Piwi, AIS Monza dà voce ai vitigni resistenti

Guidati da Sara Missaglia e con la partecipazione della cantina Nove Lune, i soci di AIS Monza hanno potuto approfondire un argomento di grande attualità come quello che riguarda i vitigni Piwi. Obiettivo: superare pregiudizi e disinformazione, all’insegna della ricerca, della biotecnologia e della sostenibilità.

Raffaella Radaelli

Nella sede di AIS Monza questa volta è di scena una serata dal sapore insolito, dedicata ai Piwi, acronimo di PilzWiderstandsfähig, il cui significato in tedesco è: “resistente ai funghi”. Argomento per noi italiani ancora poco noto, se non addirittura misconosciuto, mentre in altri Paesi ampiamente consolidato. 

L’opportunità per fare chiarezza e soddisfare le nostre curiosità, sia teoriche che pratiche, ci è data dalla presenza di Alessandro Sala, al timone della sua cantina Nove Lune di Cenate Sotto (Bg), con l'enologo e ricercatore Gabriele Valota. 

Un vero e proprio talk show a più voci quello andata in scena a Monza, condotto da Sara Missaglia, giornalista e sommelier, che ha sottolineato come il mondo Piwi sia ancora in una fase embrionale in Italia, ma, citando il Professor Attilio Scienza,  il meticcio ci salverà, o meglio salverà la viticoltura”.

Cosa sono i Piwi

I Piwi sono vitigni innovativi dotati di caratteristiche genetiche in grado di farli resistere “naturalmente” alle malattie fungine. Non ne sono completamente immuni, ma hanno resistenze diverse in base alla varietà. Nascono dall’incrocio tra varietà di Vitis Vinifera con una piccola parte di altre Vitis di origine americana-asiatica da cui ricevono i geni delle resistenza alle principali malattie fungine. I Piwi di ultima generazione hanno nel loro DNA oltre il 95% di vitis vinifera. 

Coltivati generalmente in regime biologico, vengono chiamati anche Iper-bio o Super-bio, in quanto i trattamenti in vigna sono estremamente limitati. In annate particolarmente sfavorevoli, si parla di 3-4 trattamenti fitosanitari contro i 20-25 necessari per le varietà tradizionali.

Ibrido nasce dal latino hibrĭda, ossia mescolanza, intreccio. Dal greco ybris, vuol dire “eccesso”, “andare oltre”, “superare i limiti”. Resistono infatti ai principali parassiti della vite: oidio (Uncinula necator) e peronospora (Plasmopara viticola), con ridotta sensibilità a botrite, marciume acido e con resistenza al freddo.

L’oidio è una malattia fungina che predilige climi caldi e umidi, cosiddetta “mal bianco”, perché crea una patina farinosa bianco–grigia sull’acino (poi sulla foglia), che va ad ostacolarne la maturazione e l’ingrossamento, fino a farlo spaccare. Dall’inglese, powdery mildew, muffa polverosa, in effetti questo sarebbe il sapore del vino che ha contratto l’oidio. Si combatte biologicamente con lo zolfo. 

La peronospora è un fungo patogeno strettamente legato alla vite, si diffonde a partire dai 10° C in su, con piogge frequenti e infettanti. L’infezione da peronospera colpisce soprattutto le foglie, si crea una macchia gialla detta in gergo “chiazza d’olio”, fino al disseccamento del grappolo. Si contrasta biologicamente col rame. 

Non tutti sanno che solo il primo incrocio si può definire ibrido. Le generazioni successive sono reincroci, mantengono percentuali sempre inferiori dell’ibrido iniziale, fino quasi a scomparire. Da non confondere con l’innesto che è la congiunzione di due piante diverse, compatibili fisiologicamente, dove l’una ha l’apparato radicale e l’altra quello epigeo. Conosciamo il portainnesto come panacea per combattere la fillossera, ma è utile sapere che consente anche di rendere la pianta più performante, adattandosi a terreni particolari, come ad esempio quelli troppo calcarei o salini.

I Piwi non sono OGM (Organismi Geneticamente Modificati): non c’è alcuna manipolazione genetica, bensì gli incroci si ottengono per impollinazione, selezione dei semi e delle piante.

I vini ottenuti da vitigni Piwi attualmente in commercio sono circa 250: è chiaramente un fenomeno in divenire, perché gli ettari vitati sono in costante crescita. In Italia, dai 626 ettari del 2019 si è passati ai circa 1.400 ettari del 2022 (+124%), in soli tre anni. 

