Palestina: fare vino sotto assedio
Racconti dalle delegazioni
14 luglio 2025

Quando si parla di territori di guerra nulla è scontato. Lo abbiamo imparato bene con Massimo Recli e il suo ciclo di incontri Wines of War, viaggi fra vigne e cantine in zone di guerra. Il passaggio in quel lembo di terra sacro e conteso che racchiude Betlemme ne è forse il racconto più sofferto, nonché un’occasione esclusiva e al momento unica per conoscere la viticoltura e i vini di Palestina.
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8 maggio 2025. Gaza, ormai simbolo dell’intera Palestina, è ancora sotto assedio. Se ne contano le briciole e non sono di pane, perché dal 2 marzo 2025 qui non entra più nulla. Papa Leone XIV è stato appena eletto e ha da poco salutato la folla dalla loggia della Basilica di San Pietro in Vaticano invocando una «una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». Nella sala dell’UNAHotels Galles di Milano allestita per la serata «Bethlehem, Bir Zeit, Taybeh. Fare vino in Palestina», Massimo Recli - sommelier e degustatore AIS - attende di prendere la parola per portarci a Betlemme, la città che in diretta video si vede alle sue spalle. Dista poco meno di 4 ore di volo da Milano, anche se a noi sembra molto più lontana. Un vento, che appare poco gentile, scompone le cime dei pini di Aleppo e degli altri alberi che fanno da sfondo alla Nativity Square illuminata in questa sera di primavera.
«Fare questo tipo di racconti, narrare e bere questi vini per me diventa una forma di lotta e di tributo a tutti coloro che hanno a che fare ogni giorno con le difficoltà strutturali del fare vino in Palestina: a tutti gli effetti un atto eroico di resistenza. Questo è fare vino in Palestina.»
Massimo Recli non cerca parole di conforto o accomodanti per aprire la serata e come quel vento poco gentile inizia subito a sollecitare le nostre cime. Ma per arrivare a degustare il prodotto di questo atto eroico di resistenza, la strada deve partire da un primo passo: l’immersione nella storia.
Palestina una storia millenaria
La Palestina o Grande Siria, area tra Egitto e Mesopotamia (oggi Israele, Palestina, Libano, Siria, Giordania), fu culla di Fenici e Cananei, abili navigatori, mercanti, enologi e olivicoltori. La viticoltura qui vanta millenni: già dal V-IV millennio a.C. commerci di vino e olio con l'Egitto sono attestati da giare cananee. Greci e Romani ne favorirono lo sviluppo con progressi agronomici e idraulici. Tra il IV e il VII secolo, il vinum gazeticum di Gaza dominava il Mediterraneo, rivale del Falerno. Curiosità: la soffiatura del vetro nacque proprio in Palestina nel I secolo a.C. La successiva dominazione musulmana (636-1917) rallentò la produzione, più per guerre che per astinenza, ma nomea ed esportazioni rimasero elevati fino al 1500.
Nella seconda metà del 1800 due progetti illuminano nuovamente la viticoltura di Palestina. Il primo nasce intorno al 1885 con Don Antonio Belloni, frate salesiano e ligure, che sogna di fare vino in Palestina. La terra Santa doveva essere, probabilmente, nella mente di Don Antonio Belloni, il luogo perfetto in cui ricreare quel paradiso, quel giardino recintato (dal persiano pairidaeza) dove onorare Dio. Acquista 64 ettari a Cremisan, appena a sud di Betlemme, e impianta vite e ulivi, fondando anche un monastero intorno al quale la comunità palestinese cresce. Ancora oggi il tessuto sociale intorno a Cremisan orbita intorno all’aiuto dei salesiani italiani e alla produzione di vino e olio. Il secondo progetto è del 1897 circa ed è il Monastero di Latroun, costruito per mano di monaci francescani.
Palestina oggi
- Zona A: sotto il pieno controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese. Circa il 18% del territorio;
- Zona B: sotto controllo civile palestinese e controllo israeliano per la sicurezza (22%);
- Zona C: sotto il pieno controllo israeliano, eccetto che sui civili palestinesi. Questa zona comprendeva gli insediamenti israeliani e le zone di sicurezza senza una significativa popolazione palestinese (60% dei territori pari al 4% della popolazione palestinese).
