Passione Krug, ecco il libro che ne celebra la grandezza
Con la straordinaria presenza di Olivier Krug, sesta generazione della famiglia, la presentazione del nuovo libro di Alberto Lupetti, “Krug, la mia passione”, in un viaggio attraverso la storia del sogno di un uomo che voleva creare uno champagne che non esisteva.
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Alberto Lupetti è di casa in AIS Milano, ma questa volta la sala Verdi del Westin Palace Hotel è gremita di soci in attesa di scoprire il suo nuovo libro, Krug, la mia passione, raccontato in compagnia di Olivier Krug che ha voluto essere presente alla serata non solo come rappresentante della famiglia, ma soprattutto come amico. Questa è l’occasione per conoscere tutti i segreti che avvolgono questa iconica Maison di champagne svelati da chi l’ha frequentata per anni, da critico e giornalista appassionato di vino qual è, a partire dall’affascinante storia degli uomini che l’hanno resa celebre fino agli aspetti più tecnici.
Ma, innanzitutto, che cos’è Krug?
Krug è una Maison di champagne, artigianale: solo 0,3% dell’intera produzione di champagne. Si trova a Reims, ha circa 21 ettari di proprietà più le uve conferite, produce circa 800.000 bottiglie ma ne vende circa 620.000, ha 5 champagne in gamma e dal 1999 fa parte del gruppo LVMH. Ma Krug è, soprattutto, il continuo perpetuarsi, generazione dopo generazione, del sogno di un uomo, Joseph Krug, che voleva creare uno champagne di piacere, uno champagne che ancora non esisteva.
Joseph Krug, il capostipite
Nasce a Magonza (Mainz) nel 1800. Dei suoi primi anni di vita si sa poco fino a quando lo si colloca a Parigi residente in un appartamento in affitto di proprietà di un mercante d’arte. Forse agente di commercio in gioventù (si sa che viaggia molto), poi contabile nella capitale francese dove si fa notare per le sue capacità. Intraprendente, intuitivo e di ampie vedute, non si sa come né perché, nel 1934, grazie a un connazionale, riesce a ottenere un colloquio presso la maison di champagne fra le più grandi e importanti dell’epoca, Jacquesson. Alla fine di quell’anno si trasferisce in Champagne con in tasca un contratto che lo vede responsabile della contabilità, dei fornitori e dei clienti per conto della maison la cui produzione si assesta intorno a 1 milione di bottiglie. In poco tempo Joseph fa carriera, diventa amico e il più stretto collaboratore di Adolphe Jacquesson che, addirittura, lo rende socio minoritario dell’azienda per ringraziarlo della sua abilità. In seguito, i due diventeranno anche cognati, sposando due sorelle.
Tutto sembra andare bene, ma intorno agli anni ’40 dell’Ottocento iniziano le divergenze per via della qualità degli champagne. Joseph voleva l’eccellenza e prevedeva non avrebbero ottenuto nulla se non avessero posto la massima cura in ogni dettaglio della produzione. Jacquesson, invece, era un industriale e per lui, un prodotto discreto andava più che bene se profittevole. Ciò non toglie che avesse fatto molto per il mondo dello champagne (inventa le vigne a filari; brevetta la gabbietta; introduce il lavaggio automatico delle bottiglie prima del tiraggio, ecc.…). Insomma, nel 1942 avviene la separazione definitiva fra i due, pur rimanendo sempre in ottimi rapporti.
«Joseph non pensava affatto di fare una maison di champagne, tant’è che nel 1842 era disoccupato. Viene poi coinvolto da un altro personaggio e così nasce Krug: è il 1843», sottolinea Olivier. È un uomo già avanti negli anni: ne ha 42 quando nasce il primo figlio. Così comincia a tenere un diario da lasciare come eredità dove scrive le sue regole.
«Non si possono ottenere dei buoni vini senza utilizzare dei buoni elementi (parcelle) e dei buoni cru, delle buone botti, una cantina degna di questo nome e un uomo onesto che possa coordinare l’insieme».
