Senza liqueur d’expédition. Alla scoperta dello champagne démaquillé

Pas dosé, o, se preferite, brut nature e zéro dosage. Insieme a Samuel Cogliati, AIS Bergamo ha approfondito il panorama produttivo di una tipologia di champagne ancora di nicchia nel panorama produttivo, ma che sta riscontrando un favore sempre più crescente fra gli estimatori del Metodo Classico d’Oltralpe.

Stefano Vanzù

Lo champagne è una vera e propria star enologica: simbolo di lusso ed esclusività, oggetto di una moda che attraversa indenne le epoche, è senza dubbio il vino più famoso al mondo, oltre a rappresentare un tipico case study di marketing e una riuscita dimostrazione di come si possa costruire uno storytelling di grande fascino intorno a un prodotto.

Attenzione, però, che per il consumatore medio, lo champagne era (ed è ancora) praticamente quasi solo il brut, tipologia che nel 2010 rappresentava da sola il 96,5% delle esportazioni francesi, con i pas dosè al penultimo posto della classifica, accreditati di un risicato 0,08%, comunque sempre meglio del misero 0,002% dei doux, sostanzialmente sulla soglia dell’estinzione.

La situazione, però, stava cambiando e già dieci anni dopo, nel 2020, i brut nature e gli extra brut raggiungevano insieme l’11,8% del totale dell’export francese, a dimostrazione del grande successo commerciale di queste tipologie, dovuto all’idea di fondo che uno champagne non dosato sia migliore, in termini qualitativi, di uno Champagne dosato.   

Ma è davvero così oppure l’interesse verso i pas dosè è solo un nuovo modo per farsi notare da parte di chi disserta di "liqueur de tirage", “remouage” “dégorgement“ e considera solo i "millesimé" ogniqualvolta si trova a parlare di Champagne?

Ironia a parte, per capire correttamente il mondo dei pas dosé occorre l’aiuto di un vero esperto e in nostro aiuto arriva Samuel Cogliati: italo-francese, classe 1976, editore, scrittore, giornalista, consulente nel mondo del vino e fondatore di Possibilia Editore, si occupa da oltre vent’anni di vino, con un particolare focus sui vini francesi, e per AIS Lombardia tiene regolarmente a Milano un master interamente dedicato alla Champagne e ai suoi vini.

Il ruolo della liqueur d'expédition

“Démaquillé” significa letteralmente “struccato” e nel nostro caso questo aggettivo viene affibbiato ad uno Champagne al quale non viene aggiunta la liqueur d'expédition - o liqueur de dosage - ovvero l’ultimo tocco (Samuel lo definisce anche “l’ultimo trucco”) al vino prima della tappatura definitiva della bottiglia.

La liqueur d'expédition, da oltre 200 anni un “must” e uno e dei segreti di fabbrica del re dei vini metodo classico, ritenuta un elemento irrinunciabile della qualità e della stessa identità champenoise, è, come noto sin dal corso di 1° livello, una miscela liquida (uno sciroppo) ad elevato tenore zuccherino utilizzato per aumentare la concentrazione degli zuccheri nello spumante prodotto mediante il metodo classico, che viene aggiunto nella fase finale di preparazione dello spumante dopo la sboccatura (dègorgement) tramite il dosaggio (dosage) con l’ausilio di specifiche macchine dosatrici.

Costituito essenzialmente da vino (vin clair di Champagne), zucchero (di canna o di barbabietola, generalmente candito), raramente anche un distillato (es. acquavite di vino), spesso vino invecchiato in barrique e additivi come stabilizzanti (solfiti, acido ascorbico e altri), la liqueur d'expédition assolve a tre funzioni principali: correttiva, di caratterizzazione dello spumante e di preparazione alla commercializzazione.

Alcuni produttori, meno sensibili alla tradizione e per abbassare i costi e standardizzare il processo di produzione, utilizzano al posto della liqueur d'expédition il mosto concentrato rettificato (MCR), in sintesi un mosto neutro, privato di tutte le componenti non zuccherine (glucosio e fruttosio), concentrato, rettificato mediante passaggio in resine anioniche, filtrato e infine pastorizzato.

