Pane e vino, storie di panificatori e vignaioli
Racconti dalle delegazioni
15 luglio 2025

Dopo il successo della prima edizione milanese, Alessandro Di Venosa e Giuseppe Vallone portano in AIS Monza e Brianza una nuova versione dell’abbinamento primordiale tra pane e vino, che mantiene intatto il suo cuore, indugiando questa volta attraverso la lente della letteratura. Un viaggio sensoriale e culturale tra gusto, parole e memoria.
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La serata ha visto duettare i due protagonisti - che si occupavano, l’uno del pane e l’altro del vino – ed è iniziata con una rapida, ma incisiva panoramica sulla “teoria del pane”. Un alimento solo in apparenza semplice, nato da un equilibrio vivo tra germe, parte amidacea, enzimi, acqua e farina. Due sono le vie della panificazione: lievito di birra per produzioni rapide, oppure pasta madre (anche liquida, il “licoli”) per tempi lunghi e risultati complessi.
La svolta? Il secondo dopoguerra e il Piano Marshall, che portò la farina Manitoba e il pane bianco: più facile, più soffice, simbolo di ricchezza. Ma oggi il pane torna alle origini riappropriandosi della sua identità agricola, sociale e culturale.
Pane da degustare: come si assaggia e si conserva
Il pane può essere molto più di un accompagnamento: diventa protagonista, al pari di vino e formaggio, quando è frutto di ricerca, materia prima di qualità e lievitazioni attente. Alcuni pani, come quelli proposti durante la serata, raccontano storie di grani antichi, fermentazioni lente e mani artigiane.
Non esiste un protocollo ufficiale per degustarlo, ma alcune linee guida aiutano. Si parte dalla vista: crosta, colore, cottura, poi si osserva la mollica, valutandone alveolatura e umidità. Non sempre una mollica compatta è un difetto: nel caso del farro monococco, povero di glutine, è una caratteristica naturale e interessante.
Segue l’analisi olfattiva e gustativa: si cercano note tostate, di cereale, nocciola, e si valutano sapidità, dolcezza e persistenza.
Conservazione? Se artigianale, dura anche una settimana avvolto in un panno, lontano dall’umidità. A fette può essere surgelato e rigenerato al momento: pochi minuti in forno o in padella e il pane torna vivo.
La degustazione nel piatto e nel calice
La serata è un omaggio ai panificatori, a chi ogni giorno impasta e cuoce con consapevolezza e passione, trasformando la terra in nutrimento. Un racconto che si snoda attraverso sei pani e sei vini, ciascuno abbinato a un frammento letterario, in un gioco a incastro tra sensi e parole.
- Baba-lab – Farro
- Lessona DOC San Sebastiano allo Zoppo 2015 – Tenute Sella
Si parte dal Piemonte per citare il pioniere del pane artigianale, che sta sui moniti, a Fobello. Eugenio Pol, classe 1960, sul finire degli anni ’90, mosso da un’intuizione, andò in moto a Lodi per incontrare un artigiano del lievito madre e tornò con un’idea chiara: farina, acqua, tempo e aria buona possono fare miracoli. Nacque così Vulaiga, micro-panificio artigianale che per anni ha rifornito i migliori ristoranti di Milano. Il suo lievito madre ha trent’anni, il laboratorio profuma di ricerca e coerenza. “Vulaiga” in dialetto è la neve che cade sottile come farina.
Un’altra visione del pane arriva da Casale Monferrato, con Baba-lab. Dietro il banco, nessun passato da fornai: Stefano e Molly Tulipano lavoravano nella ristorazione a Chicago. Il ritorno in Italia, la pandemia, e la svolta: aprire un panificio artigianale insieme a Chiara, sorella di Stefano. Baba-lab è un forno senza vetrina, dove si compra alla finestra. Tutto è curato nei dettagli: farine 100% biologiche, in gran parte del Mulino Sobrino, grani antichi e filiera corta. Il pane simbolo? Un farro monococco in purezza, pasta madre solida di 15 anni, idratazione al 60%, pezzatura da 500 g. Compatto, saporito, sorprendentemente longevo. Due percorsi diversi (Pol e Baba-lab), una sola idea: il pane merita dignità, tempo e ascolto.
