Rosso di Borgogna

Tempo di ripasso in AIS Monza e Brianza, con due serate dedicate al sogno di ogni appassionato: la Borgogna. Due appuntamenti imperdibili per approfondire una delle regioni vinicole più affascinanti al mondo. Si comincia con la Borgogna rossa, protagonista della prima serata di degustazione: a guidare il pubblico Ivano Antonini, sommelier professionista e relatore AIS, in un viaggio nella terra madre di vini eleganti e profondi.

Monica Berno

La nascita del mito tra monasteri, vigne e rivoluzioni

La storia vitivinicola della Borgogna risale all’epoca romana, ma fu nel medioevo, grazie ai monaci benedettini e cistercensi, che prese forma una viticoltura di qualità. Furono loro a delimitare i climat, piccoli appezzamenti con caratteristiche uniche, ancora oggi alla base della classificazione dei vini borgognoni. Nei clos (vigneti cintati) come Clos de Vougeot (1115) e Clos de Tart (1141) si sperimentavano tecniche colturali e si selezionavano le migliori varietà. Dopo la Rivoluzione Francese, la redistribuzione delle terre portò a una frammentazione estrema della proprietà, dando origine a una miriade di micro-parcelle, ciascuna con identità distinta.
Nel XIX secolo, la fillossera (mal noir) devastò i vigneti; l’agronomo Jules Guyot introdusse l’innesto su piede americano e un sistema d’impianto più razionale. Alla fine dell’Ottocento iniziarono i primi studi sui climat e si diffuse l’uso di associare al nome del villaggio quello del cru più rinomato. Il sistema delle denominazioni nasce con Jules Lavalle (1861) e si formalizza nel 1935 con l’INAO e le AOC. La prima AOC fu Morey-Saint-Denis; oggi la Borgogna ne conta 84, di cui 45 Appellation Village.

Mosaico irripetibile

Parlare di Borgogna significa parlare di terroir nel senso più profondo e complesso del termine. Qui, più che altrove, questo concetto è la chiave per comprendere la straordinaria varietà e personalità dei vini.
La Borgogna è un lungo corridoio vitato che si estende da Digione a Mâcon, dove minime variazioni di pendenza, composizione del terreno o orientamento del vigneto bastano a creare espressioni completamente diverse dello stesso vitigno. È la patria del pinot nero e dello chardonnay, certo, ma ridurre la sua ricchezza ai nomi delle uve sarebbe fuorviante: la vera chiave di lettura è nel sottosuolo.
Chablis poggia su calcari e marne; la Côte d’Or alterna calcare, marne e argille; il Mâconnais mescola calcare, marne, grès, argilla e silice; il Beaujolais, infine, combina calcare, scisti, granito, sabbie e argille. Una varietà geologica frutto di milioni di anni di stratificazioni, erosioni e movimenti tettonici.
L’esposizione dei vigneti, prevalentemente a est, garantisce una buona insolazione e una maturazione regolare delle uve, mentre il clima continentale (inverni rigidi, frequenti gelate e forti escursioni termiche) preserva freschezza e complessità. Tuttavia, i microclimi cambiano sensibilmente da una collina all’altra, anche a distanze minime. Ed è proprio qui che si compie la magia del terroir: due vigne vicine possono generare vini radicalmente diversi per struttura, eleganza e longevità. Un ruolo cruciale, spesso sottovalutato, è svolto dalle combe: valloni o piccole valli trasversali che interrompono la linearità delle colline della Côte d’Or, influenzando microclima e suolo e accentuando le differenze tra climat e villaggi.

