Sicilia: niente mare, per questa volta si sale

Federico Lombardo di Monte Iato (Gruppo Firriato) e il sommelier Bruno Ferrari ci hanno portato sull’Etna. Vini che nascono sul versante nord del vulcano e da vitigni reliquia che hanno saputo resistere alla fillossera.

Sara Missaglia

Viticoltura ed enologia trovano nel territorio siciliano un vero e proprio laboratorio a cielo aperto: la presenza di sette ordini di suoli (nel mondo ve sono dodici identificati) con oltre 70 varietà autoctone locali, sono testimonianza della grande biodiversità e della ricchezza vitivinicola del territorio. Alle varietà di vitigni e di suoli si aggiunge anche il fattore dimensionale: Federico Lombardo di Monte Iato, Gruppo Firriato, con orgoglio sottolinea che il vigneto siciliano è infatti il più grande d’Italia: è tre volte quello della Nuova Zelanda, più grande del sudafricano e in Europa è esteso tanto quanto l’intera superficie tedesca. I vigneti vanno da 0 a 1.200 metri di altitudine, in presenza di un ampio contesto pedoclimatico: nulla di omologato, la parola d’ordine è diversità. 

Origine e numeri di Firriato

Firriato, nell’idioma siciliano, significa “girare”, “perimetrare”: il nome, quindi, rappresenta un tributo alla storia e alla filosofia produttiva rurale millenaria dell’isola in quanto i contadini erano soliti perimetrare, con muretti a secco realizzati in pietra locale, le zone con le produzioni migliori. La cantina viene fondata nel 1978 e attualmente dispone di 470 ettari di vigneto da agricoltura biologica certificata. Sette sono le tenute, che rappresentano i sette ordini differenti di suolo presenti nella regione. Firriato conta tre tipi diversi di terroir: la montagna dell’Etna, il particolare areale dell’isola di Favignana con i chiari influssi del mare e la collina dell’agro-trapanese. Sono quaranta le etichette del Gruppo, divise in nove linee di commercializzazione.

La filosofia produttiva della cantina

Firriato è la prima cantina in Italia a impatto zero, realizzata attraverso le compensazioni di tutte le emissioni di gas serra: le pratiche di sostenibilità ambientale sono dotate di certificazione con una viticoltura biologica di precisione, la tutela dei terroir e della biodiversità, la riduzione dei consumi di energia elettrica e la scelta aziendale di utilizzare sempre più energia da fonti rinnovabili.

I suoli

L’agro di Trapani, che registra una cultura millenaria, è caratterizzato da suoli misti: argilla, limo e marne rosse, in presenza di un grande patrimonio ampelografico. Sull’Etna si pratica viticoltura di montagna, con vigneti fino a 950 m di quota altimetrica, suoli di sabbia vulcanica di tipo basaltico e la presenza di vigneti prefillosserici. A Favignana si pratica la viticoltura di mare, con suoli di biocalcarenite quaternaria. In questo caso non avendo alle spalle alcun trascorso vitivinicolo, per il Gruppo Firriato si tratta di un laboratorio sperimentale.

La viticoltura sull’Etna: cenni storici

Se nella Sicilia occidentale vi sono tracce di viticoltura riferibili all’Età del Rame (circa 6000 anni fa), sull’Etna sono stati ritrovati reperti (palmenti rupestri) che testimoniano una stabile tradizione vitivinicola databile intorno al 2000 a.C.: il poeta Teocrito nel III secolo a.C. scrive di una grande diffusione della vite a partire dal VII secolo a.C. e Andrea Bacci nella Storia dei vini d’Italia del 1596 parla di prodotti sulle montagne che circondano Catania, sottolineando che la loro bontà è attribuibile alle ceneri del vulcano. La diffusione della vite contribuì nei secoli a far fronte all’impoverimento economico dovuto alle fasi eruttive che devastarono nel tempo le campagne della città di Catania. Per fortuna la vite ha la capacità di attecchire nel cosiddetto ripiddu, la ghiaia nera di lava, arrivando a produrre frutti sani e dotati di ottima vigoria. Agli inizi del ’900, per effetto dell’immigrazione e per il fatto che i vini del Sud erano visti esclusivamente come vini da taglio, si è assistito a un lento abbandono delle produzioni vitivinicole con un esodo della manodopera dalle campagne e l’abbandono dei vigneti. Gli anni ‘90 rappresentano invece un’importante ripresa grazie alla lungimiranza di alcuni imprenditori che ben compresero il potenziale qualitativo legato alla vite in ambiente vulcanico. Oggi, la viticoltura dell’Etna viene definita “eroica” e la certificazione arriva dal Cervim, il Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la viticoltura montana.