Come nascono i Piwi

Gabriele Valota, enologo e ambasciatore dei vitigni Piwi, ci riassume, con grande semplicità e precisione, il lavoro complesso e meticoloso di impollinazione. Il fiore della vite, ermafrodita, ovvero con una parte sia maschile sia femminile, è racchiuso nella caliptra e si autoimpollina, anche per effetto del vento e degli insetti. Per creare delle nuove varietà, l’impollinazione dovrà necessariamente avvenire per mano dell’uomo. Si vanno pertanto ad eliminare le antere che contengono il polline (Genitore 1), fase detta “demasculazione”, che richiede un lavoro chirurgico di estrema pazienza, con uso di pinzette e lente di ingrandimento, da effettuarsi su tutto il fiore, per poi spennellare del polline di un’altra varietà (Genitore 2). A questo punto tutte le infiorescenze verranno insacchettate, cioè chiuse con dei sacchetti di carta resistenti alla pioggia e traspiranti, per evitare contaminazioni da altri pollini. A piena maturità, si raccoglieranno i grappoli ed ogni acino nato sarà un incrocio diverso che dà origine a un bacino enorme di vinaccioli con ricombinazioni genetiche diverse fra loro. I semi, una volta estratti e puliti, si preparano alla vernalizzazione, cioè alla fase fredda dell’inverno: bisogna, infatti, simulare il susseguirsi delle stagioni per portare alla nascita del germoglio. Successivamente, i semi lavati e disinfettati saranno trapiantati nei semenzai. Applicando le spore fungine si scopriranno le piante resistenti e solo sulle piante asintomatiche si procederà ad ulteriori screening genetici insieme alla verifica di altri parametri, quali ad esempio la compattezza del grappolo, lo spessore della buccia e della foglia, il portamento dei tralci, ecc., al fine di ottenere una varietà che sia la meno suscettibile possibile ai funghi e di facile gestione nel vigneto.

Falsi miti e falsa scienza

Se il consumatore non conosce ancora i vitigni resistenti, la causa è probabilmente da imputare alla  cattiva informazione e ai falsi miti che continuano a permanere. Sono quattro gli aspetti che creano diffidenza: il primo è quello di pensare che i Piwi siano OGM, mentre, a dispetto dell’acronimo che può trarre in inganno o intimorire, si ottengono esclusivamente da incroci naturali. Affermare poi che contengano malvidina diglucoside, pigmento antociano assolutamente non tossico e caratteristico delle viti americane, può trarre in inganno: serviva per individuare gli ibridi franco-americani dalle varietà pure di vitis vinifera e, a causa di questo retaggio, è tuttora posto entro i limiti di legge (<15mg/l). Un altro falso mito è quello di affermare che producano più metanolo, dannoso per la salute (in Italia il ricordo dello scandalo del metanolo del 1986 è naturalmente ancora vivo) durante la fermentazione: presente in quantità maggiori nelle uve americane rispetto alle uve da vitis vinifera, a causa di una più elevata concentrazione di pectine, in realtà nei vini da uve Piwi il metanolo si sviluppa con valori ben al di sotto di quelli minimi per legge, come dimostrato scientificamente da molti illustri studiosi. Infine, sostenere che abbiano un sapore esclusivamente foxy, cioè aromi selvatici e rustici è un retaggio del passato, assolutamente non più veritiero, come la degustazione durante la serata ha ampiamente dimostrato.

Cosa dice la legislazione

Fino a poco tempo fa, la legislazione sulle varietà resistenti (ex art. 8 comma 6, decreto legislativo 2010,) diceva che queste uve non erano “utilizzabili per i vini a denominazione di origine”. Questa legge è stata superata dalla successiva del 6/12/2021 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e afferma che: “la nuova Politica Comune Agricola (PAC) ha dato il via libera all’utilizzo di varietà resistenti (PIWI) nelle Denominazioni”.  

In Italia, però, non sono ancora ammessi dalle denominazioni di origine vini ottenuti da vitigni resistenti a causa della difformità di interpretazione tra la legislazione europea appena citata e quella italiana (Testo unico della vite e del vino – Legge 238 del 12/12/2016). 

