«Nel cuore la barbera, nel cervello il timorasso». A Monza è di scena Walter Massa

Una serata spettacolare, organizzata da AIS Monza e Brianza, per conoscere Walter Massa. Apprezzato da tutti come il pioniere del Timorasso, ci racconta della sua passione per questo grandioso vitigno e della meno riconosciuta Barbera.

Raffaella Radaelli

Parlare con un vignaiolo significa spesso anche lasciarsi trasportare dalla più autentica narrazione, dove la teoria cede il passo alla saggezza e all’esperienza. Incontrare Walter Massa, enologo e viticoltore con un carisma fuori dal comune, è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire: è un fiume in piena di racconti e idee innovative, che probabilmente dimostra come spesso siano i ribelli, i visionari, gli eclettici e i lungimiranti a cambiare il mondo e raggiungere obiettivi magari imprevedibili e straordinari. 

A condurre la serata è la sommelier e degustatrice Stefania Gaiba di AIS Monza e Brianza, la cui ammirazione per l’azienda e i vini di “Vigneti Massa” traspare dai modi eleganti e misurati, quando si interfaccia col vulcanico produttore.

La difesa dello Stelvin

Si parte con il botto, Walter Massa ci tiene a trasmetterci quello che più gli sta a cuore: il rivoluzionario tappo a vite o “Stelvin”. «Sto esaltando il concetto del tappo a vite con la vite, giocando sulla parola vite – tappo a vite, perché la vite dà la vita al vino. E il tappo a vite fa rispettare la vita». Sembra uno scioglilingua. Cita Franz Haas che disse a tal proposito: “Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite”.

Massa è tra i grandi promotori del tappo a vite. Non solo perché permette la riduzione dei solfiti aggiunti e delle contaminazioni del sughero, ma perché, dal suo punto di vista, rende i vini più agili e migliori nel tempo rispetto al tappo in sughero, che invece tende ad appesantire e rendere più povero il vino nella sua espressività.

Colli Tortonesi: l’importanza di fare sistema

Incalza i presenti sostenendo che vorrebbe vedere il nostro Bel Paese “volare”, facendo anche un bizzarro riferimento alla famosa canzone di Modugno del 1958. Sottolinea come l’Italia debba cambiare marcia e puntare sulla valorizzazione e implementazione delle risorse locali, che favoriscono il turismo. Si riferisce non solo al suo vino, bensì al formaggio, all’olio extra vergine di oliva, alla fragola profumata di Tortona. Crede nella possibilità di abbinare al suo vino la produzione di grappa ed aceto. Il messaggio è chiarissimo: Walter Massa ama la sua terra, il suo lavoro e non perde occasione per evidenziare gli sforzi che compie nel cercare di dare un nome a questo territorio sperduto, di una bellezza e potenzialità infinita. Sono i Colli Tortonesi, in provincia di Alessandria, un crocevia fra Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna.

L’azienda Vigneti Massa nasce nel 1879 ed è diretta oggi da Walter Massa, che appartiene alla quarta generazione. È in continua espansione e attualmente consta di 31 ettari vitati che a breve diventeranno 33, situati sulle colline di Monleale, a 300 metri di altitudine.

I vitigni coltivati sono tutti autoctoni: barbera, croatina, freisa quelli a bacca nera, il moscato bianco a bacca bianca e poi il grande protagonista, sempre a bacca bianca, vale a dire il Timorasso, con una superficie vitata di 17,5 ettari. 

Dove era nascosto il Timorasso?

Walter Massa è sinonimo di timorasso, un’uva che ha recuperato quando era ormai vicina all’estinzione. Oggi il valore di quest’uva e dei suoi vini è indiscutibile e di certo il merito è soprattutto suo. È stato il primo viticoltore a chiedere, se glielo concederanno, una quota altimetrica minima (210 metri s.l.m.) per dare la DOC al timorasso dei Colli Tortonesi, varietà che necessita di altitudine e forte insolazione. «La vite è una pianta che si sacrifica e più la mettiamo in competizione, più l’uva diventa ricca e variegata – sottolinea, con la competenza e la provocazione che lo contraddistingue –. Avrà una materia prima che fa sì che il vino diventi più intrigante dei vini di plastica che girano per il mondo!». 

