Sancerre e le sue differenti sfaccettature
La Loira Centrale ospita due perle rare, poste una di fronte all’altra, in cui il sauvignon blanc si esprime come in nessun altro posto al mondo: Sancerre e Pouilly-sur-Loire. In AIS Monza e Brianza, Artur Vaso ne ha raccontato assonanze e differenze in due serate, la prima delle quali dedicata a Sancerre.
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La Loira è una delle regioni più note di Francia: da sempre, infatti, attrae turisti da tutto il mondo, incantati dalla bellezza del suo territorio, dai celeberrimi castelli e, per quel che ci riguarda più da vicino, dalla bontà e varietà dei suoi vini: qui si trova infatti la strada del vino più lunga e variegata d’Oltralpe che, con i suoi 800 km, tocca diverse importanti denominazioni, dall’Atlantico fino alla Francia Centrale; questa regione, inoltre, rappresenta il terzo territorio francese per ettari vitati e il primo per estensione.
Artur Vaso, nel suo racconto, non può che assecondare questa poliedricità: così, partendo dai cenni storici, dopo aver parlato degli avvenimenti comuni al resto del territorio francese - citando ad esempio l’importanza della Chiesa per lo sviluppo della viticoltura, l’ascesa e il declino della Monarchia e la Rivoluzione Francese - entra più specificamente nella storia della Loira alternando, tra gli altri, aneddoti più ludici legati ai Castelli, in particolare Chambord o Chenonceau, ad altri più strettamente inerenti il vino. Racconta quindi che Chenonceau è stato edificato come regalo per la favorita del Re Francesco I, Diana de Poitiers (colei che avrebbe dato origine alla famosa forma della coppa di Champagne) e lo stesso Francesco I a Chambord, sua residenza di caccia, fece costruire a Leonardo da Vinci, cui era legato da profonda amicizia e stima, una scalinata a doppia elica che permetteva di non far incontrare mai chi saliva e chi scendeva dai piani del palazzo.
Francesco I è stato, però, anche colui che ha dato il via allo sviluppo della viticoltura moderna in Francia; che ha istituito una tassa sul commercio con l’estero, sia per il vino che per i prodotti agricoli; e che ha emanato un editto obbligando i commercianti parigini ad acquistare il vino entro 20 leghe (circa 88 km) da Parigi, determinando così la fortuna dei vigneti della Loira, in particolare quelli di Blois.
Infine, arrivando più a ridosso del ‘900 e nello specifico alla fillossera, sebbene questa sia stata la grande piaga che tutti conosciamo, il relatore ne riconosce anche un risvolto positivo, quello di razionalizzazione della scelta dei vitigni da impiantare in base ai terreni e ai climi regionali: così, il sauvignon blanc nella Loira Centrale ha soppiantato quasi per intero il pinot noir preesistente; lo stesso dicasi anche per il cabernet franc, lo chenin blanc e il melon de Bourgogne nelle altre zone della Loira.
Sancerre diventa AOC, insieme a Quincy, nel 1936. Dopo le due guerre mondiali, così come in altre zone, si assiste a uno svuotamento delle campagne a favore dell’industria che garantiva una qualità di vita migliore, seguito, fortunatamente, da un percorso di rinascita della viticoltura e di riscoperta del suo valore.
Sancerre e il suo terroir
Il vitigno principe a Sancerre, come si accennava già in precedenza, è il sauvignon blanc, che oggi occupa la quasi totalità degli ettari coltivati; il pinot noir è rimasto in percentuale nettamente inferiore e viene utilizzato per produrre gli altri due colori di vino, rosso e rosé. La vera peculiarità del Sancerre blanc è proprio il modo in cui il sauvignon blanc si esprime: qui, infatti, esso perde le consuete connotazioni di vegetale, bosso e pietra focaia, virando (volendo individuare caratteri comuni alla maggior parte dei vini) su profumi di frutta a bacca bianca, pera, pesca, a volte note agrumate di mandarino, lime o pompelmo, che col passare del tempo evolvono verso la frutta esotica.
Ciò è legato al particolare connubio che qui si crea tra vitigno e terroir; all’interno di questa generica descrizione, però, si possono delineare ulteriori sfaccettature a seconda delle tre tipologie di sottosuolo, andando a definire la chiave di lettura dei vini:
- circa il 45% dei terreni è composto dalle c.d. caillottes, ossia ghiaia con piccoli ciottoli e conchiglie, che dà luogo a vini freschi, longevi e verticali, con una spiccata parte citrica;
- il 15% è invece composto da silex, ossia conglomerati di silice e argilla, che dona sapidità e buon potenziale di invecchiamento;
- il restante 40% dei terreni viene definito terre bianche, di matrice calcareo-argillosa; i vini prodotti su questi terreni si caratterizzano per pienezza, fragranza e note di frutta matura; l’8% di questi terreni è costituito da kimmeridge, ossia calcare puro legato a piccole ostriche fossili, soprattutto nanogyra virgula, e rappresenta il vertice della piramide qualitativa dei vini di Sancerre.