Una classificazione che parte dal suolo

La classificazione dei vini borgognoni si distingue per un criterio tanto semplice quanto rivoluzionario: non si classifica il produttore, ma il vigneto. Ogni parcella ha un valore specifico e da questo valore deriva la posizione nella piramide qualitativa.
Alla base troviamo i Bourgogne Rouge e Bourgogne Blanc, prodotti da uve provenienti da più villaggi.
Salendo, i vini Village provengono da un solo comune e ne portano il nome in etichetta: Pommard, Volnay, Meursault, Nuits-Saint-Georges, per citarne alcuni.
Poi arrivano i Premier Cru: 562 parcelle distribuite nei diversi villaggi, rappresentano l’11% della produzione. Il loro nome è sempre associato a quello del villaggio (per esempio Chambolle-Musigny Premier Cru “Les Amoureuses”).
Al vertice i Grand Cru: 33 vigneti, di cui 32 si trovano nella Côte d’Or e uno a Chablis, è il 2% della produzione, l’apice assoluto del prestigio. Qui l’importanza del terroir è tale che in etichetta scompare il nome del villaggio e rimane solo quello del vigneto, come “Le Musigny” o “La Tâche”. Geograficamente, i Grand Cru si trovano spesso a metà collina, dove l’equilibrio tra drenaggio, esposizione e ventilazione è ottimale. Mentre i Premier Cru si distribuiscono sopra e sotto.

Il vocabolario della Borgogna

In Borgogna, le parole contano. Dietro ogni termine si cela un mondo preciso:

  • Cru: un vigneto ben definito che dà vini dal profilo distintivo.
  • Climat: una parcella di terreno con identità unica, riconosciuta ufficialmente.
  • Lieu-dit: nome storico di un appezzamento, spesso sovrapposto a un climat.
  • Clos: vigneto recintato da muretti in pietra, eredità delle abbazie medievali.
  • Monopole: rarità borgognona, è un cru interamente posseduto da un solo produttore.

E ancora

  • Cave Coopérative (CM = Coopérative de Manipulation): cooperativa in cui i soci conferiscono le uve per la vinificazione e la vendita collettiva del vino. Ottimo esempio è la Chablisienne a Chablis
  • Vigneron (RM = Récoltant-Manipulant): vinifica esclusivamente uve provenienti da vigneti di proprietà.
  • Négociant (NM Négociant-Manipulant): figura nata dopo la Rivoluzione Francese che acquista uve o vini da produttori terzi, ma può anche possedere e coltivare vigneti propri. A differenza dei négociants bordolesi, quelli borgognoni vinificano attivamente. 

La degustazione

L’obiettivo di questa degustazione è quello di utilizzare il terroir come chiave di lettura, per imparare ad “ascoltare” tutte le differenze sottili ma decisive che si ritrovano nei calici, villaggio per villaggio.

Mâconnais: l’elegante solarità 

Posto nel sud della Borgogna, il Mâconnais è rinomato soprattutto per i suoi vini bianchi, che costituiscono circa l’85% della produzione, ottenuti quasi esclusivamente da chardonnay. I vini rossi, che rappresentano il restante 15%, provengono da uve pinot nero o gamay. La superficie vitata complessiva si aggira intorno ai 7000 ettari, pari a circa un quarto di tutta la Borgogna viticola. In questa area l’antica abbazia di Cluny possedeva numerosi vigneti. 

Mâcon Cruzille “Manganite Clos des vignes du Maynes” 2022 – Domaine Julien Guillot
100% gamay. Da un cru di 2 ettari nel comune di Cruzille, è uno dei vigneti più antichi del Mâconnais; suoli argilloso-calcarei, ricchi di minerali. Vinificazione con fermentazioni spontanee con lieviti indigeni; affinamento di 11 mesi in botti di rovere usate. In coerenza con l’approccio naturale, non viene aggiunta anidride solforosa al momento dell’imbottigliamento.
Julien Guillot è alla guida di un piccolo Domaine di 7 ettari suddivisi in 27 parcelle. Ha ereditato la tenuta dal nonno, che l’ha fondata nel 1952 acquistando il Clos des vignes du Maynes appartenente in origine all’abbazia di Cluny. Julien ha convertito i vigneti alla biodinamica, ma questa vigna non è mai stata trattata chimicamente neanche in passato.

Il colore è intenso e i riflessi violacei tradiscono la giovinezza e la tipicità del vitigno. Al naso si apre con una nota iniziale minerale e scura che richiama la grafite, quasi a evocare - già nel nome Manganite - la sua origine geologica. A seguire, un’esplosione di frutta rossa matura: lampone, ribes, mora, mirtillo.
Al palato, l’attacco è segnato da un’acidità vivace. Il tannino è presente, un po’ ruvido, ma ben gestito. Il finale è dominato da una sapidità minerale profonda. «Il Gamay, in questa versione, sembra trovarsi a metà strada tra un Pinot nero e un Syrah: condivide l’eleganza e la finezza del primo, ma porta con sé la profondità aromatica e la speziatura del secondo» sottolinea Antonini. 

