Nutrire il vigneto

Una giornata-studio presieduta da Riccardo Cotarella con la collaborazione di Davide Garofalo, per apprezzare il lato scientifico della viticoltura

Susi Bonomi

Hanno risposto in massa i sommelier e i degustatori lombardi che sono stati invitati a partecipare a «una degustazione sui generis, generalmente destinata ai tecnici, per coloro che fanno ricerca».

Un esperimento che Riccardo Cotarella, spronato dal presidente di AIS Lombardia Hosam Eldin Abou Eleyoun, ha voluto condividere con una platea di esperti sensoriali per avere un parere su quello che è un progetto, probabilmente unico nel panorama vitivinicolo, condotto seguendo un rigoroso metodo scientifico. 

Partiamo perciò dall’inizio, dalle basi teoriche che costituiscono la struttura dell’esperimento.

Per vivere, accrescersi e proliferare, la vite ha necessità di approvvigionarsi di sostanze differenti, in determinati periodi del suo ciclo vegetativo, seguendo quella che è una “dieta” personalizzata. «Il terreno contiene per natura questi elementi, ma non è un pozzo senza fine. Queste sostanze non si rigenerano e se non si ripristinano nel terreno, la pianta si vede mancare gli elementi essenziali per la sua vita», chiarisce Cotarella. 

«Chiamare concimazione quella che viene fatta nel vigneto può dar adito a confusione. Meglio chiamarla nutrizione nel senso di “apporto al terreno delle sostanze necessarie per la sopravvivenza della pianta” affinché dia le sue migliori performance»

Da qui scaturisce innanzitutto l’esigenza di comprendere le relazioni causa-effetto e cercare di mettere in pratica la tanto sbandierata viticoltura di precisione perché «dobbiamo conoscere cosa, come, quando e con cosa facciamo qualsiasi intervento in vigna. Poi, il fatto che si tratti di viticoltura convenzionale, biologica o biodinamica è secondario. L’importante è sapere cosa si fa, perché troppo spesso si interviene a caso senza alcuna evidenza scientifica». E chi meglio del Prof. Attilio Scienza, intervenuto in video, può spiegare le motivazioni della sperimentazione che si è voluta intraprendere?

«Sono cambiati gli stili di vita e il cambiamento climatico ha imposto una modifica nell’allevamento della vite. Ma abbiamo dimenticato che la vite è una liana e ha bisogno di grandi crescite: dopo il germogliamento può crescere 1-2 cm al giorno e in questa fase vive di riserve. La vite arriva a fioritura con una crisi alimentare perché le sue riserve sono al minimo»

Affinché la vite possa svilupparsi, fare metaboliti e zuccheri, ha bisogno di assorbire sostanze dal terreno, spiega il Prof. Scienza, che precisa: 

«La concimazione che negli anni ’60 -’70 era lo strumento più efficace per ridare forza alla pianta, non si usa più... Oggi si è capito che è necessario ricorrere a una concimazione personalizzata, dove l’equilibrio tra macro e microelementi deve essere programmato in funzione delle condizioni di sviluppo della pianta e del tipo di vino che si vuole produrre»

Tutto chiaro, evidente, lineare. Ma non è semplice mettere in atto una sperimentazione che dia una risposta efficace. Ciò richiede tempo, risorse, un partner disposto a credere e investire in questo progetto, come EuroChem Agro, leader mondiale per la produzione di fertilizzanti. Massimo Rossini, direttore generale della società, ha raccolto la sfida e spiega che «esiste già un prodotto diffuso in viticoltura che si chiama Special, ma abbiamo pensato di migliorarlo facendo il Perfect». Le basi ci sono, ma il progetto è ambizioso perché ci vorranno almeno tre anni prima di avere qualche evidenza scientifica. Ma vediamo nel dettaglio cosa è stato fatto.