L’Etna

L’Etna non è «semplicemente un vulcano. È il frutto della complessa evoluzione geologica della zona strettamente correlata con l’evoluzione del pianeta Terra», prosegue Federico Lombardo. «Dal punto di vista geologico si trova lungo la linea di collisione tra le placche europea e africana: zona di forze distensive che, in corrispondenza dell’aria etnea, hanno determinato un vulcanismo piuttosto intenso». Con i suoi 3.357 metri d’altezza e i suoi 50 chilometri di diametro l’Etna è attualmente il vulcano attivo più alto e attivo in Europa. La sua evoluzione è tuttora in corso: si consideri che negli ultimi due anni l’Etna si è alzato di circa 30 metri. Da un punto produttivo l’Etna è un contesto giovane, che si sviluppa in corrispondenza di una fascia pedemontana su un grande strato vulcanico di natura basaltica sia nelle bocche sommitali sia in quelle laterali. La sua ricchezza è data dalla gioventù del terreno, in cui si trovano elementi importanti come il ferro, la silice, il magnesio, il manganese e l’alluminio. La concentrazione di silicio è superiore al 60% ed elevato è il contenuto di sostanza organica, in presenza di una porosità tale da garantire un costante rifornimento d’acqua alle viti. Grandi benefici alla qualità delle uve arrivano anche dalle escursioni termiche tra il giorno e la notte. Dal punto di vista paesaggistico il profilo della montagna è stato rimodellato, con la creazione di versanti dotati di terrazzamenti e movimenti del terreno che hanno consentito l’impianto dei vigneti.

Etna: inquadramento climatico

Grazie alle sue caratteristiche geomorfologiche e topografiche, l’Etna dispone di microclimi tra loro molto diversi in funzione della zona e dell’altimetria. Il clima non viene definito siciliano, continentale o mediterraneo ma “etneo”. L’orientamento, l’influenza del mare, le quote e le zone che possono essere anche interessate da gelate notturne generano differenti microclimi. Firriato sostiene che l’area maggiormente vocata per la viticoltura sia quella corrispondente alla fascia nord, grazie a un ottimale irraggiamento solare, agli effetti benefici del clima xerico e a una ridotta distanza dal mare: i circuiti brezza monte-valle si fondono con i circuiti d’aria terra-mare.

Etna: tanti terroir 

La DOC Etna si sviluppa su altezze che vanno da 400 a 1.200 metri sul livello del mare: un areale di 50 km di diametro su centinaia di bocche che hanno generato la formazione di lave sovrapposte. I luoghi mantengono il vecchio nome feudale e qui si parla sempre di “contrade”. Ogni zona esprime vini molto diversi tra loro, dove ogni “cru” è sigillo di un forte senso identitario.

I vitigni di Firriato sull’Etna

Firriato ha concentrato la produzione vitivinicola su vitigni come il nerello mascalese, il nerello cappuccio e/o mantellato, il carricante, e diversi biotipi di catarratto. I vigneti si trovano in dodici contrade differenti per un totale di 78 ettari vitati. Verzella, Moganazzi, Allegracore, Feudo di Mezzo, Montedolce sono alcune di queste contrade che, nei nomi, testimoniano una viticoltura profondamente legata alla storia, alla cultura e alle tradizioni del territorio.