Gevrey-Chambertin: la potenza selvatica 

In Côte de Nuits nascono alcuni dei rossi più profondi e strutturati della Borgogna. Nei suoli ricchi di ferro e marne, il pinot nero «si fa i muscoli» pur mantenendo un’anima elegante. Elemento distintivo del terroir di Gevrey è la presenza di cinque combe, con la più grande, la Combe de Lavaux, che caratterizza la zona.
Gevrey viene citata per la prima volta nel 630 d.C., quando il duca di Borgogna donò un terreno incolto all’abbazia di Bèze. I monaci vi piantarono un vigneto, cingendolo con un muro: nacque così il Chambertin Clos de Bèze, considerato oggi il vigneto più antico del mondo, mai modificato nei confini. Nel 1847, il comune adottò il nome Gevrey-Chambertin per valorizzare la sua vigna più celebre. Su 24 Grand Cru rossi della Borgogna, 9 si trovano proprio qui, attorno allo storico Chambertin.

Gevrey-Chambertin “Les Seuvrées” 2016 – Domaine Robert Groffier
100% pinot nero. Vinificato con un approccio tradizionale, includendo circa il 20% di grappolo intero. Dopo la fermentazione, il vino matura in botti di rovere di diverse età, senza essere né filtrato né chiarificato, per preservare la purezza e l’autenticità del pinot nero.
L’azienda storica di Morey-Saint-Denis è stata fondata nel 1950 e oggi è guidata da Nicolas Groffier, nipote del fondatore. La cantina coltiva circa 8 ettari suddivisi tra Morey-Saint-Denis, Chambolle-Musigny e Gevrey-Chambertin, con parcelle che arrivano fino a 80 anni d’età. “Les Seuvrées” è un lieu-dit non classificato né come Premier Cru né come Grand Cru, ma di grande qualità: si trova infatti proprio sotto i Grand Cru di Gevrey, al confine con Morey-Saint-Denis. Proprio per la sua posizione, rappresenta un punto d’incontro tra la forza strutturale di Gevrey e l’eleganza fruttata di Morey.

Rubino, luminoso; al naso si distingue per la tipica «mascolinità elegante di Gevrey-Chambertin», con note di frutta rossa fresca, come ciliegia e lampone, e una speziatura sottile, dominata dalla cannella, segno di un’estrazione delicata e di una perfetta integrazione del legno. In bocca, la forza iniziale si stempera in una dolcezza fruttata raffinata, sorretta da una trama tannica viva ma setosa. La chiusura è lunga e salina, con una mineralità calcarea che allunga il sorso. Note speziate dolci e una persistenza che suggerisce un grande potenziale evolutivo. 

Côte de Beaune, la finezza e la longevità

Ci spostiamo in Côte de Beaune, dove il paesaggio vitivinicolo è più variegato rispetto alla Côte de Nuits. Qui, chardonnay e pinot nero si dividono quasi equamente i vigneti. Quando si parla di Grand Cru, l’immaginario corre subito ai prestigiosi bianchi di Montrachet. Tuttavia, c’è un’eccezione: la Montagne de Corton, l’unico Grand Cru della Borgogna coltivato sia a pinot nero che a chardonnay. Beaune, pur non avendo vigneti Grand Cru, vanta il 60% dei suoi vigneti classificati Premier Cru, con alcuni climat, come Les Grèves, Vigne de l’Enfant Jésus o Clos des Mouches, che ambiscono a diventarlo un giorno. 

Beaune Premier Cru “Les Bressandes” 2021 – Domaine Berthelemot
100% pinot nero. Les Bressandes è un climat esposto a sud-est con pendenze tra il 10 e il 15%. Suoli sabbiosi, sassosi e calcarei. Parcella di proprietà poco meno di un ettaro.
Il Domaine Berthelemot nasce nel 2006 dalla fusione di due proprietà, grazie all’intuizione e al dinamismo di Brigitte Berthelemot. Oggi l’azienda gestisce circa 15 ettari in diversi comuni della Côte de Beaune coltivati in regime biologico. 