Il vitigno timorasso esisteva fin dai tempi di Dante Alighieri, dal XIV secolo, tant’è che l’agronomo Pier de’ Crescenzi, noto per il suo trattato di agricoltura Medioevale, secondo per importanza dopo quello scritto in latino da Columella, scriveva all’epoca: “il gioiello della viticoltura tortonese sono i vini bianchi secchi, essi hanno uno splendido avvenire”. Tuttavia, ci spiega come questo vitigno si perse per motivi soprattutto sociali ed economici. Si pensò di investire innanzitutto nell’uva cortese, più facile da allevare e in grado di donare un raccolto abbondante rispetto al timorasso, decisamente più esigente, uva che «promette molto, produce il giusto, ma va attentamente curata in primavera». Poi, si investì nel dolcetto e nella barbera, perché a partire dagli anni ’70 non esisteva la cultura del vino, si tendeva a produrre un vino poco costoso e da bere giovane, mentre i Barolo e i Barbaresco, a base di nebbiolo, si producevano in quantità minima e venivano acquistati dai pochi aristocratici danarosi. 

Walter Massa, invece, che fin da ragazzo vive di sfide da vincere, dopo aver attentamente studiato la storia della viticoltura tortonese, crede fortemente nel timorasso, si impunta e decide di produrre un vino che faccia parlare di sé e soprattutto rispecchi il territorio. 

«L’agricoltura è la nostra grande forza e il vino è la nostra massima espressione comunicativa» afferma Massa, definendosi scherzosamente, in arte, “Massa Media”. «Nel 1987 ho vinificato 10 quintali di uva. Una persona normodotata produce 950-1.000 bottiglie di vino, io ne ho fatte 560, perché non ho mai volutamente aggiunto dell’altro vino per riempire la vasca, piuttosto ne buttavo via un secchiello. Volevo portare a fondo il progetto di fare un vino a base 100% timorasso, stavo lavorando per me, avevo 30 anni e non potevo raccontarmi barzellette. Ho avuto la fortuna di avere nel 1987 un’uva praticamente perfetta, l’ho vinificata in maniera tradizionale, ricordandomi che il vino lo fai in cantina, ma la qualità la ottieni in vigna. E sono arrivato alla bottiglia tappata, comportandomi seguendo il diritto agrario con il buon senso del buon padre di famiglia. C’era poi da fare il prezzo per una bottiglia di cui nessuno conosceva l’esistenza, un prodotto che non si può replicare. Ho guardato il mercato, i vini di Borgogna ed il Gavi del territorio, sono uscito con 7.500 lire, all’epoca il mio vino più costoso era una barbera del 1985 a 3.800 lire. Ovviamente mi diedero del matto. Ho testato il mercato, ho capito che eravamo sulla strada giusta».

È visibilmente soddisfatto mentre la sua memoria attinge alle intuizioni passate. Aggiunge che, grazie al terroir di Derthona, dal latino Tortona, ovvero territorio, si ottengono vini da invecchiamento e lui ha puntato tutto sul fare vini longevi in un’epoca in cui si producevano vini semplici. 

Così, scoperto il potenziale del timorasso e sostenuto per la prima volta anche dal padre, il quale negli anni ’60 produceva e vendeva le pesche di Volpedo perché redditizie, nel 1990 pianta il vigneto simbolo di questa cantina, il cru “Costa del Vento” e nel 2002 nasce il Derthona Costa del Vento con l’obiettivo di far fare a questo vino il giro del mondo, previsione divenuta poi realtà. In seguito nascono altri cru, nel 2004 il Derthona Serpi perché Costa del Vento con 6.000 bottiglie non poteva soddisfare la domanda di mercato e nel 2010 il Derthona Montecitorio, un vino con più eleganza e verticalità e meno potenza.

