Negroamaro e Primitivo. I due grandi rossi di Puglia

Accompagnati da Sergio Libanore, ci addentriamo in una terra che sa di Mediterraneo, alla (ri)scoperta di due fra i più sottovalutati vitigni italiani, il cui potenziale ancora non del tutto espresso segna la strada per un futuro da primato.

Ilaria Menci

Da sempre rinomata per essere una delle regioni più importanti dal punto di vista gastronomico, la Puglia non si può dire sia stata altrettanto centrale dal punto di vista vitivinicolo nel corso della sua storia. Una produzione molto abbondante, buona struttura e poca acidità: queste, per tanto tempo, le esclusive caratteristiche con le quali erano definiti i vini pugliesi, un tempo spesso destinati al taglio dei vini esili prodotti nell’Italia del Nord. Oggi, però, la situazione è decisamente cambiata. 

Un po' di storia

Risalgono al Medioevo i primi scambi commerciali verso porti del nord Italia e non solo, ma è con l’arrivo della fillossera, che in Puglia almeno all’inizio della sua diffusione non attecchisce, che la produzione di vino raggiunge numeri molto elevati. La Puglia produce il vino per il resto dell’Italia e dell’Europa, tanto da meritarsi l’appellativo di “Cantina d’Italia e d’Europa”.
Se la quantità non è mai stata un problema, la qualità dei vini pugliesi non ha però sempre brillato. Bisogna attendere gli anni ’80 per raggiungere i primi livelli qualitativamente interessanti e che hanno fatto sì che anche in Puglia fosse possibile ottenere DOC e DOCG, oggi rispettivamente 28 e 4.

Una figura centrale della rinascita del vino pugliese è certamente quella di Severino Garofano, enologo di riferimento per molti produttori e che, arrivato in Puglia nel 1957 munito di una forte passione per questa terra e soprattutto per il suo negroamaro, riuscì a far emergere tutto il potenziale di questi vini, cambiandone radicalmente il passo e dimostrando come fosse possibile raggiungere vette insperate di eleganza e longevità.

Da sempre carente di acqua, la Puglia (da “a-pluvia“, ovvero “senza pioggia”) riesce a sopperire a questo elemento con l’aiuto di tre fattori che possiamo unificare nell’acronimo di G.A.F., come ha sottolineato Sergio Libanore. G come “gravine”: sono i grossi canyon naturali scavati nella roccia calcarea dove l’acqua si accumula e può essere utilizzata quando necessario. A come “alberello”: oggi utilizzata in Puglia per il 20%, è l’unica forma di allevamento che resiste bene alla penuria di acqua, quindi sinonimo di qualità. Infine F come “fortuna”: ebbene sì, ci vuole anche quella che non può mancare mai.

Il negroamaro

Di probabile origine balcanica – Illiria, parte sud-orientale dell’ex Jugoslavia –il negroamaro lo ritroviamo a inizio ‘800 in Campania con il nome di olivella, mentre a Barletta era chiamato porcinaia. Già dal nome questo vitigno ci racconta di sé: oltre a Niuru-Maru (nero-amaro, modo in cui viene chiamato in dialetto), sembra derivare anche da Niger-Màvros (nero-nero, in latino e in greco). Negroamaro significa anche Salento, perché di fatto è qui, e solo qui, che cresce bene mostrando tutte le sue peculiarità. Il motivo? La risposta è nella contemporanea presenza di tre elementi, imprescindibili l’uno dall’altro: Il caldo torrido, che in questa zona è ben presente; l

  • a distanza di soli 30 km (nel punto più stretto) tra una costa e l’altra, sinonimo di microclima perfetto, ventilazione e mineralità; l
  • ’argilla, che qui è profonda, trattiene l’acqua che serve alla vite e che la vite va a cercare in profondità. L’uva ha una b

uccia spessa, polpa succosa, grande ricchezza di materia colorante e di antociani e un buon contenuto di zuccheri.