Il colore è rosso rubino brillante, meno profondo rispetto a un Gevrey-Chambertin, ma con una trasparenza affascinante. Antonini ci spiega che «l’unghia tende già leggermente al granato, per due motivi: la naturale predisposizione del pinot nero a ossidarsi e l’eleganza più ‘sottile’ dei vini di Beaune. Al naso si percepisce subito che la zona è diversa: rispetto alla potenza fruttata e alla speziatura mascolina di Gevrey, qui troviamo un frutto più acido, meno maturo, accompagnato da una spezia più fine e pungente. Niente pepe nero o cannella, ma accenni di erbe secche e una mineralità molto presente. È un naso più evoluto, ma non per età: è la cifra stilistica del terroir». In bocca l’attacco è fresco, l’acidità più viva rispetto allo Gevrey, la struttura tannica più sottile ma anche più «appuntita». Il vino è meno avvolgente, ma più vibrante. La chiusura è lunga, pulita, senza la dolcezza fruttata del precedente vino.

Volnay: la seta

In Côte de Beaune ci sono due villaggi che producono quasi esclusivamente pinot nero - Volnay e Pommard. Sono confinanti, ma basta assaggiare lo stesso millesimo, dello stesso produttore, per rendersi conto che offrono espressioni del tutto diverse dello stesso vitigno. Pommard è considerato uno dei villaggi più “freddi” della Borgogna: si trova ai piedi della combe e i suoi vini sono più austeri, con tannini più incisivi. Volnay, al contrario, è protetto dalle colline che lo sovrastano e che creano un microclima più mite, dando origine a vini notoriamente più eleganti e setosi. Se Pommard è la forza, Volnay è la seta. 

Volnay Premier Cru “Les Angles” 2020 – Domaine Louis Boillot
100% pinot nero. Vigneto piantato nel 1961. Parcella di 0,54 ettari. Fermentazioni spontanee; 16-18 mesi in legno di cui 20% botti nuove. Il climat “Les Angles” si trova proprio in fondo al pendio di Volnay, quasi in angolo, da cui il nome. Protetto dalle colline retrostanti ha suoli limosi e scuri, ricchi di argilla e marne calcaree, che contribuiscono alla struttura del vino ma conservano eleganza.
Louis Boillot è uno dei grandi nomi della Borgogna. Dal 2013 ha intrapreso un percorso autonomo, condividendo la cantina con la moglie, Ghislaine Barthod, altra grande interprete del pinot nero a Chambolle. Dal 2019, il figlio Clément lascia la sua impronta, spingendo verso una vinificazione ancora più pulita e fine, moderna ma rispettosa del terroir.

Il colore è rubino, luminoso. Il naso è elegante e profondo: frutta scura – mora, mirtillo – mai dolce, sempre vibrante, con note balsamiche di mentuccia e timo, spezie leggere, liquirizia e un accenno di grafite. In bocca l’ingresso è setoso e avvolgente, sorretto da una freschezza viva. I tannini sono cesellati: giovani ma già eleganti, nello stile tipico di Volnay. Il finale è lungo, con una sapidità fine che prolunga il sorso e lascia la bocca fresca e pulita.
Questo vino rappresenta un crescendo nella nostra degustazione: una delle massime espressioni dell’eleganza della Côte de Beaune. 

Chambolle-Musigny: l’eleganza sfaccettata

Per completare il nostro viaggio, ci spostiamo di nuovo in Côte de Nuits. Con soli 300 abitanti, Chambolle-Musigny è uno dei villaggi più piccoli. Spesso definita, in evocazione bordolese, la “Margaux della Côte de Nuits”, Chambolle incarna l’equilibrio raffinato e la delicatezza che solo pochi terroir sanno esprimere con tanta coerenza. Il cru simbolo è naturalmente Musigny, uno dei pochissimi Grand Cru della Borgogna prodotto sia in rosso che - eccezionalmente - in bianco. Le sue dimensioni contenute rendono la produzione limitatissima: basti pensare che Lalou Bize-Leroy (leggendaria négociant borgognona, già co-gérant di Romanée Conti) ne vinifica appena una barrique all’anno (300 bottiglie), oggi più rare e costose perfino della Romanée-Conti. Ogni parcella di Chambolle racconta una sfumatura diversa: verso Morey-Saint-Denis i vini si fanno più fruttati e delicati, mentre verso Flagey-Échezeaux emergono struttura e intensità. Questa è la magia di Chambolle-Musigny: un’eleganza mai statica, ma mutevole e tridimensionale.