La denominazione consta di 3.053 ettari vitati e si estende su 14 comuni, con quello di Sancerre posto in cima alla collina, a 356 m s.l.m.; non vi è una gerarchia dal punto di vista legislativo, ma alcuni comuni particolarmente vocati, tra cui Sancerre stesso, Chavignol, Ménétréol-sous-Sancerre e Bué rappresentano i Grand Cru della denominazione. I vigneti più rinomati sono Chêne Marchand a Bué e Les Monts Damnés a Chavignol (il più elegante, tutto da kimmeridge); ci sono poi dei lieu-dits importanti, tra cui vale la pena menzionare Grand Chemarine e Clos de la Poussie.
Sebbene posti uno di fronte all’altro, Sancerre, alla sinistra della Loira, e Pouilly-sur-Loire, a destra, danno origine a vini differenti: il primo, per la sua posizione collinare, non sente l’influenza del fiume, mentre per i vini di Pouilly questa è più evidente - si dice che ha le mani bagnate nell’argilla -: sono più grassi e larghi, con un carattere varietale a volte più percettibile; entrambi i vini sono giocati sulla verticalità, sia in termini di acidità che di sapidità, ma differente è la struttura, che rende gli uni più affilati e gli altri più tarchiati.
Degustazione
Artur Vaso specifica che, per riuscire a comprendere i vini nella loro massima espressione, andrebbero assaggiati con qualche anno sulle spalle; obiettivo della degustazione è quindi quello di vedere le diverse espressioni nei tre sottosuoli: kimmeridge, silex, caillottes.
Vincent Pinard – Flores 2022
(Caillottes)
Azienda dei primi del ‘900 situata a Bué e gestita oggi da due fratelli, consta di 17 ettari con viti di età media di circa 35 anni. Il loro Chêne Marchand oggi risulta tra i vini più iconici legati a questo territorio.
Il Flores 2022 può essere senz’altro definito ancora giovane e manterrà queste caratteristiche a lungo: ciò che emerge è l’integrità, la pulizia, la perfezione, anche dal punto di vista gusto-olfattivo. Non filtrato e non trattato, una piccola percentuale fa un passaggio in legno.
Visivamente potrebbe essere un vino qualsiasi, caratteristica comune, in effetti, a tutti questi vini. D’impatto l’olfatto ha un po’ di parte vegetale verde e un po’ agrume; non ha grande intensità, né complessità: ciò che colpisce è però la nitidezza, la pulizia, la perfezione, che si ripropone anche al palato: è fresco, ma soprattutto sapido, con un alcool ben amalgamato; pur essendo già molto interessante, lascia presagire che diventerà più grande. Dopo qualche minuto, a una seconda olfazione, acquisisce sentori freschi e balsamici, ma rimane intatto in quelli vegetali.
Alphonse Mellot – La Moussiere 2022
(Kimmeridge)
Famiglia importante, erano commercianti di vino sin dal XVI secolo e consulenti personali di Luigi XIV. La cantina è stata fondata a inizio ‘800 espandendosi man mano e diventando oggi una delle realtà più note.
La Moussiere, di circa 34 ettari, si trova a Chavignol; il vino in degustazione rappresenta una selezione aziendale e fa una vinificazione 50% acciaio e 50% legno.
Visivamente è simile al precedente; all’olfatto c’è un accenno in più di legno, ma non è molto impattante perché ciò che si cerca è la freschezza. I profumi sono più di nocciola e frutta gialla: è quindi meno verde e più ricco e largo del precedente, molto piacevole; c’è anche una parte di speziatura. Pur essendo più morbido del primo vino, si esprime comunque in termini di verticalità. A un secondo assaggio, acquisisce sensazioni fumé e in bocca emerge un po’ di più l’alcol.
Baron de Ladoucette – Grand Cuveé 2021
(mix - uve provenienti da Buè, Chavignol, Reigny e Verdigny)
Una delle aziende più grandi e importanti, ha sede sia a Pouilly-sur-Loire che a Sancerre. Presenti già nel XVIII secolo, con la Rivoluzione Francese perdono tutti i terreni e riescono a recuperarli solo nel 1972. Da qui parte la ripresa dell’azienda che oggi vanta possedimenti anche in Champagne, Borgogna e Languedoc. Il marchio distintivo è senz’altro la bottiglia, utilizzata per le Grand Cuvée, che ricorda quelle usate dal nonno.
Il vino in degustazione fa solo acciaio e 2 anni in bottiglia; proviene da vigne di più di 30 anni.