Il vino

Dotato di grande versatilità, troviamo il Negroamaro utilizzato nella produzione di moltissime tipologie: rosati, spumanti, novelli, rossi di corpo, rossi da blend e, perché no, si è provato a dargli anche la veste di gelato. Anche gli stili di vinificazione spaziano da quello tradizionale, che non prevede l’utilizzo del legno, a quello moderno, che va incontro alla domanda dei consumatori, fino ad arrivare a uno stile che potremmo definire estremo, con vini molto concentrati ed alcolici, o ai  “Super Pugliesi, nei quali il nostro negroamaro viene usato in blend con vitigni internazionali.

E a proposito di blend, il negroamaro è perlopiù un vino solista, ma ha anche la capacità di accordarsi con altri vitigni, dei quali sfrutta le caratteristiche per creare una sinfonia di ottima armonia. Tra questi non possiamo non citare la malvasia nera, che apporta colore e profumo, e riesce anche a stemperare il tannino del negroamaro. Il susumaniello, oltre a colore e profumi, si porta in dote un’accentuata freschezza, il lambrusco Maestri rafforza invece il colore nei vini più esili e, infine, non manca neanche il suo cugino più prestigioso, il primitivo.

Ma quali sono i tratti distintivi di vini a base negroamaro? Un’ottima acidità, sempre molto presente, sentori minerali e iodati, un finale amarognolo. E poi i profumi: si spazia dai frutti rossi (ciliegia, amarena e prugna), alle note floreali (viola, rosa e oleandro), ma anche erbe aromatiche (alloro, origano e mirto) fino a note eteree (ceralacca e smalto).

Le degustazioni - Negroamaro

Salento Rosso IGT “Five Roses” 78° Anniversario 2021 - Leone de Castris

Primo vino rosato imbottigliato in Italia nel 1943, il Five Roses è dedicato al numero 5, come il nome della Tenuta “Cinque Rose” e come il numero di figli che ogni capostipite della famiglia De Castris ha avuto da generazioni. Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, il generale Charles Poletti, commissario per gli approvvigionamenti delle forze alleate, chiese una grossa fornitura di vino rosato, le cui uve provenivano proprio dal feudo Cinque Rose. Ma il generale voleva un vino dal nome americano, e non ci si mise molto a trovarlo: nacque così il Five Roses.

Realizzato con un blend di negroamaro (80%) e malvasia nera (20%), questo rosato nasce da una macerazione di alcune ore a basse temperature e successivo affinamento in acciaio. Rimaniamo immadiatamente incantati dal suo aspetto, un petalo di rosa, tenue e delicato. Ci sorprendiamo subito dopo trovando al naso della frutta rossa giovane, mirtillo, ribes e lampone, accompagnata da una piacevolissima nota agrumata, pompelmo rosa, mandarino. Sullo sfondo riusciamo a percepire anche sentori floreali, una rosa giovane e fresca e tocchi di cipria. Al sorso prevale certamente l’acidità, e ce lo aspettavamo, una freschezza spiccata affiancata a una piacevole corrispondenza agrumata e a note di rosmarino sul finale. Nel complesso un vino masticabile e piacevole. Degustandolo lo pensiamo accostato alla puddica, tipica focaccia pugliese, ma anche a un piatto di cozze gratinate al forno e, perché no, ad un millefoglie di riso gamberetti e zucchine.

Salento IGT Negroamaro “Nero di Velluto” 2018 - Feudi di Guagnano

A Guagnano, in provincia di Lecce, la cantina Feudi di Guagnano propone un Negroamaro in purezza, con la particolarità di essere vendemmiato nella seconda decade di settembre e di fare, inoltre, un appassimento di 30/40 giorni. L’affinamento è di 12 mesi in barrique di rovere. Il risultato nel bicchiere è un rosso tendente al granato, lucente e di buona consistenza che ci accoglie, avvicinandolo al naso, con profumi intensi di prugna e ciliegia mature, carruba, e ancora uvetta, cacao, cioccolato, spiccate note di erbe aromatiche, alloro e rosmarino, sentori di spezie dolci, chiodi di garofano e cannella. In bocca entra potente, si fa masticare. Ritroviamo la cannella e scopriamo note balsamiche sul finale, che risulta anche leggermente amarognolo, ma anche questa è una tipicità del negroamaro.
Immaginandoci seduti in qualche magico angolo pugliese, lo abbiniamo senza dubbio ad un piatto di troccoli alla Daunia e, immancabili, a delle succulente bombette pugliesi.