La degustazione

Tre sono state le tipologie di Metodo Classico presentate durante la degustazione condotta, con eleganza e competenza, da Bruno Ferrari. Le pratiche agronomiche alla base dell’allevamento delle uve destinate agli spumanti prevedono un aumento della superficie fogliare della pianta per coprirne i grappoli in modo tale da rallentare la maturazione degli acini, favorire la concentrazione di acido malico e l’accumulo di aromi. La vendemmia è manuale e anticipata, con uve sottoposte a un processo di selezione. Pressatura soffice, fermentazione a temperatura controllata e affinamento con frequenti coupe de poignèe per favorire lo sviluppo della complessità olfattiva.

Blanc de Blancs Gaudensius
Il nome della linea delle etichette proviene dal latino gaudeo e indica un senso di profondo piacere e intima soddisfazione. Per questo vino si utilizzano uve carricante, vitigno autoctono originario dell’Etna, con un nome che ricorda l’abbondante produttività: un vitigno di razza, ricco di acido malico e di elevata acidità fissa e basso pH, che regala vini raffinati, intensi, minerali e longevi. I terreni da cui provengono le uve sono di origine vulcanica sabbiosa, con elevata capacità drenante. Sosta 36 mesi sui lieviti.

Lucentezza, perlage e vivacità sono indice di freschezza gustativa già alla vista. Il colore è paglierino dorato, con una florealità che ricorda sentori di biancospino, elicrisio, gelsomino, e un fruttato che rimanda al mandarino, alla pesca gialla, alla mandorla. Evidenze di erbe aromatiche e officinali si fondono a spezie dolci come vaniglia e anice, con note sapide, gessose e salmastre al palato.

I viniEtna Bianco DOC Cavanera Ripa di Scorciavacca 2021
Il nome dell’etichetta venne in passato attribuito dai contadini del luogo. I vitigni utilizzati sono carricante e catarratto provenienti dalla tenuta Cavanera in contrada Verzella. I terreni sono franco-sabbiosi, di matrice vulcanica con elevata capacità drenante, allevati sul versante nord del vulcano a circa 800 metri di quota.

L’affinamento prevede almeno 6 mesi su fecce nobili e 12 mesi in bottiglia. È un vino di struttura che si caratterizza per grande vivacità: presenta una quota floreale un po’ più evoluta che rimanda all’acacia e alla ginestra; poi profumi di pesca gialla, mandorla, vaniglia, con note mielate e minerali.

Etna DOC Gaudensius Blanc de Noir
Da nerello mascalese, il vitigno principale della zona e il più coltivato a Catania: è caratterizzato da una grande vigoria vegetativa e produttiva, e da un’elevata predisposizione all’affinamento.

In questo Metodo Classico il nerello mascalese è vinificato in bianco. È intenso, complesso, potente e persistente, dotato di un colore rubino luminoso con sentori floreali che ricordano il glicine e la viola e ricordi fruttati di arancia rossa, ribes, mirtilli, ciliegia e mandorla. Le sensazioni erbacee sono legate alla macchia mediterranea, su uno sfondo speziato di tabacco e pepe nero. La bacca nera non mente: arancia sanguinella, ribes e lampone sono le prime note all’olfatto, per un vino dotato di un ottimo corredo acido e di corpo, una elegante sapidità legata a evidenze di pietra focaia e una elevata persistenza. Le uve provengono dalla contrada nel Comune di Castiglione di Sicilia e la permanenza sui lieviti è di oltre 36 mesi. Un vino gastronomico, che trova un abbinamento ideale nei ravioli di sarde a beccafico.

Terre Siciliane IGT Spumante Metodo Classico Pas Dosé IGT Gaudensius
Il vitigno impiegato è sempre il nerello mascalese vinificato in bianco, proveniente dalla contrada Verzella. Qui la rifermentazione in bottiglia ha una durata di 48 mesi.

Il naso è più profondo e complesso: fiori gialli come la ginestra sono seguiti da piccoli frutti di bosco e da sensazioni che ricordano la salvia e il timo. Al palato il vino presenta grande struttura e morbidezza. Perfetto in abbinamento a primi piatti di pesce di struttura come le busiate, una pasta tipica di Trapani, con le sarde.

Etna Rosso DOC Cavanera Rovo delle Coturnie 2018
Nerello mascalese e nerello cappuccio provenienti dalla contrada Zocconerò, contraddistinta da terreni franco-sabbiosi di matrice vulcanica. La vinificazione è tradizionale in rosso con macerazione in fermentini bassi. L’affinamento è di 9 mesi in botti di rovere e di 20 mesi in bottiglia.