Questo patto, della durata di cinque anni, avrebbe dovuto essere superato da un accordo permanente per la creazione definitiva di due Stati. Entrambi gli autori di questa firma sono morti prima di vedere il loro sogno di pace realizzato, ma sull’onda di quegli accordi molti palestinesi tornarono dall’estero, sperando che fosse davvero sorta una nuova alba di prosperità. Dobbiamo a quei sogni una parte dei vini che abbiamo degustato.
La Cisgiordania e una parte a sud del Libano sono sotto lo status di “territori occupati” - come da risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - dal 1967, a partire cioè dalla guerra dei sei giorni che determinò l’espansione dell’esercito israeliano sia nelle zone del Golan in Siria che nella penisola dei Sinai in Egitto. All’occupazione militare, negli anni si sono aggiunti insediamenti civili di coloni, con l’autorizzazione o sotto la protezione fattiva del governo d’Israele: una crescita sistematica che negli ultimi 30 anni è passata da 80.000 a 700.000 coloni nonostante il divieto della quarta convenzione di Ginevra di trasferire propri civili sui territori occupati. Il risultato delle due imposte presenze militare e civile si può riassumere brevemente in una viticoltura (per parlare solo del nostro tema) davvero eroica che ogni giorno per sopravvivere deve affrontare:
- un aumento costante di colonie israeliane con confisca della terra ai palestinesi da parte dell’esercito, al fine di spezzare l’unitarietà dei territori palestinesi;
- un aumento costante dell’occupazione di terreni considerati incolti (o resi tali da attività di sradicamento, con inondazione di liquami, con incendi, etc.);
- l’impossibilità di muoversi liberamente con sistemi di check point e barriere stradali mobili, che insieme alle bypass road (strade a uso esclusivo degli israeliani) rendono il tessuto stradale e le relative comunicazioni in Palestina inesistenti;
- un accesso limitato all’acqua (87% sotto controllo d’Israele);
- burocrazia e problematiche nell’export per il non riconoscimento della Palestina come Stato;
- le fucilazioni a vista dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, anche in vigna.
Viticoltura palestinese
La degustazione
I vini in degustazione provengono tutti da aziende gestite da palestinesi (nel nostro caso di fede cristiana) le cui viti sono nei territori occupati della Cisgiordania.
Taybeh è nota dal 1995 soprattutto per essere stato il primo microbirrificio del Medio Oriente: nasce proprio da una famiglia che sull’onda degli accordi di Oslo è tornata in Palestina dagli Stati Uniti. Dal 2013 si occupa di vinificare le uve dei propri 5 ettari di terreno e di quelle provenienti dai conferitori palestinesi delle zone di Hebron, Taybeh, Bir Zeit per un totale di circa 20.000 bottiglie/anno.
Assaggiamo il loro Nadim prodotto da uve zeini in purezza allevate ad alberello nella zona di Hebron: si tratta di una varietà a bacca bianca, anche da tavola, presente altresì in Libano e caratterizzata da elevata acidità e buon tenore zuccherino. Alla vista appare cristallino, di un paglierino trasparente che ne rivela freschezza e giovinezza. Il naso prosegue nella stessa direzione su note semplici di mela, pera, sbuffi di pompelmo e fiori bianchi. Coerente anche all’assaggio: un vino che punta sulla freschezza e sulla sapidità con un finale di pompelmo ammandorlato e avvolgente.
Domaine Kassis si trova a Bir Zeit vicino a Ramallah. Il giovane enologo Adam Kassis, che segue anche il Monastero di Latroun, ha impiantato 6 ettari di vigneto, puntando in particolare sul dabouki, per una produzione che si aggira intorno alle 30.000 bottiglie.
Se il colore di questo calice rimane sul paglierino scarico, il naso diventa decisamente più intenso, con sentori di cedro e altri agrumi, di erbe aromatiche e lemongrass, su uno sfondo caldo di fiori gialli. Sorso minerale, fresco, pulito e scattante con un ritorno gustativo sugli agrumi, canditi in questo caso, e sulla mentuccia di campo. Un vino gastronomico, che chiude sul cedro con una lunga e gustosa scia salina.
Cremisan, come abbiamo visto, è l’azienda storica della Palestina, nonché una delle più grandi. Si tratta anche della prima azienda che ha puntato dal 2008 sui vitigni autoctoni grazie agli studi italiani dell’enologo Fadi Batarseh. Dal 2017 si avvale anche della consulenza del dott. Riccardo Cotarella.
