«Quaderno di Borgogna – Una questione di cuore» di Giancarlo Marino
Maestro di cultori e professionisti, unico per la generosità con cui si approccia al mondo del vino, Giancarlo Marino - conosciuto da tutti come il «Magister» - ha viaggiato in lungo e in largo per la Borgogna, taccuino alla mano. Ne è nato «Quaderno di Borgogna - Una questione di cuore», presentato in anteprima nazionale in AIS Milano, con la moderazione di Antonio Erba.
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Per dirla con Tiziano Terzani, la fine è il suo inizio. La serata comincia infatti con l’ascolto di alcuni secondi del celebre «Köln Concert» di Keith Jarrett, citato nell’ultimo capitolo del Quaderno. Lì Giancarlo Marino racconta di essere stato letteralmente stregato da quella improvvisazione live: «a pensarci bene, con il vino è la stessa cosa. Alcuni vini sono libertà e improvvisazione, altri sono inafferrabili, perché l’unica regola a cui rispondono è quella di non avere regole».
Chi ha scelto di introdurre il brano è stato Antonio Erba che, di ogni riga del libro, ha analizzato gli anfratti, tuffandosi nei pellegrinaggi borgognoni che hanno fatto Giancarlo e suoi amici. Ci concediamo una piccola parentesi biografica. Giancarlo, Antonio: tutti e due avvocati; tutti e due Sommelier AIS; tutti e due animati da una passione enoica onnivora che propizia suggestioni emozionali e intellettuali. Com’è quindi intuibile, siamo al cospetto di un’anteprima nazionale non qualunque. Un’anteprima all’insegna della curiosità, della poliedricità e dell’amore tanto per il vino quanto per le persone.
Chiuso in casa per il lockdown, Giancarlo Marino ha messo insieme - in un linguaggio di mirabile semplicità espositiva e calore umano - frammenti di memoria e pagine di diario, a documentare trent’anni di viaggi, di incontri e di degustazioni. Il tutto condito da una ironia che emerge chiara fin dall’inizio, con ben 18 pagine di non-prefazione, prefazione, prologo e introduzione che si susseguono con grande sense of humour. È un libro, questo, «leggero, nonostante la lunghezza del tragitto», stando al tributo di Armando Castagno - uno dei discepoli prediletti - in quarta di copertina.
E la lunghezza di quel tragitto ha portato a parlare, nel corso della serata, di cambiamenti, a cominciare dai cambiamenti qualitativi. Quando Giancarlo cominciò a viaggiare in Borgogna, la terra del luogo era una «terra morta». A dirlo oggi non ci si crede. Una quarantina di anni or sono o poco più, buona parte dei produttori fecero scelte agronomiche produttivistiche; e quindi l’espressione più autentica del territorio rischiò di essere azzerata. Ci volle la comparsa delle nuove generazioni, desiderose di far rivivere i fasti dell’Ottocento, per convertire gradualmente la Borgogna alla lutte raisonnée, a una viticoltura dai gesti puliti e degna del concetto di terroir: un risorgimento che poggia sul diniego del ricorso ai sistemici e al diserbo chimico, sul ritorno al lavoro della terra e su pratiche enologiche senza additivi. Quel movimento permise, a partire dai primi anni Novanta, un moto verso il biologico prima e la biodinamica poi. Ma si è parlato anche dell’incidenza del cambiamento climatico, che portò all’abbandono di alcune forme di allevamento tradizionale per passare al guyot e al cordone speronato, e alla rivalutazione di vigne una volta considerate di minor importanza.
In questa ottica - per così dire - di trasmutazione, si discute anche di vitigni, anzi, di un vitigno. Difatti, la Borgogna di Giancarlo si colora in primis di rosso poiché il pinot noir è la cultivar che, per antonomasia, unisce espressione del varietale ed espressione dei caratteri del territorio: quel che si è soliti chiamare il genius loci. La fisionomia dei vini da pinot nero, ci spiega Giancarlo, è intrisa di rosa fresca in gioventù, signorile e senza orpelli nella maturità, delicata ed eterea in vecchiaia. Eppure, Giancarlo non ha preferenze: «un rosso maturo non è necessariamente migliore o peggiore di un rosso giovane, ma sicuramente è diverso».
I vini in degustazione
Per questa serata speciale, Giancarlo ha selezionato cinque etichette di aziende presenti sul catalogo di deGustate, la società di importazione e distribuzione di vini borgognoni e champenois di cui è socio.
Fixin Les Crais 2017 - Domaine Berthaut-Gerbet
Punto di riferimento per la denominazione Fixin, le famiglie Berthaut e Gerbet hanno esperienza vitivinicola fin dalla fine del XVIII secolo e hanno legato le proprie vite e vigne. Amélie, nata dal matrimonio tra Denis Berthaut e Marie-Andrée Gerbet, gestisce dal 2013 i circa 16 ettari del domaine, che comprende parte del vigneto del Domaine Gerbet e la totalità delle vigne del Domaine Berthaut.