Bellissimo rubino di grande vivacità, con ottima consistenza. Al naso note di rosa, ribes rosso, ribes nero, mirtilli e speziature da pepe nero, cannella e chiodi di garofano. La macchia mediterranea regala al calice complessità ed eleganza. Al palato il tannino è aggraziato, con una piacevole astringenza completata da freschezza e morbidezza.

Etna Rosso DOC Signum Aetnae Linea Centenaria Riserva 2014
Per l’ultimo calice più che di una degustazione si è trattato di un’indagine: nel 2007 è stata acquisita l’attuale tenuta di Cavanera Etna, ubicata in contrada Verzella a una altimetria di 650 metri sul livello del mare. All’interno di questa tenuta è stata identificata una parcella di circa 2,5 ettari con viti particolarmente vetuste e a piede franco, riconducibili per la maggior quota a nerello mascalese ma anche ad altre varietà definite “reliquia”. Sono stati infatti rintracciati rarissimi ibridi produttori diretti, oggi mantenuti, preservati e studiati per il loro altissimo valore storico, culturale, agronomico ed enologico. Firriato ha avviato una ricerca scientifica coinvolgendo istituti di ricerca di fama internazionale nel tentativo di comprendere l’origine dei vitigni reliquia: nel 2012 il vigneto è stato sottoposto a un’analisi dendrocronologica (si tratta di un esame del legno interno della pianta) e ampelografica, con l’obiettivo di verificare se si trattasse di un vigneto prefillosserico. La Facoltà di Scienze Forestali dell’Università di Palermo e il CNR hanno analizzato gli anelli legnosi annuali e il Dna delle piante, comparando quest’ultimo ai cloni di nerello mascalese attualmente disponibili nei vivai. La mappatura genetica e il confronto con il nerello contemporaneo hanno dato un esito sorprendente: si tratta infatti di varietà non sovrapponibili agli attuali biotipi. I risultati delle indagini svolte dei campioni prelevati hanno sancito che l’età media del vigneto è di circa 150 anni: le piante a piede franco sono state quindi messe a dimora prima dell’arrivo della fillossera. 

A questo punto la domanda è d’obbligo: quali sono le ragioni per le quali la fillossera non ha distrutto il vigneto? Un ruolo importante è svolto dalla composizione del suolo vulcanico, costituito da sabbia a grana finissima, che non ha probabilmente consentito all’afide di svilupparsi efficacemente. La fillossera ha inoltre il suo limite sopra i 1.000 metri di quota, ma già a partire dai 600 metri inizia a riscontrare problemi, prediligendo vigneti più collinari. La temperatura media inferiore ai 10 °C di alcune zone è inoltre fatale alla fillossera, e anche dopo il risveglio dalla fase di ibernazione crea condizioni difficili per lo sviluppo degli afidi. Firriato, in un vigneto sperimentale, ha deciso di preservare il germoplasma e il Dna di queste piante attraverso la tecnica della propaggine (interramento di un tralcio dal quale si genera una nuova vite) al fine di garantirne la continuità genetica. Sono vitigni di fatto immortali, in quanto dalle viti più antiche si generano nuove piante che conservano il patrimonio genetico originario.

Il vino in degustazione è prodotto da uve nerello mascalese e altre varietà reliquie che ancora non hanno un nome e sono tuttora oggetto di studi e identificazione. La vinificazione è tradizionale in rosso per circa 3.500 bottiglie, e prevede lo svolgimento della malolattica; l’affinamento è di due anni in tonneaux. Un vino rotondo, avvolgente e morbido ma dotato di una freschezza eccezionale e dal tannino perfettamente integrato.

Emozioni nei calici ed emozioni in sala: la serata si è chiusa con la consegna degli attestati di fedeltà all’Associazione ai soci di vecchia data, con iscrizione che risale anche a 40 anni fa. Gioventù sempre: l’anagrafe – a differenza dei millesimi - è un aspetto del tutto irrilevante.