A leggere queste parole oggi, ci sembrano scontate, ma dobbiamo pensare che siamo a metà dell’800 e, per l’epoca, risultano rivoluzionarie. Gli champagne altro non erano che dei millesimati non dichiarati, in balìa dell’andamento climatico stagionale e, in caso di annate sfavorevoli, il risultato non era soddisfacente. Joseph, diversamente, desiderava avere uno champagne piacevole, sempre, indipendentemente dall’andamento dell’annata su cui non aveva controllo. Per farlo amplia la gamma delle varietà di uve utilizzate – non solo un paio come era d’uso – ricercando in tutta la Champagne – e non solo nei cru - dei lieu-dits in grado di esprimere vini in linea con la generosità espressiva dello champagne che sognava. Una selezione parcellare, minuziosa e attenta, che lo porta anche a stringere contratti in esclusiva con i suoi conferitori di uve, alcuni dei quali in vigore ancora oggi. Perciò, sin dalla sua fondazione, Krug ha l’obiettivo di produrre un solo champagne: il migliore possibile, senza «aspettare una grande annata, ma facendo in modo che un’annata potesse essere raccontata secondo lo stile Krug» commenta, orgoglioso, Olivier.
L’evoluzione di Krug: la forza della famiglia
Se Joseph fonda la maison, si deve al figlio maggiore, Paul (I), la creazione della marca e la cristallizzazione dello stile Krug. Il diario del padre è la sua guida:
«In principio una buona maison dovrebbe avere due cuvée della medesima qualità: una leggera, per il mercato del nord Europa e l’altra per Germania, Belgio, Inghilterra e Stati Uniti».
Così come Joseph aveva creato la Cuvée N.1, l’espressione più generosa di champagne, da farsi ogni anno, e la Cuvée N.2, nei soli anni in cui i vini fossero dotati di maggiore corposità, Paul (I) riorganizza la cantina, affina la tecnica dell’assemblaggio e propone al mercato due soli champagne a rappresentare lo stile di Krug: la Private Cuvée, un sans année, bandiera dell’azienda da prodursi ogni anno e una Private Cuvée Millésimé, espressione della singola vendemmia, da farsi solo in annate di “valore” che non sempre erano le migliori, climaticamente parlando, ma che fossero in linea con gli obiettivi aziendali.
Seguendo questa linea Paul (I) diventa un uomo di successo, ma allo stesso tempo filantropo e benefattore, portando Krug al record di vendite, nel 1903, con 626 mila bottiglie (praticamente le stesse di oggi). Padre di dieci figli, lascia l’eredità in mano a Joseph (II), il maggiore. come da tradizione di famiglia.
Se Paul (I) aveva dovuto superare le avversità della fillossera, non da meno suo figlio dovette far fronte a diverse crisi. Nel corso della Prima Guerra Mondiale viene fatto prigioniero in Germania, dove rimane tre anni, ammalandosi di tubercolosi. Durante la prigionia è sua moglie, Jeanne Larousse, a occuparsi della Maison assemblando personalmente il millesimo 1915, l’unico Krug prodotto da una donna. Quando fa ritorno in patria è molto malandato. Nonostante ciò, guida l’azienda per molti anni ancora (morirà a 98 anni), affiancato da Paul (II), suo unico figlio, che traghetterà Krug verso il futuro.