La prima degustazione si apre con un pane che sorprende: profumi tostati, note di caffè e nocciola, una struttura decisa, quasi da accompagnamento gastronomico più che da semplice companatico. È il pane di Baba-lab (farro monococco e lievito madre) che con la sua eleganza essenziale racconta una tradizione antica rivisitata con sguardo contemporaneo. «Ha carattere, corpo, è un pane che reggerebbe anche un vino importante», si osserva tra i presenti.
E il vino che lo accompagna non è da meno. Si tratta del Lessona DOC San Sebastiano allo Zoppo 2015 di Tenute Sella, un blend di 90% nebbiolo e 10% vespolina, vinificato in botti grandi e barrique per 36 mesi, seguito da oltre 6 anni di affinamento in bottiglia. Le vigne da cui nasce – oggi ultra-settantenni – crescono a 330 metri s.l.m., l’altitudine media della denominazione.
Luminoso, carminio dai riflessi granati. Il naso è maturo e complesso: scorza di chinotto, erbe officinali, legni nobili, una sfumatura tostata. La vespolina aggiunge una speziatura sottile, ma incisiva. Al palato, il vino è salino, vibrante, con tannini cesellati e una freschezza sorprendente dopo dieci anni. Potente ma misurato, si apre con energia e lunga persistenza, centrando l’obiettivo della cantina: creare un vino da invecchiamento, radicato nel territorio.
«Anche la vita avrà forma di pane, sarà semplice e profonda», scrive Pablo Neruda nelle Odi elementari. «…il pane di ogni bocca, sacro, consacrato, perché sarà il prodotto della più lunga e dura lotta umana». Nella crosta rustica del pane di Baba-lab, come nell’austerità del Lessona, si ritrova quella dignità silenziosa che appartiene ai gesti antichi e al lavoro vero. Nel calice, il Lessona risuona come un’ode minerale. Nel piatto, il pane racconta fermentazioni lente, farine pure, lievito vivo. E insieme compongono un racconto corale, che va oltre il gusto: un piccolo affresco di territorio, memoria e rispetto.
- Adriano Del Mastro – Forno Del Mastro – Miscuglio evolutivo di Aleppo
- Lugana DOC Riserva del Lupo 2018 – Ca’ Lojera
Capire la farina significa partire dal grano. Il primo cereale domesticato? Il farro monococco, coltivato già 10.000 anni fa nella Mezzaluna fertile. Da lì, per incroci e selezioni, nascono i due grandi protagonisti moderni: grano duro e grano tenero. Oggi si parla spesso di “grani antichi”, ma il termine è vago. Si distinguono varietà locali - come la timilia siciliana - e varietà vecchie, selezionate nel Novecento, come il celebre Senatore Cappelli, creato da Nazareno Strampelli durante la “battaglia del grano”. Queste selezioni hanno aumentato la resa, ma ridotto drasticamente la biodiversità: in un secolo è scomparso il 75% delle varietà coltivate. Ora si torna a sperimentare, con approcci innovativi come la “popolazione evolutiva”, ideata in Siria da Ceccarelli e Grando: una miscela di varietà lasciate libere di adattarsi al territorio.
Il secondo pane in degustazione (frumenti teneri macinati a pietra tipo 2 macinate a pietra, pasta madre solida con oltre 25 anni di storia, idratazione al 70%) proviene proprio da questa sperimentazione: un pane prodotto con grani da popolazione evolutiva di Aleppo, realizzato da Adriano del Mastro, panificatore di Monza. Il suo laboratorio, "Forno Del Mastro", è una delle realtà più interessanti nel panorama della panificazione artigianale italiana. È un pane che parla di Siria, di resilienza e di memoria. Ma anche di futuro. Rivela una struttura compatta ma masticabile, un’intensità aromatica notevole, con sentori che spaziano dalla frutta secca alla tostatura. Regge tranquillamente il confronto con piatti strutturati, come uno stracotto o un brasato, ma si esalta anche con un salame stagionato e speziato. È un pane che arricchisce, che completa. Un pane così chiede tempo. Tempo per la sua preparazione – venticinque anni di vita della pasta madre, quattro ore di puntata, una lunga fermentazione di dodici ore a sei gradi – ma anche tempo per essere compreso. È un pane che racconta la pazienza, la lentezza, la maturazione.