Secondo il Regolamento Italiano sono le Regioni gli Enti competenti a legiferare in materia. In questo momento le regioni nelle quali è ammessa la coltivazione dei Piwi sono: Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo. A breve si aggiungeranno anche Lazio, Campania e Puglia.

Attualmente risultano iscritte al Registro Nazionale delle Viti 36 varietà di Piwi (18 a bacca bianca e altrettante a bacca rossa).

Possibili sviluppi futuri

Durante la serata si è accennato anche alla nuova frontiera, ovvero alle tecniche di Cisgenesi e Genoma Editing, dal momento che il Parlamento, lo scorso 9 giugno, ha approvato un emendamento al Decreto Legge Siccità ammettendo le sperimentazioni in campo TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), creando non poche reazioni nel settore. Ricordiamo che la Cisgenesi prevede il trasferimento dei geni di resistenza provenienti da genere Vitis (americana, asiatica) a Vitis Vinifera, intervenendo sul DNA, mentre il Genoma Editing modifica il gene sensibile alla malattia proprio della pianta, agendo come una sorta di “correttore di bozze” del DNA.

La degustazione 

«I vini bianchi oggi hanno raggiunto un livello qualitativo molto alto», sottolinea subito Sara Missaglia, che è anche Commissario della Fondazione Edmund Mach (FEM) di S. Michele all’Adige. Il giusto modo per approcciarsi ai vini bianchi ottenuti da vitigni Piwi è certamente quello di avere mente e sensorialità aperte alle novità, senza alcun pregiudizio o preconcetto. 

Vino bianco frizzante Joh 2021 - Achille Dellafiore
100% johanniter 

Il primo vino della serata ci porta in Oltrepò Pavese ed è prodotto da Achille Dellafiore: quattro generazioni di vitivinicoltori nel comune di Montù Beccaria, si è avvicinato coraggiosamente al mondo Piwi nel 2016.  Ci propone il vino premiato alla Prima Rassegna Nazionale Vini Piwi.
Spumantizzato con metodo ancestrale, ci viene servito coi lieviti in sospensione, secondo le istruzioni del produttore. Viene prodotto in sole 1.100 bottiglie, utilizzando il vitigno Johanniter in purezza, varietà ottenuta da un incrocio tra Riesling x (Seyve-Villard 12-481 x (Ruländer x Gutedel)).

Appare di un magnetico colore aureo, la evidente luminosità non interferisce affatto con il fondo, al contrario, sembra esaltarla. All’olfatto si rivela attraente e rinfrescante, emergono profumi estivi di pesca e ananas che si amalgamano a sentori agrumati di pompelmo, bergamotto e di timo limonato. Un naso semplice ed autentico che ribadisce il concetto “less is more”. In seconda battuta emergono accenni di pietra focaia e grafite, tanto care al riesling, anche se non facili da riconoscere in questo caso. All’assaggio si avverte un bilanciato equilibrio fra acidità e salinità, la carbonica è lieve e stuzzicante, chiude con richiami di frutta fresca.  

Vino bianco biologico “310” 2021 - Nove Lune
40% solaris, 30% bronner, 30% johanniter

I vini dell’azienda Nove Lune sono prodotti da Alessandro Sala, produttore, enologo e presidente dell’associazione Piwi Lombardia, appartenente a Piwi International. Oggi è considerato uno dei massimi interpreti e sperimentatori dei vitigni Piwi e il suo obiettivo è quello di portare avanti una viticoltura moderna e sostenibile, per salvaguardare la salute dei consumatori e l’integrità dell’ambiente. Lui stesso afferma: “Volevo dei vini vivi ed originali che conservassero tutte le peculiarità delle uve e del territorio d’origine, fatti in maniera più naturale possibile, senza l’interferenza della chimica”. 

In questo vino, oltre al johanniter, troviamo il solaris, vitigno aromatico, nato da incrocio di merzling x zarya severa x muscat ottonel, e il vitigno bronner, ottenuto dall’incrocio merzling e san lorenzo. Nel Bronner si nasconde un patrimonio genetico di tutto rispetto, avendo avuto per progenitori due vitigni nobili quali il riesling renano e il pinot grigio. La produzione è di circa 1.500 bottiglie. La fermentazione avviene in acciaio, segue un affinamento in barrique fino all’imbottigliamento. 

