Premier Grand Cru Classé, a tu per tu con le leggende di Bordeaux

AIS Monza e Brianza ha proposto un evento unico, vera tappa obbligata per la formazione di un appassionato di vino: l’incontro degustativo con i più iconici vini bordolesi, i cinque Premier Grand Cru Classé: Château Margaux, Château Haute-Brion, Château Lafite-Rothschild, Château Mouton-Rothschild e Château Latour. A guidarci, un irrefrenabile Luisito Perazzo.

Giuseppe Vallone

Qual è il modo migliore, il più appropriato, per approcciare il gotha della viticoltura mondiale? Nell’entrare in AIS Monza e Brianza, lo scorso 19 aprile, ce lo siamo chiesti, e confidiamo di essere stati un po’ intimoriti dal titolo della serata e, soprattutto, da quello che quel titolo sottintendeva. 

Con Luisito Perazzo avremmo, cioè, degustato non uno, non due, bensì tutti e cinque i Grand Cru Classé della celeberrima classificazione del 1855 dei vini di Bordeaux. Tutti e cinque, in un colpo solo. Un’occasione che, diciamolo sinceramente, capita di frequente come frequenti sono le eclissi solari (l’ultima delle quali, sarà un caso?, si è avuta proprio l’8 aprile scorso).

La risposta alla nostra domanda non ha tardato ad arrivare, proprio per bocca e, soprattutto, con la gestualità professionale e disinvolta di Luisito. Ha voluto impostare la serata a mo’ di lungo avvicinamento ai grandi vini bordolesi, e dopo una breve introduzione dedicata ad alcune basilari nozioni sulle denominazioni, i vitigni e le diverse matrici pedologiche e climatiche, abbiamo subito iniziato la (lunga) degustazione alla cieca.

Un viaggio nei calici, durato ben più di quanto un avventore digiuno di Luisito Perazzo potesse attendersi, che ha consentito ai presenti di prendere per mano l’essenza di Bordeaux lungo le sue diverse sfaccettature e da differenti angolazioni, per poi culminare nell’incontro con quei cinque totem di cui si diceva in apertura.

Di seguito, vi proponiamo la degustazione come l’abbiamo condivisa con Luisito, con i primi 5+1 vini rigorosamente alla cieca a far da “aperitivo”, ai quali sono seguiti i cinque Premier Grand Cru Classé, assaggiati invece “scoperti”.

Vino Zero

Aspetto non perfettamente limpido, colore «denso e sulle tonalità del blu», due indizi che Luisito riconduce «a possibili scelte operate in cantina, all’affinamento e ai vitigni utilizzati».

Il quadro olfattivo «è di media intensità, con profumi secondari accostati ad evidenti note terziarie. La sfida, con questo “vino zero”, è indovinarne l’età, dunque l’annata, prima ancora di capire di che vino si tratti. E allora, ci incita il nostro relatore, «potrebbe un essere un 2020, un 2021? O qualcosa di più maturo?».

Diamo aria al calice, ché «in alcuni i casi questa tipologia di vini, ossigenandosi, restituisce molto di sé stessa in termini di giovinezza»; in effetti, il vino si fa più propositivo, e le note di funghi secchi lasciano spazio a un che di mentolato e a profumi di frutta scura, matura.

Lo degustiamo, per saggiarne la stoffa in bocca, e lo troviamo «con ancora una bella freschezza, un tannino dosato e molto maturo, né verde né grasso né tantomeno polveroso».

Un assaggio non di grande ampiezza, per Luisito, eppure «molto, molto verticale, con una chiusura vagamente minerale, di grafite». Un profilo che potrebbe ricondursi a un’annata «non muscolosa ma elegante, ad esempio», oppure a una certa composizione dell’uvaggio, perché va sempre ricordato che «Bordeaux è la regione vinicola che, per definizione, crea e sperimenta l’assemblaggio di diverse uve».

Come valutare questo “vino zero”, quindi? «Dipende da quanti anni ha», ci dice Luisito, «dieci, dodici, quattordici anni?». Ci invita così ad annotare le nostre considerazioni su un foglio che ci ha consegnato appositamente, senza rivelarci nulla, se non a fine serata. 

Vino 1

Calice di una bella veste rubino, con riflessi granati. Il naso è «sul frutto molto dolce e maturo - mora, mirtillo, ciliegia – a cui seguono menta, vaniglia e caffè della moka». All’assaggio l’attacco mostra un tannino «incisivo ma non aggressivo», poi si mettono in evidenza un’apprezzabile freschezza, una buona avvolgenza e il calore dell’impronta alcolica. 

«È un vino», annota Luisito, «che tende ad essere più analitico sui valori di bocca che sui profumi olfattivi, e questo potrebbe essere un’indicazione dell’annata o dell’evoluzione».