E proprio al tempo si affida anche il vino scelto in abbinamento: una riserva di Lugana del 2018, tra i più grandi bianchi lombardi. Prodotto con uve turbiana da vendemmia tardiva, questo vino matura in acciaio per due anni e affina in bottiglia, sviluppando una personalità elegante e complessa. Il naso è sottile, con note di timo, salvia, un accenno di zafferano e un tocco di cedro. In bocca, la botrytis nobile arricchisce la materia, rendendo il sorso glicerico, avvolgente, sapido ma anche vibrante di freschezza.
Il pane e il vino si incontrano in un dialogo armonico, dove l’uno non sovrasta l’altro, ma lo accompagna. Un abbinamento che parla di equilibrio e di profondità, e che trova eco nelle parole di Pier Paolo Pasolini, che on Poesie mondane scriveva:
«Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore».
Una bellezza disadorna, essenziale, che si esprime nel pane e nel vino. Due gesti semplici, due prodotti che attraversano il tempo, portandosi dietro storie, territori e visioni. Un’esperienza sensoriale e culturale, che ci ricorda che la lentezza non è un lusso, ma una scelta.
- Tilde Forno Artigiano - Vecchie varietà
- Franciacorta DOCG Nature Ellesseddì 2020 – 1701.
A Castel Cerreto, frazione agricola di Treviglio, Simone Conti e Marisol Malatesta hanno dato vita a Tilde Forno Artigiano, realtà simbolo del nuovo artigianato del pane. Tutto nasce a Londra: lui studia editoria, lei belle arti. Una reazione allergica spinge Marisol a interrogarsi sul cibo e inizia un percorso di consapevolezza condiviso. Viaggiano per conoscere contadini e panificatori, studiano, lavorano all’E5 Bakehouse e poi rientrano in Italia. Apre così Tilde: orari ridotti, nessun compromesso, pane da filiera controllata. Nel laboratorio, un piccolo mulino a pietra consente di macinare farine fresche entro 3 giorni, da grani antichi coltivati senza pesticidi. Pane etico, radicato e resistente.
Il terzo pane in degustazione è una delle punte di diamante di Tilde. Crosta dorata e ben sviluppata, mollica soffice e alveolatura ampia. L’impasto nasce da farine fresche macinate a pietra, tipo 1 e integrale, da grani coltivati ad Arezzo. La pasta madre, idratata al 70%, offre complessità e lunga conservazione. Presente anche il farro, che richiama aromi già noti nel primo assaggio. Ma a colpire è soprattutto la visione: «Il panificatore non è più un’ombra notturna – scrivono Simone e Marisol – ma un artigiano consapevole, che dialoga con agricoltori e clienti, e si prende la responsabilità di ciò che crea».
A questo pane è stato abbinato un vino che ne condivide lo spirito, il Franciacorta DOCG Nature Ellesseddì 2020 di 1701. Il nome nasconde l’acronimo “Lieviti Solo Domestici”, cuore di una filosofia che punta all’uso esclusivo di lieviti indigeni. Dietro 1701, giovani vignaioli appassionati hanno trasformato la cantina in un ecosistema biodinamico certificato, tra vigne, animali e biodiversità, in una corte settecentesca da cui prende il nome. Le uve provengono da diversi clos, tra cui il suggestivo Clos Astralis. Il loro metodo classico è anticonvenzionale: la presa di spuma avviene con mosto congelato, senza zuccheri aggiunti, per mantenere intatta la purezza del vino. Dopo 34 mesi sui lieviti e 10 in bottiglia, il 2020 si mostra già maturo, con bollicine fini e vellutate, note di mela, pesca, agrume, un tocco di caramella mou e una chiusura mandorlata. Eleganza e profondità senza clamore.