Chambolle-Musigny Premier Cru “Les Feusselottes” 2021 – Domaine Maxime Cheurlin Noëllat
100% pinot nero. Fermentazioni spontanee; vinificato con il 25% di grappolo intero.
Il Domaine Maxime Cheurlin Noëllat appartiene a una delle famiglie storiche della Borgogna. Maxime, nipote di Marie-Thérèse Jayer – cugina del leggendario Henri Jayer – ha rilevato la tenuta nel 2010. Cresciuto in Champagne, si è formato in Borgogna, dove oggi è considerato uno dei giovani produttori più promettenti.

Il colore è rubino. Il naso è complesso con note di cannella, incenso e una mineralità tagliente tipica dei suoli calcarei della Côte de Nuits. Meno vellutato di un Volnay, ma più teso e vibrante. In bocca è preciso, fresco, con un’acidità affilata ma equilibrata. I tannini sono fitti, ben integrati, e il finale è lungo, pulito, con una persistenza minerale che lascia il segno. Un vino che incarna la grazia profonda di Chambolle-Musigny, e quella magia che invita a tornare al bicchiere.

Vougeot: l’eleganza

Vougeot è un villaggio simbolo della Borgogna, noto soprattutto per il celebre Clos de Vougeot, fondato nel 1110 dai monaci cistercensi giunti a Cîteaux. Dopo la Rivoluzione Francese, passò a Julien Larcher, fornitore di armi per Napoleone, che ne ebbe il monopolio fino al 1889. Alla sua morte, la proprietà fu divisa tra gli eredi: da lì iniziò la parcellizzazione che oggi conta oltre 80 proprietari su circa 51 ettari. Le parcelle raramente compaiono in etichetta, ma ci sono eccezioni, come quella del Domaine Gros, che riporta “Clos de Vougeot – Musigny”, segnalando la posizione privilegiata della vigna.

Clos-Vougeot Grand Cru 2019 - Domaine Jean Charles Rion
100% pinot nero. Fermentazioni spontanee in tini di acciaio aperti; 12-18 mesi di affinamento.
Il vino proviene dalla parcella Petit Maupertuit, un tempo di Daniel Rion e oggi parte della tenuta di Jean-Charles Rion, che dal 2010 ha intrapreso un percorso indipendente e gestisce circa 6 ettari (viticoltura biologica, non certificata ma attenta e artigianale).

Rubino intenso nel calice, già visivamente elegante. Al naso, frutti rossi maturi – ciliegia e lampone – si intrecciano a note floreali, spezie fini e un accenno di sottobosco. È un vino giovane, ma la statura del Grand Cru si percepisce subito: potenza ed eleganza in divenire. Il sorso è pieno, dinamico, sorretto da acidità viva e tannini fitti ma cesellati. «Questo Clos-Vougeot unisce la dolcezza fruttata di Gevrey, l’eleganza di Chambolle e la profondità di Pommard. Ma un Grand Cru va oltre: è un mondo a sé, fatto di intensità e mistero», osserva Ivano Antonini.

Ivano conclude la serata citando Lalou Bize-Leroy, una delle voci più rispettate del panorama enologico borgognone: «Non ci sono vinificatori, né enologi: siamo solo guardiani. Guardiamo, osserviamo, prendiamo alcune decisioni… ma sono le uve a guidarci. Il nostro compito è ascoltarle, capirle, e seguirle» e aggiunge una sua considerazione sul ruolo del degustatore, che va oltre la semplice analisi tecnica: «Anche il nostro compito di degustatori è quello di guardare, osservare e cercare di capire quello che ha da dire un vino della Borgogna nel bicchiere. Dobbiamo diventare appassionati, guardare il vestito, osservare la sua espressione e cercare di cogliere ogni sfumatura organolettica. Solo così possiamo entrare in sintonia con il vino e creare il più passionale dei rapporti emotivi». 

Certo molto più di un ripasso. Una Lectio Magistralis.