Il primo problema che Paul (II) si trova a dover fronteggiare è la ricostruzione dello stock di vini ridotta drasticamente a causa della Seconda Guerra Mondiale. Poi, negli anni ’60 del secolo scorso, si trova a contrastare il fenomeno dei piccoli vigneron che ambiscono a diventare produttori smettendo di conferire le proprie uve. La concorrenza nel mondo dello champagne si fa agguerrita. Krug rischia di non poter avere più le uve necessarie per mantenere alta la qualità e l’unica soluzione è acquistare vigneti propri per avere uno “zoccolo” duro di non meno del 20% della produzione. Vende tutte le proprietà, ma non i suoi vins de réserve, i suoi tesori più preziosi. Non basta. Decide così a malincuore di far entrare un socio cedendo il 35% della Maison, per garantirsi la solidità finanziaria, e alla fine si ritrova con quasi 26 ettari di vigneti con le caratteristiche di qualità desiderate. Infine, introduce i tini in acciaio per proteggere dall’ossidazione i suoi vins de réserve fino ad allora conservati in magnum.
Il cambio generazionale avviene con i suoi due figli maschi, Henri e Rémi, che si rivelano complementari: il primo, il papà di Olivier, geniale nell’assemblaggio, e il secondo mago del marketing, dotato di un eloquio affascinante. Nel 1971, nell’assemblare la Private Cuvée e la Private Cuvée Millésimé, Henri si accorge che sono troppo simili. Ha così il coraggio di ricominciare da zero reinventando il nuovo sans année: aumenta la % di chardonnay, porta i vins de réserve tra il 30% e il 50%, crea un assemblaggio sofisticato basato su 50-60 vini di 7-8 annate, introduce una nuova bottiglia e passa al tiraggio con il tappo a corona al posto di quello in sughero. Nasce così la Krug Grande Cuvée, che vede il suo debutto nel 1978. «Mio papà parlava molto poco, 2-3 parole al massimo, a differenza di me e di mio zio…», «tranne quando si trovava con un appassionato di vini: allora diventava molto loquace e sapeva spiegare gli assemblaggi di Krug come nessuno» gli fa eco Alberto.
Per 130 anni Krug ha avuto solo due champagne, il sans année e il millesimato, perpetuando la visione di Joseph con innovazioni e migliorie. A un certo punto Henri e Remi decidono di creare diverse altre espressioni di Krug e così nascono: Krug Rosé nel 1976, Krug Clos du Mesnil - un Blanc de Blancs, chardonnay 100% - nel 1979 e Krug Clos d’Ambonnay - Blanc de Noirs, pinot noir 100% nel 1995. Da allora sono cinque gli champagne di casa Krug.
Krug Grande Cuvée: la tridimensionalità
L’essenza di Krug, ieri come oggi, è identificata dalla Grande Cuvée. «Confesso che, all’inizio, la mia classifica personale vedeva come top del top Krug Clos du Mesnil seguito certamente dal Millesimato, e snobbavo un po’ la Grande Cuvée. Oggi finalmente ne ho capito l’importanza, ma mi ci è voluto tempo» ammette candidamente Lupetti. E questo perché non è un sans année, seppur di lusso, come anche la maggior parte degli appassionati pensa, ma «l’espressione più generosa dello champagne», per dirla con le parole di Joseph.
A chiarire l’importanza della Grande Cuvée ci pensa Margareth Enriquez, al vertice dell’azienda dal 2009 al 2022, in occasione del lancio del Krug Clos d’Ambonnay 1996. «Durante la cena alla Maison, la sera prima, le racconto delle preferenze di noi italiani per Krug, che ricalcano la mia personale classifica. Allora lei prende un foglio e mi disegna un punto». «Vedi, Alberto. Questa è l’espressione puntiforme dello stile Krug. Sono i Clos: un solo vigneto, una sola varietà d’uva e una sola annata. Il Millesimato, che a te e agli italiani piace tanto, invece, è un’espressione bidimensionale: tre varietà e una sola annata. Ma la vera ricchezza di Krug, la tridimensionalità, ce l’ha la Grande Cuvée: tre uve e tante annate». Talvolta basta uno schema e tutto è più chiaro.