Vino 2 

L’aspetto visivo si discosta dai vini precedenti, il colore è sull’amaranto e il porpora, con riflessi che sono «proprio viola, blu scuro, quasi di inchiostro». 

Il quadro olfattivo ne è diretta conseguenza logica, diretto, molto intenso e «pulito, molto pulito» seppure non di grande complessità, con note di gelatina di prugna e confettura di ciliegia, cannella e cioccolato.

In bocca è «potente, ricco, materico, il tannino c’è e si sente, meno asciugante del vino precedente». La beva risulta serrata, netta e abbondante, con un vigore dato dall’innegabile nota alcolica.

Vino 3

Rosso rubino compatto, con una leggera sgranatura sul bordo. 

Impatto olfattivo su note di frutta rossa e nera, «mora, ciliegia, prugna e cassis», alla quale seguono note più evidenti di terziarizzazione, «di legno e chiodi di garofano, peperone e cuoio».

Se, dunque, «il primo vino mostrava profumi secondari “classici” in modo né intenso né particolarmente esplosivo, senza una perfetta corrispondenza con l’assaggio» e il secondo campione era invece «molto alto in tutto, forse troppo», questo terzo calice «è più compìto, un’ideale via di mezzo tra i precedenti due, con un ingresso di bocca più sfinato e un tannino di personalità e stoffa. In generale, ha un’apprezzabile corrispondenza naso-bocca e una discreta lunghezza.

Vino 4

Il quarto calice è vestito di un granato che sfonda apertamente nell’aranciato anzi, meglio, «nel mattonato». 

Avvicinando il calice al naso Luisito esclama un convinto “wow”, tanto il quadro è smaccatamente terziario: «funghi champignon, humus, terra bagnata, addirittura pozzanghera – che non va inteso in accezione negativa -, e ancora selvaggina, cenere e stalla». Profumi da lunga evoluzione, di un naso che forse «p andato un po’ troppo in là.

All’assaggio si dimostra a modo, «molto carino anche se non lunghissimo», con un tannino levigato e un’acidità sottile che rende la beva ancora piacevole, con una chiusura «un po’ amarognola e ammandorlata».

Un vino, questo, «che mostra delle mancanze, già evidenti al naso, ma che ha ancora qualche cartuccia da sparare in bocca».

Vino 5

Rubino al centro, violaceo al bordo. 

Naso «bellissimo, estroverso, comunicativo», di impatto balsamico, vegetale e fruttato, di «spezia indiana e caffè colombiano, mora, prugna e mirtillo polposo, crema di cassis e cioccolato e menta».

La bocca, per Luisito, «è anacronistica tanto è fatta bene, ha tutto al posto giusto», il tannino «molto evidente ma setoso», un perfetto quadro aromatico, una gustosa salinità. «Forse l’unico difetto è che questo vino finisce presto». Molto giovane.

I vini di ingresso degustati alla cieca

  1. Saint-émilion Grand Cru AOC – Lynsolence 2000

100% merlot, affinamento di 18 mesi in barrique nuove per l’80%;

  1. Saint-émilion Grand Cru Classé AOC – Château Laroque 2017

99% merlot, 1% cabernet franc da vecchie vigne di 50 anni, fermentazione in cemento e affinamento di 18 mesi in barrique nuove per il 60%;

  1. Saint-émilion Grand Cru Classé AOC – Château Bardet Haut 2020

75% merlot, 25% cabernet franc da vigne con età media di 33 anni e densità di impianto di 7.150 piante/Ha, affinato per 18 mesi in barrique nuove per l’80%;

  1. Saint-Estèphe AOC – Château Meyney 2015

70% cabernet sauvignon, 20% merlot e 1% petit verdot su graves garonnaises, viene vinificato in acciaio e cemento e affinato per 20 mesi in barrique nuove per il 40%;

  1. Pauillac Duexième Grand Cru Classé AOC – Les Tourelles de Longueville 1996

80% cabernet sauvignon, 16% merlot, 2% cabernet franc e 2% petit verdot provenienti dalla côté de Latour, affina per 15 mesi in barrique nuove per il 60%;

  1. Saint-Julien Deuxième Grand Cru Classé AOC – Château Gruaud Larose 2018

67% cabernet sauvignon, 24% merlot e 9% cabernet franc da vigne di 45 anni a 7.500 ceppi/ha. Vino biodinamico, affina per 18 mesi in barrique nuove per l’80%.

Annata che Luisito definisce «spettacolare».

I Premier Grand Cru Classé

Margaux Premier Grand Cru Classé – Château Margaux 2011
86% cabernet sauvignon, 10% merlot, 2% cabernet franc e 2% petit verdot, affinato per 24 mesi in barrique interamente nuove.

Veste di un lucente carminio, denso e compatto. 