La storia del “dosaggio”

Poiché sappiamo che ogni produttore custodisce gelosamente la composizione della sua liqueur d'expédition, che determina sia le caratteristiche organolettiche finali dello champagne sia, per la quantità di zucchero residuo che la sua tipologia o dosage in pas dosé, extra brut, brut, extra dry, sec, demi sec, doux, potremmo chiederci se i dosaggi sono rimasti inalterati nel tempo o abbiamo subito un’evoluzione per aderire ai cambiamenti dei gusti dei consumatori.

Il ritrovamento, nell’estate del 2010, di un brigantino affondato nel 1842 al largo delle isole Aland nel Mar Baltico ha aperto una finestra sui gusti dei nostri avi: alla profondità di 50 metri, i subacquei hanno rinvenuto nella stiva della nave 168 bottiglie di champagne e 5 di birra, tutte perfettamente conservate ed ancora ben tappate nonostante fossero rimaste sui fondali bui, gelidi e profondi del Mar Baltico per quasi 170 anni.

Le bottiglie di champagne, che sono state identificate, grazie alle incisioni a fuoco sui tappi di sughero, come appartenenti a tre storiche case produttrici francesi – Veuve Clicquot Ponsardin, Heidsieck e Juglar (poi diventata Jacquesson & Fils) – sono state battute all’asta per circa 15 mila dollari l’una dopo che una commissione di esperti, dopo averne aperte e assaggiate alcune, lo aveva trovato ancora perfettamente bevibile dimostrando così che l’ultracentenaria immersione non aveva affatto compromesso il gusto del vino.

Se è vero che l’assenza di luce, la pressione atmosferica (che a 50 metri è pari a 6 atm, la stessa presente all’interno di una classica champagnotta), la temperatura pressoché costante e l’ottima tenuta dei tappi hanno rappresentato delle condizioni ideali per la conservazione del vino, cosa ci hanno rivelato invece questi champagne d’epoca sui gusti dei consumatori di allora?

I fortunati degustatori hanno riscontrato immediatamente che al tempo si preferiva un prodotto più dolce e meno alcolico rispetto agli standard odierni e che, di conseguenza, lo champagne di quel tempo era pesantemente dosato anche se in misura diversa a seconda del Paese a cui era destinato.

Nel 1830 la pratica del dosaggio era quasi sistematica e le quantità di zuccheri presenti nelle bottiglie confermano le grandi differenze con gli champagne odierni: nel 1882, ad esempio, nei vini destinati all’Inghilterra si trovavano fra i 22 ed i 66 grammi di zucchero per bottiglia, si saliva a 110/165 gr/bottiglia per le esportazioni verso gli USA, 165/200 gr/bottiglia per i consumatori francesi o tedeschi fino a 275/330 gr/bottiglia per gli Champagne diretti in Russia dove 1/3 della bottiglia era di fatto sciroppo.

L’avvicinamento ai dosaggi odierni prende il via dopo la metà del 19° secolo, con i primi spumanti secchi prodotti fra il 1860 ed il 1870 per i mercati inglesi e statunitensi, mentre in Francia la tendenza verso i brut inizia verso il 1910 e proprio dagli anni dieci si registrano dosaggi dimezzati (e anche meno in Inghilterra).

Oggi, come noto, i dosaggi sono ancora più lievi, ad iniziare dai max 3 gr/lt per i pas dosé per arrivare a oltre 50 gr/lt per i doux; in un brut “tipo” dosato a 8 gr/lt partiremo da 650 gr/lt di zucchero nella liqueur che si traducono in 12, 3 gr totali di liqueur per 8 gr di zuccheri per arrivare al contenuto totale di liqueur pari a 9,2 gr in una bottiglia di brut da 0,75 lt.

Nei pas dosé gli zuccheri residui consentiti, derivati solo dalla fermentazione alcolica non essendo ammessi zuccheri aggiunti, debbono essere inferiori a 3 gr/lt e pertanto in una bottiglia da 75 cl avremo 2,25 gr di zuccheri.