Per eseguire l’esperimento è stato scelto un appezzamento pianeggiante di 3 ettari, suddiviso in tre parcelle equivalenti, con la stessa esposizione e giacitura, su cui insiste un vigneto di chardonnay di 12 anni con identico sistema d’allevamento e sesto d’impianto in ogni zona. Dopo un’analisi preliminare della struttura fisica e della composizione chimica del terreno, si è deciso di non intervenire sulla sezione centrale mentre in ognuna delle due zone adiacenti è stata somministrata una certa quantità di Special e di Perfect rispettivamente. Durante le diverse fasi fenologiche della vite si è provveduto a registrare l’assorbimento delle sostanze dal terreno dalle foglie, l’allungamento dei germogli, la quantità di zuccheri e acidi negli acini in ogni parcella. Vendemmia a mano effettuata lo stesso giorno, fermentazione a bassa temperatura con lieviti autoctoni senza alcuna altra aggiunta, travaso dei vini, filtrazione e imbottigliamento.

Dopo otto mesi, i primi risultati. La prima reazione è stata l’incredulità così che si è deciso di inviare i campioni alla cieca a un gruppo di giornalisti accreditati e a esperti degustatori (e la scelta è caduta su AIS Milano) per avere dei riscontri. «E sono usciti risultati così interessanti, che si è voluto estendere a una platea di degustatori e sommelier più vasta», commenta Cotarella. Ed è per questo che siamo stati invitati.

Presi per mano e guidati da Davide Garofalo, addentriamoci in questa avventura e iniziamo la nostra degustazione a partire dal campione ottenuto dal terreno non nutrito. Al naso spicca una componente agrumata, di pompelmo e lime; successivamente emerge la pesca saturnina e una leggera susina. Il corredo floreale è costituito da gelsomino, tiglio, mandorlo in fiore, verbena, note di caprifoglio e ancora mandorla pelata e anacardo. Il timbro è soffuso, pacato, lineare. All’assaggio il tono agrumato si fa più evidente. Il vino parrebbe scorrevole, se non fosse per l’acidità sferzante che ne va a frenare l’assaggio. Discreta la persistenza, resta asciutto con una nota leggera di talco. Risulta un vino po’ sfrangiato, scalettato, con cali di tensione.
I vini

Passando al secondo campione, proveniente dalla parcella nutrita con lo Special, si cambia passo. Il vino è più pieno, ricco. La gamma fruttata si fa più ampia, articolata. Ananas al naturale in scatola, leggera piccantezza, pepe bianco e cardamomo in polvere. In bocca un’acidità quasi salata. Rispetto al primo è più cremoso, compatto, fitto, elegante, dotato di una certa “saporosità”, con note cerealicole, di grano spigato, di malto. Più caldo e avvolgente del primo, dalla persistenza più marcata: decisamente un altro vino.

Il terzo, è spiazzante. Reticente, schivo nel manifestare i suoi toni vegetali, con un chiaro profilo pirazinico, tiolico; gambo d’asparago, fagiolini, felce, acetosella. Al naso il frutto è maturo e il floreale si esprime con passiflora, oleandro, giglio d’agosto, gardenia. Se nel secondo avevamo l’eleganza qui troviamo la potenza. È un vino ancora in evoluzione, ma dal potenziale enorme, con note di idrocarburi al secondo assaggio.

Fra i tre vini ci sono differenze marcate. I campioni “nutriti” hanno una viscosità maggiore, una fittezza articolata e stratificata. In bocca hanno la capacità di dare volume, mentre il primo ha buchi di tensione gustativa. E se si provasse a miscelare il 2° e il 3° vino, giusto per capire cosa succede? Il campione, preparato qualche ora prima della degustazione, si schiarisce molto nei toni, eredita l’amaricante, ma è evidente che ha una crisi d’identità. È irruento, nervoso, come scosso da vena elettrica.

La platea è entusiasta. L’esperimento è perfettamente riuscito nel suo intento. Per una volta abbiamo preso parte ad una degustazione il cui scopo era «non cercare il piacere, ma solo trovare le differenze nei vini per capire l’apporto dell’uomo sulla natura», come sin da subito aveva tenuto a precisare Cotarella.

La prossima tappa sarà capire come si comporteranno i vini all’invecchiamento. Così, l’anno prossimo, ci ritroveremo ancora qui, a riassaggiare questi stessi vini con un anno in più alle spalle e i vini della nuova vendemmia. E chissà cosa scopriremo!