Il pinot nero della piccola parcella vitata Les Crais (1,3 ettari) si offre con una veste scura e un profilo aromatico molto femminile. Coglie nel segno in virtù di una cospicua impronta floreale e di una scorta di frutti a bacca rossa che permeano un palato setoso e vitale. Un rosso commercialmente allettante (in confronto ai prezzi esorbitanti delle altre appelation) e lontano anni luce dall’ovvietà: quel che accade quando l’interprete riesce a emanciparsi dai tecnicismi della vinificazione.
Santenay 1er cru Clos des Mouches 2017 – David Moreau
L’azienda fu fondata a metà del XX secolo. David Moreau, il suo attuale gestore, si è laureato in enologia nel 2009. Dopo esperienze variegate in Borgogna (Domaine de la Romanée Conti, Domaine Hubert Lamy, etc.) e in Nuova Zelanda, propone oggi sette etichette dai circa 5 ettari vitati di proprietà.
Il 1er cru Clos des Mouches 2017 (il nome sta per le Mouches à miel - ossia le api - che raccolgono il polline dai fiori del territorio) offre il lato più goloso dei vini di Santenay. Ecco un vino dal lessico indiscutibilmente borgognone, dove il varietale non abbisogna di aspettare per esprimersi. I profumi richiamano la finezza floreale della rosa - quella fresca, per l’appunto - la golosità del frutto, le accensioni speziate e via a elencare. Splendido anche il palato, al contempo vigoroso e fine, capace di raccontare la levità. «La struttura senza peso» è solito dire Giancarlo Marino. Una visita a David è, perciò, d’obbligo.
Volnay 1er cru Champans 2019 - Domaine Joseph Voillot
Tra Volnay e Pommard, Jean-Pierre Charlot coltiva i 10 ettari dell’azienda di famiglia creata negli anni ‘50 da Joseph Voillot. Un tempo professore di enologia al Liceo Viticolo di Beaune, Jean-Pierre Charlot è ad oggi l’Emblema, con la E maiuscola, del vignaiolo borgognone. «Il fatto che Jean-Pierre Charlot sia l’unico produttore al quale dedico un capitolo a parte» ha scritto Giancarlo, «non c’entra nulla con la sua maestria nel fare grandi vini, che pure è innegabile. C’entra molto, anzitutto, con la persona.»
Dà vita a un rosso che Armando Castagno definisce di «melodiosa bellezza». Ammirevole la purezza aromatica (seppur ancora un poco ritrosa nell’espressione varietale) e ammirevole il palato, ampio, sferico, con una materia generosa che non ne turba la dinamicità. Armonia dei sensi: del palato e della mente.
Pernand-Vergelesses Les Cloux 2017 – Domaine Rollin Père et fils
Passato di padre in figlio per quattro generazioni e oggi gestito da Simon e sua moglie Caroline, il Domaine Rollin Père et fils è situato a Pernand-Vergelesses e copre poco più di 8 ettari di proprietà – e 4 in metayage (mezzadria) - su 5 villaggi della Côte de Beaune. Pionieri dell’agricoltura sostenibile, industriosi difensori dell’ambiente, i Rollin hanno ottenuto la certificazione Terra Vitis nel 2015.
Il Pernand-Vergelesses Les Cloux 2017 è uno chardonnay di veste paglierina. Anche qui il piglio agrumato, le erbe, il glicine e gli effluvi di frutta fresca compongono un ritratto di profonda suggestione aromatica. Il palato svela una mano aggraziata, dal carattere potente e al contempo fine, dove freschezza e sapidità dialogano in perfetto equilibrio. Ancora pulsante di gioventù.
Saint-Aubin 1er cru Chatenière 2017 – Joseph Colin
L’azienda è una realtà giovane fondata nel 2016 da Joseph Colin, secondo figlio di Marc Colin, storico vignaiolo della Côte-d’Or. Una filosofia rigorosa governa i 7 ettari di proprietà che si estendono nei comuni di Santeney, Saint-Aubin, Puligny-Montrachet e Chassagne-Montrachet. L’impronta territoriale, compiutamente definita di tutte le etichette del domaine, dimostra quanto Joseph sia, già oggi, una certezza.
Il suo chardonnay Chatenière ha un’impostazione marcatamente territoriale che annuncia un bianco di ricca essenzialità, di matrice floreale e insieme polposa. Sfoggia poi una compattezza del palato niente affatto uniforme, anzi animata da richiami agrumati e impregnato di sapidità e freschezza acida. Finale dinamico e persistente.
Quello che emerge da questa serata è il ritratto di una personalità alla quale «piace l’anarchia e il volo libero» e che, dopo attentissimo studio, inserisce i suoi viaggi enoici in un contesto più ampio, dove letteratura, filosofia e musica si intrecciano per illuminare il profondo significato del vino nella sua complessità. «Conoscere i luoghi, le persone, le tradizioni, i vini, in un percorso che durerà tutta una vita»: questo è il mondo di Giancarlo Marino.