Abbiamo visto, allora, che il ridotto tenore zuccherino incontri i gusti dei consumatori odierni, maggiormente propensi più che in passato a bere vini secchi, ma non è solo questo il motivo della crescente fortuna dei pas dosé. Samuel Cogliati ritiene che la ragione principale del successo dei brut nature e parimenti del declino delle tipologie più zuccherate (l’extra-dry è addirittura quasi sparito negli champagne mentre è molto diffuso nel Prosecco) risieda nell’idea che eliminando la liqueur d'expédition i produttori, per garantire un vino di alto livello, debbano vinificare uve di prima qualità, le migliori e maturate in maniera ottimale (dato che non possono ricorre alla “patina correttiva” offerta dalla liqueur) e questo approccio, inoltre, esalta il terroir del vino, inteso come espressione di leggibilità del territorio.

Solo lati positivi, quindi, e nessuna controindicazione dall’assenza di dosaggio? In realtà un problema esiste e proprio il ritrovamento delle famose 168 bottiglie scampate al naufragio del 1842 ce lo fa intuire: privi di dosaggio, i pas dosé sono intrinsecamente più fragili degli champagne dosati e di conseguenza non potranno sopportare lunghi invecchiamenti.

Siamo ormai al termine dell’avvincente racconto sugli zéro dosage e arrivano le domande per Samuel, che risponde a tutte quelle che gli vengono poste dimostrando ancora, anche se non avevamo dubbi in merito, la sua profonda conoscenza della materia.

Parlando di qualità di uno champagne, Samuel ribadisce che non è dovuta solo all’acidità ma piuttosto è un mix fra tutti i fattori del vino (alcol etc.) e che la produzione delle famigerate bollicine, da sempre ritenute spie del livello qualitativo di uno spumante, non dipende dalla qualità intrinseca del vino ma dall’anidride carbonica contenuta, dalla temperatura di servizio, dalla densità del vino e dallo stato del bicchiere che lo contiene.

Alla domanda sul ruolo dei tre uvaggi che, in misura variabile, concorrono alla formazione dei vini delle cuvée, Samuel risponde che, al di là degli apporti fondamentali di ogni uva (acidità etc.), lo chardonnay conferisce ad uno champagne migliori possibilità di invecchiamento rispetto al pinot noir mentre il pinot meunier dona prontezza alla cuvée stessa. 

In merito all’eccessivo sfruttamento del territorio della Champagne e all’uso intensivo, in passato, di composti chimici per accrescere la produzione di uva, con i conseguenti danni all’ambiente, la situazione oggi è in via di miglioramento, anche se rimane ancora tanta strada da fare, se pensiamo che solo il 3% dei vigneti in Champagne è a conduzione biologica contro la media nazionale francese del 9% con punte del 40% nel Rodano del Sud.       

La degustazione

Con le idee finalmente più chiare, iniziamo la degustazione per la quale Samuel ha scelto sei bottiglie che, come di sua consuetudine, sono state servite rigorosamente alla cieca, un approccio che evita di subire il condizionamento psicologico indotto dal leggere in anticipo un’etichetta.

Zéro dosage Grand Cru Intégral Francǫise Secondé, Sillery
12% vol., pinot noir 66%, chardonnay 34% (età media 40 anni), prezzo presumibile in enoteca € 50. 

Vinificato da uve nate su terreni prevalentemente gessosi ed esposti a nord nell’areale della Grande Montagne de Reims, è un assemblaggio in cui è presente il 30% di vin de réserve (VDR). Con un residuo di 0 gr/lt di zuccheri, si presenta al naso vinoso, asciutto, con sentori floreali, fruttati e una leggera dolcezza di zucchero a velo. Non ha una grande complessità ma riscaldandosi vira verso aromi floreali più compiuti. In bocca è dritto, teso, quasi “minimalista”, all’aumentare della temperatura nel calice diventa più rotondo nel gusto ed offre una persistenza più che buona, pur rivelandosi ancora giovane (lo aspettiamo dopo il 2023).    

Brut Nature Grand Cru Benoît Lahaye, Bouzy (e Ambonnay)
12,5% vol., pinot noir 90%, chardonnay 10%, non filtrato, sboccatura ottobre 2021, prezzo presumibile in enoteca € 65. 