Anche questo vino è paglierino alla vista, ma da subito ha un’espressività differente, il naso diventa quasi balsamico, ha una parte eterea da smalto e un frutto a polpa gialla. Al palato emerge verticalità e parte salina ma soprattutto una freschezza molto intensa; integrità ma anche ricchezza e gusto; Artur lo definisce “un succo”.
Gitton Père et fils – “Silex” Galinot 2020
(Silex)
L’azienda è un po’ più giovane delle precedenti, risalente al periodo successivo alla Guerra anche se i proprietari commercializzavano già prima l’uva; è ubicata a Ménétréol-sous-Sancerre, cioè la parte esterna e oggi è presente in azienda la terza generazione; gli ettari vitati sono 27.
Il vino in degustazione fa diversi mesi in botte grande 75% rovere di Slavonia, 25% rovere francese; l’assemblaggio avviene in vasche d’acciaio.
Andando ancora indietro di un anno, il vino ha già un colore differente; il legno si percepisce più nettamente: più frutta da guscio, erbe secche, tisana, una parte balsamica/speziata, un’impronta leggermente eterea; al naso dà l’idea di un vino più ricco. Così, anche l’ingresso al palato è più grasso, più largo e vira leggermente sull’ammandorlato finale.
Pascal Cotat – Les Monts Damnès 2022
(Kimmeridge)
Azienda familiare situata a Chavignol - di cui Pascal Cotat è il meccanico! - tramandata dal nonno ai due figli e da questi ai rispettivi figli (il cugino è François Cotat). Diversi sono gli aneddoti che Artur Vaso racconta circa le etichette “creative” e fuorilegge utilizzate dai due cugini e le vicissitudini legali che li hanno visti costretti a creare due aziende distinte; oggi entrambi realizzano vini dalle migliori parcelle di Sancerre.
Les Monts Damnès è una collina composta interamente da kimmeridge; per il vino vengono utilizzate botti esauste, scarsissimi interventi, lieviti indigeni. Circa 7.000 sono le bottiglie prodotte da vigne di 35 anni.
È un vino più fresco, con apertura bianca (data dal kimmeridge): ciò che si cerca non è la complessità, ma freschezza, parte salina e potenzialità di invecchiamento. Il 2022 è ricco, ma tenue; in bocca è buonissimo, gustoso, con una nota salina interessante, succoso, anche se la sua piena espressione si manifesterà solo tra qualche anno.
Edmond Vatan – Clos La Néore 2016
(Kimmeridge)
L’azienda è a Chavignol. Edmond Vatan è diventato il mito di Sancerre; ha iniziato a piantare circa 70 anni fa; negli anni ’90, a seguito di un calo di produzione, furono immesse in commercio solo poche centinaia di bottiglie, cosa che rese il vino oggetto di culto per gli appassionati. Dal 2007 l’azienda è gestita da Anne, la figlia e produce circa 4.000 bottiglie all’anno di un solo vino, iconico e introvabile, il Clos La Néore. Piccola curiosità: Anne è sposata con Nady Foucault, vecchio proprietario di Clos Rougeard.
Clos La Néore è una parcella di un ettaro, esposta a sud, sul Montes Damnès, quindi kimmeridge 100%, nella zona migliore, quella che riceve più luce nonché l’ultima a essere vendemmiata, per poter beneficiare della piena maturità delle uve. La produzione è la più semplice possibile: biodinamico, nessun intervento, nessuna filtrazione, lieviti indigeni, imbottigliamento con la luna piena.
Bottiglia iconica: ricorda quella dell’acqua minerale per via della sua semplicità, con l’etichetta posta nella parte del collo; ha inoltre il tappo cerato.
Già al naso si percepisce una concentrazione di erbe e frutta gialla; è ampio, <<non smetteresti mai di annusarlo>> dice Artur; sensazioni leggermente mature, da pietra, idrocarburo si accompagnano a una parte eterea, quasi smaltata. Al palato dimostra invece la sua gioventù, è sottile, sembra una limonata al sale. Ha una struttura talmente differente che non può che chiudere la degustazione.
Rifacendo un giro, il primo vino non è più così verde, avendo acquisito una nota fumé; il secondo ha perso un po’ l’integrità del frutto, ma è coerente in bocca; il terzo inizia a far emergere note smaltate, rivelando un’iniziale evoluzione, ma risultando elegante e guizzante al palato; il quarto inizia a essere più ampio, con un’escalation dal punto di vista olfattivo e anche in bocca, meno fresco, ma più gourmand; il quinto è agrumato di lime, esile, delicato, sottile; il naso del sesto è irraggiungibile, creando grandi aspettative sull’evoluzione futura.
Quale sia il preferito della serata, non è dato sapere; quel che è certo, è che è stata una degustazione memorabile.