La Krug Grand Cuvée, oggi, è fatta con un’ampia selezione parcellare, addirittura 1-2 vini per parcella perché in punti diversi di questa si possono avere delle differenze sensibili, ampio uso dei vins de réserve, fermentazione tradizionale in legno, almeno 6 anni sui lieviti e minimo 1 anno di sosta dopo il dégorgement. E ogni volta la combinazione è diversa, non esiste una formula. Tre le versioni in degustazione.
Krug Grande Cuvée 170ème Édition - Il Krug del momento
Assemblaggio di 195 vini su 12 annate dal 1998 al 2014. 45% di vini di riserva. Dégorgement: 4° trimestre 2021. La forte identità di Krug sta nella freschezza, nella precisione, nelle tostature, nel tipico sentore di brioche. E tutto questo si trova in questo champagne che avrà decenni di vita davanti a sé, evolvendosi sempre. L’Édition sta a indicare che questa è la 170a volta che viene ripetuto lo champagne secondo la visione di Joseph, ed è, ancora una volta, un successo.
Krug Grande Cuvée 166ème Édition (magnum) - Il Krug della svolta
È la Grand Cuvée del futuro, quella dello slancio, in cui aumentano i vini che costituiscono l’assemblaggio: 140 su 13 annate dal 1998 al 2010. 42% di vini di riserva. 7 anni sui lieviti, per la magnum. Dégorgement: 3° trimestre 2018. Anche qui emerge la freschezza, colonna vertebrale di Krug. Più generoso del precedente, cominciano a percepirsi note di idrocarburo e di caffè.
Krug Grande Cuvée 162ème Édition - Krug e il tempo
163 vini diversi di 11 annate dal 1990 al 2006. 42% di vini di riserva. Dégorgement: 4° trimestre del 2016. Va ad arricchirsi di aromi sempre più sofisticati, di moka e di caffè sempre più evidenti. La bocca è una rivelazione. Nonostante 2006 sia stata un’annata molto calda, viene fuori l’energia, la pulizia e ancora la freschezza di Krug.
Krug nel XXI secolo
Gli uomini della famiglia Krug si sono passati il testimone anno dopo anno, ma altri personaggi si sono affiancati fino a lasciare la loro impronta indelebile nel marchio. Uno di questi è Eric Lebel, assunto direttamente da Henri, chef de cave di Krug dal 1998 al 2020, «ponte “tecnico” tra Krug familiare e la Krug del terzo millennio», come si legge nel libro di Lupetti. Lui apporta l’ammodernamento all’interno della Maison ed è da questo momento in poi che aumenta la % dei vini di riserva, inizia lo studio dei suoli, la catalogazione delle parcelle, e si stabiliscono i tempi di maturazione per la Grand Cuvée (6 anni più 1 per la magnum).
I cambiamenti all’interno della maison Krug sono sempre stati molto lenti. Per 160 anni quella che oggi è la Grand Cuvée non aveva identità, non aveva menzioni. Era quella e basta, nessun consumatore sapeva cosa ci fosse dentro. Margareth Enriquez ebbe l’idea di far incidere con il laser, su ogni bottiglia, un codice di 6 cifre, il Krug iD, per poter rintracciare la carta d’identità di ciascuna bottiglia sul sito di Krug. La prima cifra identifica il trimestre del dégorgement, le due successive l’anno, le altre 3 altri dati su lotto, tipo di liqueur, tappo e fornitore. Ma bastava che variasse solo il periodo di dégorgement perché la stessa Grande Cuvée fosse identificata con codici differenti creando confusione. L’aver messo l’Édition direttamente in etichetta è stata una rivoluzione. Così la maison con più segreti diventava quella con maggior trasparenza. Secondo Olivier «è stata l’unica dimenticanza di Joseph: aveva scritto tutto, annata per annata, ma non l’Édition che permette di sapere tutto di quella bottiglia senza essere dei tecnici. Per questo dico che Krug è il sogno di un uomo». Per conoscere il periodo di dégorgement non serve far altro che leggere le tre cifre riportate sul tappo!