«Cru non è altro che l’abbreviazione di crocevia. Una vigna è un crocevia di luce, aria, terra, acqua, vento e mano dell’uomo».

La produzione Massa si compone quindi di più etichette con caratteristiche distintive: dal Derthona “base” sino ai cru Montecitorio, Sterpi e Costa del Vento, che rappresentano un vigneto o una singola parcella. Tutti vinificati nella stessa maniera: macerazione pellicolare a 8/12°C e successiva spremitura delle uve dopo 40/42 ore, fermentazione in bianco a 19/22°C con successivi periodici bâtonnage fino ad avvenuta retrogradazione dell’acido malico. Solo acciaio, maturazione sulle proprie fecce fini per un minimo di 10 mesi, segue poi l’affinamento in bottiglia. Il motivo ce lo spiega ancora una volta Walter Massa, parlando dei due cru Sterpi e Costa del Vento. «Scelgo di non fare quello che fanno tantissimi e bravissimi miei colleghi, due vini di punta, due cru, uno in acciaio ed uno in legno, no, decido di fare come in Francia, lo stesso protocollo affinché possiate bere e prendere in bocca la terra sottoforma liquida».

La degustazione del Timorasso

Derthona 2021 - 100% timorasso - 14% tav  (bottiglia 75 cl. – tappo a vite)

Vino prodotto da “vignaggio”, ovvero le uve provengono da più vigne quali Gattopardo, Fontana del Prete, Moronata, Marchesa e Boscogrosso, esposte ad ovest/est/nord-ovest. Il terreno è un insieme di sottosuoli di tipo calcareo, argilloso e marnoso.

Paglierino luminoso che vira al dorato, si apre allegramente al naso con sbuffi minerali e sentori freschi di pesca bianca ed erbe aromatiche, energiche note agrumate, tipiche del vitigno, si accompagnano a quelle più dolciastre e delicate di cipria. Il sorso, incredibilmente morbido visto la gioventù, è sostenuto da una spiccata acidità che va a braccetto con la componente salina, la notevole persistenza del vino lascia un finale ammandorlato.   

Derthona Montecitorio 2016 – 100% timorasso – 14,5% (bottiglia magnum)

Vino di uve provenienti esclusivamente dal vigneto Montecitorio, esposto ad est, su un terreno marnoso. 

Giallo oro vivido, il naso è profondo ed ampio, ad un primo accenno di idrocarburo seguono intensi profumi di scorza candita di cedro, miele di acacia, erbe aromatiche di timo e note resinose. L’ingresso in bocca è pieno e sontuoso, l’imponente struttura rimarca l’equilibrio fra acidità e salinità, donando al vino morbidezza e piacevolezza di beva, ravvivata da un allungo sapido.

Derthona Sterpi 2014 – 100% timorasso – 13,5% (bottiglia magnum)

Vino di uve provenienti esclusivamente dal vigneto Sterpi, esposto a sud ed ovest, su un terreno calcareo con presenza di ciottoli di carbonato di calcio e silice. 

Cristallo dorato e vivace, sfoggia un ventaglio ricco di profumi, in primis l’idrocarburo, poi sfumature di erbe aromatiche di salvia, il fiore di camomilla e sentori agrumati e penetranti di cedro si alternano alla dolcezza del miele. All’assaggio emerge l’agrume, l’ingresso è morbido, fresco e sapido, l’avvicendarsi delle sensazioni di acidità e sapidità gli donano uno straordinario ed armonioso equilibrio con un finale lungo di agrume. 

Derthona Costa del Vento 2013 – 100% timorasso – 14% (bottiglia magnum)
Vino di uve provenienti esclusivamente dal vigneto Costa del Vento, esposto ad ovest e a sud, su un terreno argilloso calcareo.

Splendido e brillante manto dorato. Ammalia il bouquet di eleganti profumi che denotano complessità ed espressività, di pregiata fattura: regnano sovrani i sentori di pietra focaia e zolfo, a seguire sbuffi di polvere di cipria, note dolciastre e saline di caramello salato, spicca la soave delicatezza del bergamotto. Al palato è avvolgente, la struttura è definita da un equilibrio sopraffino, l’acidità e la sapidità in sintonia regalano tanta morbidezza e il finale è lunghissimo, con ripetuti richiami all’agrume.