Dal colore giallo paglierino tenue, è un vino che si apre senza riserve e desidera raccontarsi donando un intrigante bouquet di fiori di zagara e fresia. Le note di frutti tropicali si fondono a quelle dolci di vaniglia e caramello, con sentori di idrocarburo. All’assaggio ci sorprende per integrità e schiettezza, una leggera astringenza e una freschezza incisiva. Il sorso entra saporito, con accenni di zenzero, di pompelmo e cedro, poi si ingentilisce con infuso di camomilla e tracce di lavanda e melissa. Un vino di grande struttura e persistenza, che ci stupisce al naso e  conquista in bocca! Ottimo con piatti di pesce e crostacei, ideale con la cucina speziata ed asiatica.

Rukh Orange Wine Biologico 2020  - Nove Lune
50% bronner, 50% johanniter

Il Rukh è un vino macerato e affinato solo in anfore di terracotta. Accorgimenti mirati di vinificazione e raffreddamento hanno permesso di eliminare eventuali cattivi odori o tratti amari, così da ottenere un vino aggraziato e non esasperato.

Splendida tonalità ambrata, di grande vivacità. Debutto elegante ed intenso di fiori essiccati misti a fieno, erba da sfalcio e camomilla, accenni di idrocarburo, sfumature agrumate e di pesca sciroppata. La piacevolezza gustativa rende il sorso ampio e generoso, ripercorre il sentiero olfattivo, bilanciato dalla ricchezza glicerica che si sposa perfettamente con freschezza e sapidità. Piacevolmente integrato il tannino, nonostante la lunga macerazione sulle bucce. Un vino da meditazione e gastronomico che si accompagna perfettamente a pesci grassi come tonno, salmone, anguilla, formaggi e alla cucina etnica - speziata. 

Theia Vino Passito Biologico 2021 - Nove Lune 2021
40% helios, 40% solaris e 20% bronner

Ai Piwi Award 2020 è stato considerato il miglior vino passito al mondo. Oltre a solaris e bronner troviamo in questo caso il vitigno helios, nato dall’incrocio di merzling x (Seyve-Villard 12-481 x Müller Thurgau), la cui complessità scaturisce dal coinvolgimento di circa 15 varietà. 
Il raccolto avviene quando l’uva è surmatura: dopo un ulteriore mese di appassimento in cantina e la fermentazione in acciaio, il vino viene posto in piccolissime botti di rovere da 110 litri per quasi circa un anno, per poi essere imbottigliato.

Il colore giallo ambrato lucente, di per sé, è un catalizzatore. Attrae con un esplosivo, stratificato e raffinato quadro olfattivo: albicocca, pesca, nocciola, dattero, fico, zenzero candito, vaniglia, cannella, miele, erbe aromatiche ed officinali come alloro, tocchi balsamici e mentolati, echi di incenso. Il palato è finissimo, sorretto da un notevole equilibrio fresco-sapido, intenso e lunghissimo, coerente naso-bocca. Il vino perfetto per accompagnare formaggi erborinati e foie gras. Ottimo con dolci e pasticceria secca. Oppure da bere, da solo, come vino da meditazione.

Amaro Misma 2021 - Nove Lune
Ingredienti: vino, alcol, zucchero, infusi di erbe naturali, aromi

Nell’attesa di introdurre sul mercato il loro primo vino rosso da uve Piwi, previsto per l’anno 2024, la cantina ci presenta un amaro, composto dall’infusione di 17 erbe aromatiche miscelate, anziché con acqua, con il proprio vino rosso biologico Piwi affinato in barrique. Il risultato è molto interessante. Il profilo odoroso è ricco di sentori netti quali radice di genziana e ginepro, liquerizia, tamarindo, sandalo, cannella, vaniglia, carruba, scorza di arancia, mandarino, una sfilata di olii essenziali ed erbe officinali, con profili mentolati e balsamici. L’assaggio si rivela fresco, nonostante il tenore alcolico elevato, con una persistenza infinita, un amaro per tutte le stagioni, da bere liscio o con ghiaccio.

Nove Lune ha in serbo anche un Metodo Classico: si chiama “Costa Jels”, affina per 60 mesi nell’omonima miniera di Gorno in provincia di Bergamo ed è ottenuto da vitigni resistenti , prodotto in edizione limitata. Uscirà nel 2025. 

Siamo ormai diventati “Piwi Addict”. Il ringraziamento va a Sara Missaglia e alle cantine che ci hanno avvicinato ad un tema tanto insolito quanto entusiasmante e totalizzante.