Salice Salentino Rosso “Passione Italia” Riserva 2016 - Cantine San Pancrazio

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un negroamaro in purezza, vendemmiato tardivamente nella terza decade di settembre. La maturazione avviene in barrique di rovere per 16 mesi.
Tipicamente granato, con questa riserva troviamo profumi più evoluti e scuri. Alla frutta matura, ben presente, si aggiungono nitidi sentori di china, rabarbaro, grafite, humus, terriccio. Le spezie sono una vera esplosione: vaniglia, chiodi di garofano e cannella avvolgono il naso. L’assaggio ci parla di un vino ancora una volta molto masticabile, dove il tannino è evidente ma non invadente, l’acidità è ancora ben sostenuta e la persistenza è innegabile.
L’acquolina in bocca è ormai a buoni livelli, quindi come non sognare immaginando questo vino in abbinamento a delle orecchiette al forno con melanzane e scamorza o a una gustosa fonduta di caciocavallo con cipolla caramellata.

Il primitivo

Le origini di questo vitigno sono da cercare con tutta probabilità in Ungheria, nella vecchia Mitteleuropa, dove si pensa fossero presenti i suoi antenati. Sì, perché il primitivo nasce da un’ibridazione tra un vitigno a bacca bianca, il gouais blanc, e uno a bacca nera, del quale si sono però perse le tracce. Prima di arrivare a chiamarsi primitivo, ha viaggiato molto, portato in giro dagli schiavi che sfuggivano alle persecuzioni ottomane, fino ad arrivare in Puglia, a Gioia del Colle. Spetta al canonico gioiese Francesco Filippo Indellicati il merito di aver impiantato a Gioia il primo vitigno di primitivo alla fine del ‘700. Uomo di grande cultura, un appassionato studioso di botanica e di agronomia, Indellicati capì subito le potenzialità del vitigno e ne rese possibile lo sviluppo. Poiché l’uva di quei ceppi maturava con notevole anticipo rispetto agli altri vitigni, sembra che abbia lui stesso coniato il termine “primativo” o “primaticcio”. Una peculiarità di questa varietà sono i racemi, grappoli che prendono origine dalle femminelle e che maturano tardivamente rispetto ai grappoli normali. Il risultato è la possibilità di fare una seconda raccolta, anche se il vino che ne deriva non può rientrare nelle DOC.

Il vino 

Sono due le caratteristiche distintive di questo vino. Da una parte il tannino, che non sarà mai grezzo o aggressivo, ma setoso, vellutato, morbido e disteso. Dall’altra l’instabilità del colore, che nel tempo tende a sfumarsi. Il Primitivo, come il cugino Negroamaro, non manca di versatilità e lo vediamo prodotto in molte tipologie, dal rosato allo spumante, dai rossi secchi ai rossi dolci liquorosi e naturali, fino a vederlo a volte sotto forma di cioccolatini.
Anche in questo caso troviamo diversi stili di vinificazione, dal tradizionale che non prevede l’uso del legno ma di vasche di cemento e ceramica, all’arcaico con un’impostazione biodinamica e sperimentazioni in anfora, fino al moderno nel quale troviamo l’uso della barrique per un gusto più internazionale.
La finezza olfattiva può assumere sfumature di frutta (ciliegia, prugna e mora di rovo), di fiori (violetta, lavanda e rosa), di erbe aromatiche (menta selvatica, mirto e alloro) oltre che di mineralità (cenere, grafite, inchiostro). Profumi che cambiano la produzione arriva da vecchi alberelli, che invece regalano vini dai toni balsamici, mentolati, con note speziate e tostate.
Sono due le DOC: Gioia del Colle e Manduria, la prima più fresca, minerale e dal tannino più deciso, l’altra più potente, vellutata al gusto ricca di estratti. 