Per il bianco Hamdani Jandali siamo nella zona di Betlemme e di Hebron, dove vengono allevate le uve di hamdani, dagli acini croccanti ricchi di zucchero e con acidità moderata e quelle di jandali, con i loro sentori di frutta tropicale. Ha una veste paglierina che vira verso l’oro, e le note tropicali di mango, papaia e pesca gialla matura sono evidenti, sostenute da sfumature di cioccolato bianco, di burro e di fiori di verbena. Entra morbido e suadente in bocca per poi assottigliarsi in una chiusura fresca e in una lunga persistenza.
Philokalia è una cantina nata nel 2015 per mano dell’architetto Sari Khoury che da Parigi ha deciso di tornare in patria per ricreare un vino ancestrale. Nella zona sud-ovest di Betlemme è riuscito ad acquistare una vigna con viti tra le più antiche della Palestina: hanno tra i 60 e 110 anni di età, non sono innestate, non vengono irrigate e crescono in modo spontaneo a cespuglio o ad alberello. Nel caso di Grapes of Wrath (grappoli di ira) addirittura le vigne sono le sopravvissute all’arrivo dei bulldozer israeliani per la costruzione di una delle bypass road a loro uso esclusivo. Le viti settantenni sono rimaste in parte letteralmente ancorate ai massi rimossi con la forza dei mezzi meccanici e hanno ributtato come solo la natura sa fare. La produzione aziendale è di circa 5000 bottiglie.
L’abito dorato e velato di questo calice rileva la sua anima non filtrata e la lunga macerazione (5-8 settimane). Eppure i sentori almeno inizialmente sono sorprendentemente lontani dalle attese: è un’intensità di glicine e acqua alle rose, poi fa capolino una nota ferrosa e solo con il tempo arrivano la classica mela gialla, la mela cotogna, il tè e il pepe dolce accompagnati dalla scorza di limone. Al palato è morbido e caldo, con un tannino equilibrato, leggermente pungente e diffuso. Chiude con una nota amaricante e di ossidazione. Il vino affina in anfore di argilla costruite in Palestina.
Rimaniamo con Philokalia per il primo rosso della serata. Le uve, come nel caso precedente, provengono da varietà autoctone e antiche, ma non dichiarate, e vengono fermentate tutte insieme con una macerazione di 2 settimane. Affinamento in anfora e in acciaio, per questo vino che fa malolattica spontanea e non viene filtrato. Si presenta di un colore rubino intenso e ha profumi di karkadè, su fondo ferroso, di timo e pasta di acciughe, di tapenade di olive nere, di origano, di cera e di pepe dolce. Appare tra i sentori anche la caramella gelèe al lampone. Entra in bocca con una freschezza inaspettata; ha un tannino diffuso, un lungo finale amaro da fondo di caffè e una effusione di sapidità.

Torniamo da Cremisan per il secondo rosso della serata, interamente prodotto con baladi, uva nera dalla consistenza croccante e dalla moderata acidità. Questo vino sosta 14 mesi in barrique di rovere francese di secondo passaggio. Profuma di ciliegia quasi matura, di piccoli frutti rossi, di susina rossa, di anice e finocchietto. Un vino dai sentori eterei che entra nel palato in modo avvolgente, con un gusto di arancia e liquirizia. Tannino leggiadro, buona persistenza ed eleganza. Un vino altamente rappresentativo della Palestina in rosso.
Gli ultimi due calici sono dedicati a varietà internazionali. Il Nadim Cabernet Sauvignon sosta 10 mesi in tonneaux di rovere francese da 500 L. Ha un respiro di piccoli frutti rossi, di mora e di mirtillo. Si affacciano le spezie con il pepe, il chiodo di garofano e ancora un accenno di cioccolato e tabacco, per finire con le erbe aromatiche. Avvolgente al sorso, ha un tannino perfettamente integrato e una grande godibilità di beva, anche se l’alcol è ancora leggermente scalpitante.
Le vigne di questo vino sono giovani (8 anni) e condotte in biologico. Due anni di barrique di rovere francese di secondo passaggio per questo taglio bordolese classico che si veste di carminio e profuma di bacca di vaniglia, pepe, cioccolato e caffè, su uno sfondo di prugna dolce, mora nera e fiori rossi. Bocca piena, di grande equilibrio ed eleganza: tannino puntuale, freschezza di ginepro, chiusura leggermente amaricante di radice ed erbe aromatiche. Un vino di grande fascino.
In chiusura di questa serata memorabile vogliamo solo citare le parole del più grande poeta palestinese, che siano una preghiera e un augurio di libertà e pace per questa terra:
Mahmoud Darwish (1941-2008)