Dal 2020 è una donna la responsabile della cantina, la cheffe de cave: Julie Cavil. Con un comitato di degustazione formato da 7 persone più Olivier - quando non è in viaggio - degusta in pochi mesi 300 vini diversi della vendemmia in corso più 150 vini di riserva. Mediante un’app, chiamata “Black Krug”, si raccolgono le note di degustazione di ognuno e alla fine è il tutto un lavoro di squadra che permette a Julie di individuare cosa entrerà a far parte della Krug Grande Cuvèe, la più importante, e negli altri champagne.
Il Krug Rosé
All’inizio degli anni ’70 del Novecento, gli appassionati chiedono a Krug perché non facesse un rosé. All’epoca lo champagne rosé era associato all’idea dei bordelli: si beveva a fiumi e non rientrava nei piani della Maison che, invece, puntava all’eccellenza. Nel 1971 Rémi chiede al fratello di pensarci perché la richiesta dei Krug lovers era alta e lui sarebbe riuscito a piazzarlo facilmente. Ma Henri non è convito. Il discorso cade nel dimenticatoio fino a quando, nel 1976 Henri chiede al fratello Rémi: «Sei ancora dell’idea di fare un Krug Rosè? Perché questa annata è stata calda, potrei avere un vino rosso che mi permetterebbe di fare questo rosso che tu hai in testa», racconta Lupetti. Quindi il 1976 è la prima annata di Krug Rosè che verrà presentato nel 1983 in un pranzo a Parigi tutto imperniato sulla sua versatilità a tavola.
Ma cos’è questo champagne rosato? «È un Krug rosè ovvero un rosè secondo Krug. Non è la Grand Cuvée aggiunta di vino rosso. Si tratta di un assemblaggio completamente diverso» precisa Olivier. Il Krug Rosè non ha mai convinto Lupetti fino alla 24ème Édition che lo stupisce. Nel 2022 assaggia la 25ème Édition e ricapita lo stesso. Non poteva più essere un caso. Cosa era successo? Eric Lebel aveva cambiato qualcosa nell’assemblaggio andando a creare finalmente un rosé con una personalità unica. Lo capiremo con la degustazione.
Krug Rosé 25ème Édition - Il Krug sorprendente
28 vini di 5 annate dal 2008 al 2013, 56% di vini di riserva, 6 anni sui lieviti più altri 3 anni post-dégorgement. 45% pinot noir, 30% chardonnay, 25% meunier. È un rosé d’assemblage con l’11% di vino rosso proveniente da Aÿ. È un Krug, prima di essere un rosato. Si ritrova la precisione di Krug, la sua delicatezza e la colonna vertebrale, la freschezza, attorno alla quale si sviluppano note speziate e di agrumi rossi. Dà il meglio di sé a tavola. Si comporta un po’ come un vino rosso, versatile con la carne e ottimo con tutta la cucina italiana. Il carattere Krug è qui declinato con eleganza, mentre la Grande Cuvée si ricercava la generosità.
Krug Rosé 21ème Édition (magnum) - Per scoprire quella che da Krug fu una piccola rivoluzione
57 vini di 6 annate dal 2000 al 2008, 66% di vini di riserva, 7 anni sui lieviti più altri 6 anni post-dégorgement. 51% Pinot noir, 41% chardonnay, 8% meunier. Naso molto più delicato del precedente nonostante abbia avuto più tempo per evolversi e il formato della bottiglia. Si ritrova il carattere agrumato, la firma del Krug Rosè. Bocca più generosa, più giocata sui frutti rossi. Un vino non ancora compiuto, che deve cercare il proprio cammino.
Oggi le vinificazioni sono fatte per il 60% a Reims e per il 40% ad Ambonnay dove è stata creata una nuova struttura tutta naturale, perfettamente integrata con l’ambiente e dove, in futuro, verrà gestita la vinificazione di Krug e tenuti i vini di riserva. La dimostrazione che il meglio deve ancora arrivare.