Tratteggio olfattivo «pulito, netto, molto fresco», c’è tanta menta, poi foglie secchie, ciliegia, grafite e, ancora una volta, il cassis. L’evoluzione e la temperatura di servizio impongono che il calice venga ruotato, il vino ha bisogno di aria. Emergono così «una nota di tostatura dolce e accenni di vaniglia».

L’ingresso in bocca, annota Luisito, è «severo, con un tannino incisivo», però l’assaggio, nel suo complesso, non è in chiave di rigore o di grande potenza; a parte l’attacco, la beva si svolge elegante e di appagante scorrevolezza, con una persistenza sottilmente lunga, «persevera senza essere troppo potente, è elegante».

Dimostra una giovinezza che, scopriremo di lì a poco, è in parte smentita dalla carta di identità. Sul punto, Luisito ci dice che «tutti i vini hanno bisogno di distendersi nel tempo, e per questo è importante imparare a intravedere se nella trama di un vino giovane c’è la stoffa per diventare un grande vino. In questo caso di stoffa ce n’è e soltanto in parte, oggi, sta esprimendo le sue potenzialità. L’ideale è berlo a vent’anni di età, degustare quindi, oggi, un 2004».

Pessac-Léognan Premier Grand Cru Classé – Château Haut-Brion 2014
50% merlot, 39% cabernet sauvignon, 11% cabernet franc, affina 20 mesi in barrique nuove per il 70%.

Trama fitta, consistente, appena granata sul bordo.

Il calice si propone, al naso, su evidenti note terziarie, di media intensità ma di assoluta ampiezza: tartufo, cardamomo, ferro, cuoio, scorza di cedro, foglie secche, cenere del camino e tabacco combusto. Un affresco olfattivo «verticale», al quale segue un assaggio che denota «una struttura importante, maggiore del vino precedente, con un tannino performante, maturo e molto ben bilanciato». Alcol, freschezza, sapidità, è un vino che ha tutto perfettamente a fuoco. 

Pauillac Premier Grand Cru Classé – Château Lafite Rothschild 2019
94% cabernet sauvignon, 5% merlot e 1% petit verdot da vigne di età media di 60 anni. Affinamento di 20 mesi in barrique interamente nuove.

La veste del vino è di un bellissimo rosso carminio, pieno, denso, compatto. 

Al naso è «molto intenso, forse più del Margaux, e dopo essersi un po’ aperto si propone in modo invitante su note di frutta scura in confettura, vaniglia, boisé e sigaro Havana, poi note di peperone e di caffè. 

Al palato è sinuoso eppure strutturato, flessibile ma rigoroso, caldo e tannico, il perfetto mix di annata, vecchie vigne e terreni composti da sabbia, argilla e ghiaia. Nonostante sia più giovane del Margaux e dell’Haut-Brion, esprime già un tannino più centrato e risolto. Persistenza infinita.

Pauillac Premier Grand Cru Classé – Château Mouton Rothschild 1994
79% cabernet sauvignon, 12% merlot e 9% cabernet franc, vendemmiate manualmente e vinificate in barrique. Affinamento di 20 mesi, sempre in barrique nuove.

Il colore parla di evoluzione, granato con riflessi aranciati, ma la vividezza racconta di un vino con ancora strada davanti a sé.

In effetti, i profumi spaziano su un’ampia gamma di sentori evolutivi, legna arsa, frutta macerata, muschio, caffè.

L’assaggio «è docile e tranquillo e rivela un’evoluzione meno pronunciata del naso»; la beva è infatti fresca e sapida e risulta piacevole, nonostante il finale un po’ asciutto che «non rende il vino pienamente performante».

Pauillac Premier Grand Cru Classé – Château Latour 1988
75% cabernet sauvignon, 20% merlot, 4% cabernet franc e 1% petit verdot. 9.000 ceppi/ha, affinamento di 20 mesi in barrique nuove.

Come il vino precedente, anche quest’ultimo calice presenta tonalità tra il granato e l’aranciato.

Avvicinandolo al naso, Luisito si ferma, alza gli occhi al cielo ed esclama: «cosa penso di questo vino? Penso soltanto applauso, applauso, applauso, applauso». Un vino che, in effetti, non chiede spiegazioni tanto è «lineare, simmetrico, con l’evoluzione nella sua giusta dimensione olfattiva e soprattutto gustativa, fatta di profumi maturi e combusti, di fiori secchi e balsamicità, e di una componente gustativa piena, calda, fresca, strutturata, tannica di un tannino perfetto, piacevole e lunghissima.

L’incontro con i cinque grandi vini di Bordeaux è stato illuminante: preceduto com’è stato da un lunghissimo «aperitivo», ci ha permesso di mettere a fuoco quella preziosa «stoffa» che impreziosisce vini entrati di diritto nella leggenda e, insieme a Luisito Perazzo, di poterli confrontare con degnissimi rappresentanti del vasto mondo bordolese.