Progetto Oasi degli Angeli. Come ridare dignità al montepulciano

Racconti dalle delegazioni
21 febbraio 2019

Progetto Oasi degli Angeli. Come ridare dignità al montepulciano

Il seminario dedicato a Oasi degli Angeli, durante Enozioni 2019, rappresenta l’opportunità di avvicinarsi a una delle più visionarie realtà vitivinicole delle Marche attraverso la degustazione di diverse annate di Kurni e due di Kupra

Marco Agnelli

Anima e cuore di questa cantina sono due coniugi, Eleonora Rossi e Marco Casolanetti, insieme ai genitori di lei.

Il sito aziendale recita: A loro non interessano i vini tecnicamente perfetti ma orfani della personalità del produttore, il vero valore aggiunto rimane per loro il fattore umano, con tutto il suo carico di ragionata passione, ricerca e dedizione.

E di fattore umano sicuramente questi vini non mancano. Ce li racconta Armando Castagno, amico sin dal lontano 2005, di Eleonora e Marco. Ci troviamo a Cupra Marittima, nel Piceno, in provincia di Ascoli. «Usando un eufemismo, non è un luogo in cui la ricerca sul montepulciano abbia mai avuto la spinta a trarne vini di qualità mondiale», esordisce Castagno. I primi esperimenti di vinificazione da parte di Oasi degli Angeli risalgono agli anni 1993-94, ma nessuna delle primissime annate ha visto l’imbottigliamento. Le prime bottiglie di Kurni sono del 1997, quando la convinzione dei giovani coniugi si è fatta coraggio. Questo è un vino per il quale si può spendere l’aggettivo estremo, poiché si colloca all’estremità delle possibilità della sua uva e della sinergia della medesima con il territorio.

Il Kurni è un montepulciano puro, ottenuto da piante messe a dimora in tempi differenti, allevato ad alberello a conocchia recuperando le tradizioni viticole locali. Questo tipo di impianto, con i suoi 40000 ceppi per ettaro, ha una densità di piante che, quasi sicuramente, è la più elevata in Italia. Le radici della vite si fanno strada velocemente in profondità per competere con le altre piante e riuscire così a sopravvivere.

Sei sono le vigne da cui proviene il Kurni, le cui uve sono vinificate separatamente e assemblate in un secondo momento. L’illuminazione di Eleonora e Marco, avvenuta a metà degli anni ’90, è stata quella di realizzare un montepulciano che avesse la massima concentrazione possibile, con il preciso scopo di restituire dignità a questo vitigno, troppo spesso oggetto di viticoltura di quantità a scapito della qualità. Ma quale poteva essere la direzione da prendere per esplorare le possibilità mai scandagliate da nessuno su questa uva? Si doveva tentare di utilizzare una densità d’impianto paradossale e puntare a una cura maniacale dei vigneti, senza l’utilizzo di alcun prodotto chimico, neppure rame e zolfo. Ottenuto il mosto, dopo la fermentazione, si lascia il vino a maturare in barriques tutte nuove per dieci mesi poi ancora un altro anno in altre barriques nuove. Nessuna chiarifica né filtrazione. Alla fine, dopo aver applicato in modo rigoroso questa complicata ricetta, ci si chiede: «cosa ci sarà nel bicchiere?» Un vino “sorvegliato”, sicuramente “progettuale” e non certo selvaggio come si potrebbe pensare, che ambisce a tirar fuori dal montepulciano esclusivamente il suo meglio. Ma questo lo vogliamo verificare di persona, come è stato possibile fare con la degustazione di ben 8 vini. Si parte con il Kurni.

2016: bellissima annata che ha dato poca uva e, dunque, con una concentrazione addirittura superiore alla media. Visciole, mineralità nerastra, quasi di carbone e grafite. Volute sciroppose dolcissime affiancate da note floreali di ciclamino che virano all’incenso. Compostezza incredibile, a ricordare addirittura il contegno ritroso di alcuni Porto Late Bottled Vintage. In bocca, tannino masticabile di buccia.

2013: millesimo stupendo nel centro Italia, caratterizzato da una stagione di grande equilibrio. Diverso dal precedente, con un’austerità maggiore che porta a un vino più compresso. Protagonista al naso non è l’aspetto fruttato ma quello minerale. Catrame caldo, gomma vulcanizzata, piretro e speziatura molto scura di ginepro e liquirizia nera. All’assaggio rivela un’eleganza incredibile, con ampiezza e persistenza infinite.

 

2009: un Kurni che ha fatto epoca. Al momento della sua uscita fu indicato come il più grande vino marchigiano di sempre. In questo millesimo si trova una sorta di quadratura del cerchio. Si percepisce al naso una nota floreale di un fiore legato al passato, liberty, quasi malinconico, con un tocco di polvere di caffè fresco e prugna selvatica. In bocca: un capolavoro! Più secco dei precedenti, forse il più gestibile a tavola, richiama la cucina di cacciagione più strutturata, ma anche zuppa di legumi e formaggi piccanti.

2007: una creatura fragile nel mondo del Kurni, basata molto sulle proporzioni. Meno estratto, meno acidità e in generale valori aromatici più equalizzati verso il basso. Apertura alcolica: mirto, distillati, ciliegia sotto spirito. Naso quasi da amarone vecchio stile, con un interessante sentore empireumatico. All’esame gusto-olfattivo l’equilibrio è straordinario: una “massa” tannica importante ma perfettamente bilanciata e per nulla sopra le righe.

2004: tra tutti i Kurni quello più avanti nel suo percorso di evoluzione. Compaiono elementi ossidativi legati all’azione del tempo, con un terziario spiccato che vira verso il dattero e il vinile. Per il resto un profluvio di spezie scure e note di caffè. In bocca ancora espressivo, anche se l’impressione è quella di un vino prossimo al completamento del proprio percorso.

2001: nonostante più vecchio del precedente, nessun accenno di ossidazione. Al naso il frutto è ancora netto, declinato sulla ciliegia e sul ribes nero. Si avvicendano spezie tostate e appena bruciacchiate, e un sottobosco di natura tuberosa, con un ricordo accennato di tartufo. Molto bella l’eleganza della sua materia e la grazia con cui entra in bocca.

Il Kupra è il secondo vino aziendale, non per importanza ma per comparsa sulla scena. Nel 2011 è iniziata la vinificazione, da un vigneto di circa 110 anni, di un’uva chiamata bordò, il cui DNA si è poi scoperto essere identico a quello del grenache. Un vino rarissimo, prodotto in circa 500 bottiglie l’anno.

2015: naso di vermouth, con incredibile dovizia di erbe aromatiche tra cui spiccano genziana e ruta, per chiudere su note salmastre. Il frutto è quasi in gelatina, molto leggero, con un accenno ben percepibile di agrumi, che si ritrova all’assaggio.

2012: naso quasi da Borgogna, con una stupenda integrità di frutto, che vira sul tè zuccherato. In bocca di nuovo il frutto, arricchito da una trama tannica possente e al tempo stesso elegantissima.