Rosè Metodo classico
Per questa serata così elegante, scegliamo come cavaliere Nicola Bonera in versione Cyrano de Bergerac: non ce ne voglia Edmond Rostand, ma quando i calici si tingono di rosa cerchiamo qualcosa di speciale. La serata in programma al Westin è dedicata al metodo classico in versione rosè ed a tutte le donne dell’Associazione che hanno voluto accettare il galante invito del Consiglio di AIS Milano; e se è vero, come cantava Fiorella Mannoia, che noi donne siamo "dolcemente complicate", le affinità con questo vino allora sono molteplici.
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Fare metodo classico rosè è difficile: in primis per i metodi di vinificazione, così diversi tra loro, dall'impiego di uve grigie alla breve macerazione di uve rosse, fino alla miscela di vino bianco e rosso come si usa in Champagne. E poi c’è il problema del colore, così mutevole per effetto della depigmentazione che avviene durante la fermentazione in bottiglia e con i lieviti che, nel tempo, tendono ad assorbirne una parte, di vendemmia in vendemmia il colore potrebbe non essere mai lo stesso; velo di cipolla, ciclamino, salmone, rosato, viola acceso, ramato: quante sfumature, brillanti ed emozionanti, accompagnate da un perlage a grana fine e persistente, da profumi ricchi e intensi con note avvolgenti e piacevolmente fresche. Mutevoli nell'aspetto, i rosè lo sono anche nell'essenza: lambrusco, ribolla, nebbiolo, chardonnay, montepulciano, pinot nero, bombino, aglianico, nerello mascalese, sangiovese, molte sono le sperimentazioni, quasi ad indicare un percorso in costante divenire. Se in natura le cose cambiano forma, aspetto e proprietà, qui troviamo vini simili a donne in movimento, con eleganza, classe e sensualità, un'effervescenza di varietà che risponde a tanti nomi. Abbiamo realizzato, attraverso la sapiente guida di Nicola, che tutti i grandi vitigni sono stati spumantizzati in rosè e lo hanno fatto attraverso un percorso lunghissimo, se pensiamo che già nel 1662 l'inglese Christopher Merret scriveva di vini sparkling con l'aggiunta di zuccheri, strappando a Don Pèrignon la paternità dell'idea di vini "mousseux". Un percorso anche geograficamente ampio, che ci porta in Spagna, nella regione del Cava, dove nel 1872 vennero prodotte le prime bottiglie; oggi il Cava rosè è solo da pinot nero, trepat, garnacha tinta e monastrell. Il primo rosè italiano nasce ufficialmente nel 1961, in Franciacorta, grazie ad un'intuizione dell'Azienda Lenza, il rosè metodo classico è oggi pari a circa il 9% della produzione totale.
Poiché la platea è composta soprattutto di donne appassionate di vino, se immaginiamo questa presentazione come una sfilata femminile i primi passi sul red carpet del Westin sono quelli di una donna dolce e suadente, il Durello Rosé azienda Marcato, 36 mesi sui lieviti, sboccatura 2013, 50% pinot nero, 10% chardonnay, 40% durella: il colore è una sfida soprattutto in chiave evolutiva, appare quasi come un vino dalla doppia personalità, un frutto rosso molto forte, abbinato ad una dolcezza dovuta ad un dosaggio di zuccheri importante, 11 g. Un vino/donna forse troppo ingentilito, una dolcissima caramella alla frutta.
Segue in passerella una donna forte, possessiva, a tratti gelosa: si tratta di un vino un po' tannico, a volte maschio, ruvido, pieno di energia. E' La Stipula, azienda Cantine del Notaio, 36 mesi sui lieviti, sboccatura 2014, 100% aglianico, non dosato: un vino decisamente più pieno del precedente per effetto dei lieviti, con note di tostatura e di pasticceria, e sentori di spezie che testimoniano un'uva rossa più ricca all'origine.
Sulla nostra catwalk si affaccia timidamente una donna morbida ed avvolgente, frutto di un vitigno che è l'essenza della morbidezza e della fruttuosità, lo chardonnay. Si tratta del Brut Rosè dell'azienda Ugo Vezzoli; siamo in Oltrepò Pavese, 60% chardonnay, 40% pinot nero, 24 mesi sui lieviti, sboccatura 2014: frutto rosso, ma anche arancio, con note salmastre, vegetali e muschiate proprie del pinot nero, con un lievito ancora molto presente.
Poco dopo sulla scena una donna profondamente femminile, dal profumo più bianco che rosso: un profumo che accoglie, con una buona mineralità e dolcezza del frutto. Un bellissimo sapore di frutta, un aroma elegante e fine: si tratta del Rosè di Villa Matilde di Sessa Aurunca, aglianico 100%, 24 mesi sui lieviti.
A seguire, poi, una donna che è negramaro in purezza, una donna croccante, dal carattere deciso: Five Roses di Leone de Castris, 24 mesi sui lieviti, sboccatura 2013: a tratti è dolce, a tratti è vegetale, con quella parte di foglia lattiginosa, di fico, di castagno, che lo rende così vivace.
Se rosè fa rima con osè, non poteva mancare una donna piccante: La Genesia, azienda Torrevilla in Oltrepò Pavese, 100% pinot nero: il cruasè, blend lessicale tra "cru" e "rosè", è molto ricco, con una massa colorante accentuata, dalle tonalità salmonate. Ci sorprendono spezie legnose, profumi di corteccia che ci portano quasi alle radici di china e rabarbaro. Qui il frutto è più alcolico, più spiritato, con una spezia forte e ricca, quasi piccante.
Entra ora in scena la donna zucchero, con il Rosè delle Terre della Custodia, 100% sangiovese, 24 mesi sui lieviti, sboccatura 2014: una dolce caramella, zucchero filato, zucchero cotto che inebriano naso e palato. Poco spazio alla spezia, non molto complesso, non riserva sorprese, costante nel suo fruttato. Una donna di cui sai già molto, non ti invita a scoprire di più, discreta nella sua dolcezza.
La nostra sfilata non poteva che chiudersi con una donna a sorpresa, il More Rosè dell'azienda Castello di Cigognola in Oltrepò, 100% pinot nero, 24 mesi sui lieviti, sboccatura 2013, non dosato: avvolgente, morbido, sembra avere molto da raccontare, con un colore decisamente appropriato, un rosa di media intensità con note ramate.
La serata si è dunque tinta di rosa, grazie alla presenza di molte socie ospiti dell'evento: un sodalizio che si è rivelato vincente, attivo e brillante, riconfermando il profondo legame tra donne e vino come testimonianza di cambiamento. Sulla passerella non si può correre, ma le donne sanno sempre dove andare.
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