È un vino che procede per sottrazione, come un verso trattenuto, come un respiro che resta sospeso. Ed è proprio per questa qualità rarefatta, contemplativa, che Giuseppe Vallone ha voluto affiancarlo a un testo poetico: un frammento dalla Sera Fiesolana di Gabriele D’Annunzio. Non per celebrarne l’enfasi, ma per cogliere quell’attitudine all’osservare silenzioso, al cogliere la bellezza nel dettaglio che sfuma.
«…ti sien come la pioggia che bruiva,
tiepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera…
…e su l’ grano, che non è biondo ancora
e non era verde…».
- Forno Errante – Il Timilia
- Riviera del Garda Classico DOC Valtènesi “Lettera C” 2021 – Pasini San Giovanni,
Da Cantù arriva Marco Gambarri, artigiano del pane nato nel 1986, con un percorso unico. Diplomato tecnico, approda al cibo tramite la macrobiotica, esplorando culture e cucine. Il punto di svolta è l’incontro con Frank Metzer, panificatore “filosofo” tedesco, che lavora in un piccolo garage secondo principi di sobrietà e armonia con la natura. Marco diventa suo allievo e, nel 2018, ne prende il posto aprendo il forno nello stesso luogo.
Il suo metodo è antico: impasti lenti in maglia di legno, forno a legna a combustione diretta, dedizione quasi meditativa. Il pane di Marco ha crosta marcata, mollica compatta, struttura densa, frutto di lavorazione lenta e attenta.
A questo quarto pane è stato scelto di abbinare il Riviera del Garda Classico DOC Valténesi “Lettera C” 2021 di Pasini San Giovanni, vino della famiglia Pasini da Raffa di Puegnago, Valtènesi. Un rosato fuori dal comune, nato da un’uva fragile, il groppello, parente del pinot nero. A differenza del tradizionale “groppello di una notte”, questo vino riposa 12 mesi in acciaio e 5 in clayver, contenitori di terracotta che favoriscono una lenta micro-ossigenazione. Il risultato è un rosato maturo, con colore buccia di cipolla e profumi di pesca, albicocca, rosa canina e lampone, con un finale balsamico. Al palato si allunga su una vena sapida e salina, eco del territorio.
A suggellare questo incontro, una pagina di Letteratura. È il 27 dicembre 1923, e Rainer Maria Rilke scrive una lettera a un giovane poeta. Parla della memoria, della tradizione, del paesaggio del Rodano, che evoca l’infanzia, la bellezza del mondo. E sembra parlare, senza saperlo, proprio di questa terra, la Valtènesi, con i suoi colli morbidi, le vigne, i sentieri, i pioppi come punti esclamativi nel paesaggio. Scrive:
«… questa ampia valle del Rodano… richiama appunto quelle figure, su cui da bambini le prime volte si fu presi dalla vastità e apertura e dal gusto del mondo.
Quanto bello s’adagerebbe, quanto giustamente, tutto questo nel vostro sguardo…».
- Matteo Trapasso – TraMa – Wine Grain
- Valtellina Superiore Valgella DOCG “Sol” 2021 – Barbacàn
Al centro della serata i PAU, Panificatori Agricoli Urbani, nati dalla ribellione di Eugenio Pol contro il pane bianco e anonimo degli anni ’90. Nel 2018, al Salone del Gusto di Torino, il movimento prende forma con un manifesto chiaro: unire lavoro agricolo e mestiere artigiano per portare in tavola pane sano, genuino e radicato nel territorio. Il loro simbolo è una pagnotta che somiglia a un campo di grano, immagine semplice ma potente. Il decalogo PAU, giallo e ben visibile nei forni, promuove materie prime locali, trasparenza e responsabilità.
Tra i protagonisti del movimento, presente in sala, Matteo Trapasso, che a 17 anni inizia a fare il pane, oggi guida “TraMa”, micro-laboratorio di 8 m2 che produce poco, ma con grande attenzione. Per lui, il pane è una storia da raccontare, dal campo alla tavola. Accanto a lui in sala, Daniele Noè, agronomo e figlio di panificatori, fondatore della azienda agricola Auris, coltiva grani rari e pigmentati, ricchi di antiossidanti naturali, alla base del progetto Wine Grain. Un grano che cambia colore ogni anno, cambia come un vino, riflettendo clima, terreno e tempo: un prodotto italiano che condivide col vino la stessa anima.