Le degustazioni - Primitivo

Gioia del Colle Primitivo DOC 2020 - Polvanera

La cantina di quest’azienda è scavata nella roccia a 8 metri di profondità e per scelta non utilizza il legno. Questo primitivo in purezza, è vendemmiato nella terza decade di settembre e che affina in acciaio. Ha un colore rosso rubino fitto, con una profonda nota granata e di buona consistenza. Avvicinandolo al naso percepiamo per primi i fiori, sono dei fiori di campo, una leggera nota di lavanda, ma anche una rosa quasi macerata. Arriva anche la frutta, certamente matura, prugna, susina, ciliegia, che lasciano spazio a note dolci di erbe aromatiche, timo, tabacco dolce, liquirizia dolce e cannella. In bocca emerge una bella freschezza, il tannino risulta tipicamente docile e la persistenza finale è di ottimo livello.
Giocando con i possibili abbinamenti, ci spingiamo verso una musciska (carne essiccata) o, più tradizionalmente, verso delle gustose braciole al sugo.

Salento Primitivo IGT “ES” 2018 - Gianfranco Fino

La cantina sposa nel vigneto pratiche biodinamiche e propone un Primitivo che affina 9 mesi in barrique. Dall’aspetto vivo, lucente con riflessi granati, “Es” si presenta con note olfattive nitide, precise e intense. Profumi che si susseguono inarrestabili, tra ciliegia, prugna, gelso nero, frutta secca, marzapane, cioccolato, tabacco, cannella, chiodo di garofano, amaretto pepe nero, coriandolo ed erbe come timo, maggiorana, rosmarino. All’assaggio ci incanta il tannino, perfetto, suadente, vellutato. Un vino balsamico, leggermente amaricante nel finale, persistente, insomma un gran vino.
Vino da accompagnare a qualcosa di deciso come un canestrato pugliese DOP o un fagiano ripieno e tartufato.

Gioia del Colle Primitivo Riserva DOC 2013 (magnum) - Pietraventosa

Gli anni sulle spalle di questa Riserva li ritroviamo tutti nel bicchiere, dove iln vino si mostra con una veste granata che al naso ci racconta la sua evoluzione: Avvertiamo, infatti, note di ciliegie e amarene sotto spirito, ma soprattutto note decise di caffè, rabarbaro, cioccolato fondente, fino a un cenno fumé sullo sfondo.  Anche il sorso è più potente, con una trama tannica decisa e meno vellutata del solito e una nota sapida sul finale.
È un vino per il quale dobbiamo cercare un piatto decisamente strutturato come una parmigiana di melanzane alla salentina, ma anche un piatto di amatriciana di sponsale rosso, pancetta e fonduta di pecorino.

Primitivo di Manduria DOCG Dolce Naturale 2017, vendemmia tardiva - Attanasio

Entriamo nel mondo del Primitivo Dolce Naturale. Vendemmia tardiva tra metà e fine settembre e affinamento in acciaio, si tratta di un Primitivo dal colore granato fitto, con intensi profumi di frutta secca e carruba, con note mentolate e balsamiche e rimandi di tabacco dolce e pepe bianco. Con un residuo zuccherino di 65 g/l ed un titolo alcolometrico di 16,5, è un vino che immaginiamo di degustare davanti ad un piatto di caciocavallo podolico stagionato o a degli squisiti sassanelli, tipico dolce pugliese.

Primitivo di Manduria DOCG Dolce Naturale 2017 Passito - Attanasio

È un vino certamente raro, che si ottiene solo in particolari annate asciutte che permettono di prolungare l’appassimento delle uve fino ai primi giorni di ottobre. Nel bicchiere troviamo un rosso rubino intenso, al naso è elegante e ricco, con profumi ampi, caldi ed avvolgenti di fichi secchi, confettura di ciliegie, arancia, liquirizia e mallo di noce. In bocca troviamo una giusta dolcezza non assolutamente stucchevole, e si avverte una freschezza quasi inaspettata, tannini vellutati e buona corposità.
E finalmente l’abbinamento diventa realtà, concludiamo un meraviglioso e ricco viaggio degustando questo passito con un buonissimo cioccolatino fondente al Primitivo di Manduria.