La Barbera e la sua grandeur

Walter Massa è appassionato anche di Barbera, purché abbia l’espressione precisa del territorio di Monleale. «Ho due cose che più o meno funzionano: il cuore ed il cervello. Nel cuore ho la barbera grapes, nel cervello il timorasso grapes. Voglio dare dignità alla Barbera, perché non gliel’ha data ancora nessuno!». Secondo Massa il vino Barbera è infatti un grande incompreso. «Se un tempo i falsari del vino, che erano tantissimi, quasi tutti vendevano il vino Barbera, era perché il mercato richiedeva la Barbera. Fra gli anni ’30 e ‘50 il paesano andava in città, beveva la Barbera e la trovava buona, e noi etichettavamo Barbera, prendendoli tutti in giro. Nel 1986 scoppia il caso del metanolo e, sulle bottiglie che hanno avvelenato 22 italiani, c’era scritto Barbera. Amen».  

Oltre a decidere di produrre una Barbera di ottimo livello per riscattarla, Walter Massa intende valorizzarla evocando il territorio, come è stato fatto per tanti altri vini, e il suo pensiero va a Roero, Carema, Ghemme e Gattinara, la Valtellina. Da qui la scelta di non evidenziare in etichetta la parola Barbera, ma solo il nome del territorio o del vigneto. Nascono due grandi vini ottenuti da barbera in purezza, potenti, dove la ben nota spiccata acidità del vitigno si equilibra con il tenore alcolico importante, vini capaci di esprimere con precisione e dettaglio quell’angolo piemontese: il Monleale ed il cru Bigolla.

La degustazione della Barbera

Monleale 2016 – 100% barbera – 14,5% (bottiglia magnum)

Per questo vino si applica il concetto del “vignaggio”, ovvero uve provenienti da più vigne quali: Cerreta, Fontana, Orefice, Casareggio, Campolungo, esposte ad est e a ovest, su un terreno argilloso calcareo. La maturazione avviene in botti da 228 litri per un periodo di 20-22 mesi, ulteriore passaggio in botte grande per circa 6 mesi, per poi affinare in bottiglia. 

Tonalità rosso rubino compatto. All’olfatto si percepiscono frutti scuri e maturi di ciliegia, prugna e mora, timide note floreali dal colore blu come l’iris, cioccolato e spezie dolci. All’assaggio il vino è morbido e strutturato, il tannino garbato, la notevole freschezza sostiene il sorso con leggiadria e rende il tenore alcolico meno percettibile, il finale di armoniosa persistenza con un preciso ritorno di frutta.

Bigolla 2011 – 100% barbera – 14,5% (bottiglia magnum)
Vino di uve provenienti esclusivamente dal vigneto Bigolla datato 1965, esposto ad est, su un terreno calcareo. Prima dell’affinamento in bottiglia matura in botti di legno nuovo da 228 litri per circa 24-30 mesi.

Il rosso rubino, fitto, presenta segni di evoluzione con riflessi granato. Dal punto di vista olfattivo denota un’interessante complessità ed eleganza: confettura di ciliegia e scaglie di cioccolato si fondono. All’assaggio colpisce per la freschezza, il tannino è levigato, un vino straordinariamente armonico, potente e polposo, che si congeda lasciando una scia lunghissima di frutti rossi e cioccolato.

È quasi banale sottolineare che Walter Massa ci ha sedotti e conquistati, rivelandosi un produttore capace e un comunicatore di grande personalità, instillata persino nei suoi vini bianchi e rossi. 
Comprendiamo meglio questa sua massima “La formula del vino: uva matura, buon senso e tempo”, ma per il suo spirito intraprendente, lontano da mode e schemi, ci piace di più quest’altro suo motto: “Il vino è un equilibrio sopra la follia”.