Le uve provengono dalla stessa zona dell’Integral ma le vigne sono esposte a sud, radicandosi su un terreno argilloso-calcareo con fondo gessoso. E’ un assemblaggio con il 40% di vin de réserve (VDR) e, pur provenendo dallo stesso areale dell’Integral ed avendo anch’esso 0 gr/lt di zuccheri residui, si avverte subito che è molto diverso, offrendosi più ricco e meno ruvido all’olfatto, complesso di frutta polposa, mela gialla, uva matura, uva spina, anguria, note grasse ma anche nocciola una volta riscaldatosi. Al palato è più rotondo e morbido dell’Integral rivelando anche una CO2 maggiormente diffusa e cremosa.

Extra Brut Résonance Marie-Courtin, Aube, Barséquanais, comune di Polisot (Côte de Bars) 2017
12% vol., pinot noir 100%, prezzo presumibile in enoteca € 55-60. 

Nasce in vigneti esposti a sud-est, su terreni argillosi-calcarei e fondo marnoso il pinot noir di questo Blanc de Noirs che si presenta inizialmente al naso come uno Champagne tipico evidenziando lieviti e pan carré per poi aprirsi verso il tiglio e virando, riscaldandosi, su note vanigliate. In bocca è denso, pieno, concentrato, l’acidità è evidente ma di qualità, sapido e speziato con un’ottima lunghezza. In sintesi un vino molto elegante, di grande struttura e eccellente persistenza.

Brut Nature Fleur de l’Europe Fleury, Courteron (Côte de Bars) 2015
sboccatura Agosto 2021, 12,5% vol., pinot noir 85%, chardonnay 15%, prezzo presumibile in enoteca € 60. 

Le vigne sono radicate su splendide colline caratterizzate da suoli argilloso-calcarei su fondo marnoso che regalano ai vini di quest’area più struttura rispetto a champagne di altri distretti più a nord della regione. E’ un assemblaggio con il 25% di vin de réserve (VDR) in botte grande, annusandolo avvertiamo note balsamiche, limone lieve e malto delicato. Nel palato è rifrescante, più scattante e vibrante degli altri pas dosè degustati e pur dotato di ottima complessità è ancora troppo giovane, andrà verificato fra almeno 5 anni.

Brut Nature Zéro Tarlant, Marne-Vallée de la Marne (rive gauche)
sboccatura 14/09/2020, 12% vol., pinot noir, chardonnay e pinot meunier (1/3), prezzo presumibile in enoteca € 60. 

Tarlant possiede 14 ettari vitati suddivisi in 60 parcelle coltivate in regime biologico; i suoli sono composti da gesso, sabbia e calcare, con l’appezzamento di Les Sables contraddistinto da un terreno molto sabbioso che ha arrestato l'avanzare della fillossera nell’800 e dove le viti sono a piede franco. L’esame olfattivo mostra uno champagne più maturo e rotondo rispetto al Benoît Lahaye e al Résonance, molto complesso con svariati frutti (pera, melograno, datteri), finemente speziato (pepe bianco, coriandolo), lo definiremmo uno Champagne classico e ben bilanciato. Al palato impatta subito combinando sapidità ed amaro e offrendo una bocca quasi da vino fermo, al punto che, se non avesse le “bollicine,” si potrebbe scambiare per un grande, vecchio Trebbiano.

Extra Brut Rosé Bistrotage B.11 Francǫise Martinot
sboccatura Agosto 2021, 12% vol., pinot noir 100%, prezzo presumibile in enoteca € 75-80. 

I vigneti del Domaine Francǫise Martinot si trovano nell’area di Aube e Barséquanais, nel comune di Landreville, il terroir è argilloso-calcareo su fondo marnoso. Appena versato nel calice, ci colpisce immediatamente il bellissimo colore, un buccia di cipolla tendente al rosa; al naso è evoluto, pieno, complesso con sentori di erbe amare, maggiorana, timo, fiori essiccati, per arrivare alla carne rossa cruda e note salmastre unite ad un leggero tocco ossidativo che evoca la grappa. Riscaldandosi aumenta la nota ossidativa e in bocca si rivela corposo ma un po’ spento pur evidenziando un’ottima sapidità.

Una serata così intensa non poteva che concludersi in bellezza e gusto, con la comparsa in sala di un delizioso risotto agli scampi con tocco di pompelmo, una suggestione ideata dagli Chef dell’Hotel Settecento.