli anni, ma solo negli anni “Super” sboccato a gennaio 2024, 3,75 g/l il residuo zuccherino, anche in questo caso il vino è il risultato di una cuvée basata su più annate conservate in legno e acciaio, selezionate proprio per esprimere quella fase di passaggio tra esuberanza e profondità.

Torna una splendida sfumatura dorata che tradisce l’inizio dell’evoluzione ma conserva una luce giovane e brillante. La bollicina è viva, fine, persistente, capace di accompagnare il vino senza sovrastarlo. Al naso si avverte subito il doppio registro che rende questo spumante così speciale: da un lato la freschezza dell’agrume: scorza di limone, cedro, lime; dall’altro, canditi, fiori secchi, spezie dolci e un accenno vegetale che richiama erbe officinali. Una trama olfattiva già avviata verso la complessità terziaria e dal grande potenziale evolutivo. Il sorso è coerente e vibrante. L’attacco è teso e fresco, la carbonica incisiva ma ben gestita, mentre la struttura resta snella e precisa. In bocca ritornano gli amori citrini, i profumi da forno e un’idea di dolcezza secca.

Metodo Classico Sette Rosé Saignée Extra Brut
Affinato per sette anni sui lieviti, sboccato nel febbraio 2024, prodotto esclusivamente dal vigneto storico sui Colli Euganei - viti di Pinot Nero vecchie oltre 60 anni, radicate su suolo vulcanico di trachite a un’altitudine di 400 m s.l.m. La cuvée è composta da tre annate, tutte vinificate e affinate interamente in legno, un passaggio fondamentale secondo Buvoli per dotare la base spumante delle caratteristiche antiossidanti necessarie a sopportare lunghi anni di affinamento in bottiglia. Il terreno in cui crescono queste vecchie viti è un elemento chiave: la trachite porosa, ricca di minerali e capace di trattenere e rilasciare lentamente l’umidità, offre alle radici un equilibrio costante. 

Il colore è un rosa salmone brillante, lucente e denso, che introduce un naso ricco e maturo. Le prime impressioni evocano il frutto, albicocca disidratata, scorza d’agrume candita, oltre a suggestioni di lievito, tostatura leggera e un tocco speziato finissimo. Al sorso, il vino rivela tutta la sua potenza: struttura, freschezza e sapidità convivono in perfetto equilibrio. È un vino di carattere, con una bellissima materia e una lunghezza che colpisce, anche per quella nota salina, quasi iodata, che rimane impressa.

Metodo Classico Dodici Blanc de Noirs Extra Brut
«Un’opera giovanile, era il 2011 e ho voluto fare una partita destinata a durare tanto. La base era particolarmente acida, ed ero ancora alla ricerca di uno stile» racconta Buvoli, e aggiunge che la riserva perpétuelle conteneva un numero limitato di basi, molto acide. Sboccatura gennaio 2023, più di 14 anni in bottiglia, 1,5 g/l il residuo zuccherino.

Oro liquido, luminoso, vivo, debutta all’olfatto su suggestioni fungine, iodate, salmastre, poi con franca esuberanza entra una sensazione floreale di rara eleganza, cui seguono cenni di miele e cera d’api. Naso fine e intrigante, mutevole e con numerose cose da dire, una nota fumé accompagna all’assaggio. Al palato si rivela morbido, avvolgente, soffusa si assapora l’effervescenza, ha salinità e freschezza da vendere, ma non manca di equilibrio e grandezza.

Otto vini, un solo vitigno, infiniti modi di raccontarlo. Il pinot nero è così: esigente, sfaccettato, imprevedibile, mai banale, e Marco Buvoli lo dimostra con ogni bottiglia.