Il vino in degustazione è il Valtellina Superiore Valgella DOCG “Sol” 2021 di Barbacàn, una cantina che condivide la stessa visione di Matteo e Daniele: restituire voce al territorio attraverso le uve autoctone e una viticoltura rispettosa, integrata nel paesaggio. Composto per il 90% da nebbiolo (localmente chiamato chiavennasca), con il restante 10% diviso tra rossola e rossolino - due varietà autoctone ormai rare - questo vino nasce da una lunga fermentazione con macerazione estesa. L’affinamento avviene in botti grandi. Al naso emergono note di sottobosco, corteccia, mora e un leggero accento balsamico. Il sorso è teso, vibrante, in perfetta armonia con il pane di Matteo, pigmentato e ricco di antociani. Un abbinamento autentico, materico e profondo, che racconta con forza il legame tra vino, grano e territorio.
I versi di Antonia Pozzi, poetessa milanese, con radici materne a Monza, sembrano scritti proprio per raccontare questo incontro fra pane, vino e pensiero:
«Stasera, stasera, quando i volti degli uomini
saran macchie d’ombra e non più -
quando le case
al sommo
sole vibrano di luce -
io mi troverò a me stessa
nel vecchio mondo,
e profondo
sarà l’abbraccio
delle cose con me».
- Davide Longoni – Abruzzese 2024
- Provincia di Pavia Rosso “Barbacarlo” 2020 – Barbacarlo
A chiudere la serata, un nome simbolico: Davide Longoni, il panificatore che ha trasformato il pane in gesto culturale. Nato a Carate Brianza da famiglia di fornai, aveva scelto un’altra strada: laurea in geografia, lavoro in editoria. Finché una sera, a cena con Tatiana, fu colpito non dalla ragazza, ma dal pane. Chiese chi lo avesse fatto: era di Eugenio Pol. Da lì, il cambiamento. In moto a Varallo per cercarlo, lo incontrerà solo 15 anni dopo. Intanto apre il primo forno a Monza, poi a Milano. Oggi ha nove punti vendita e una scuola a Chiaravalle, dove coltiva grani antichi. Il suo pane “abruzzese”, con farine integrali, lievito madre liquido e idratazione all’85%, è un atto politico: scegliere quel pane è scegliere un modello di società.
A fargli eco, il vino di Lino Maga, icona dell’Oltrepò, il Provincia di Pavia Rosso “Barbacarlo” 2020, un rosso schietto e indomabile, difeso in tribunale per impedirne l’uso improprio. Anche il suo nome è un gesto: “Barba Carlo” era lo zio. È un vino che chiede tempo e rispetto, come il pane di Longoni. Entrambi parlano di coerenza, di territorio, di scelte difficili e necessarie.
E come scriveva Charles Baudelaire, L’Ame du vin (L’anima del vino), ne I Fiori del Male, discende nell’uomo per portare luce e memoria:
«Io accenderò gli occhi della tua donna affascinata;
A tuo figlio ridarò la sua forza e i suoi colori,
E sarò per questo, fragile atleta della vita
L’olio che rassoda i muscoli dei lottatori.
In te io scenderò, vegetale ambrosia,
Grano prezioso gettato dall’eterno Seminatore,
Perché dal nostro amore nasca la poesia
Che spunterà verso Dio come un raro fiore!».
In questo ultimo abbinamento, il cerchio si chiude. Pane e vino raccontano storie diverse ma convergenti, di fatica, di scelta, di coerenza, di fedeltà.
E allora, visto che questa serata ha intrecciato racconti e letture, non si poteva chiudere senza rendere omaggio all’autore che più di ogni altro ha celebrato vino e cibo come motori di umanità: Mario Soldati. Lo celebriamo con una citazione semplice, come un brindisi agli amici presenti e futuri:
«Che cos’è un vino senza gli amici?»
Forse è solo un liquido. Come il pane, senza qualcuno con cui spezzarlo, è solo impasto. Ma insieme diventano relazione, storia, memoria. E allora sì, anche un atto politico.