Solaia, il Rinascimento del vino italiano. Verticale di sei annate
«Questo è il numero di dicembre 2000/gennaio 2001 della rivista americana Wine Spectator, contenente la classifica dei migliori vini dell’anno, secondo la redazione. Al vertice c’è Solaia 1997»
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Con queste parole Francesco Albertini, mostrando quello storico numero di inizio millennio, apre l’attesissima serata di AIS Milano dedicata al vino icona di casa Antinori. Quel momento di diciotto anni fa, con la consacrazione del Solaia 1997 come miglior vino al mondo, è stata un’autentica epifania: il riconoscimento da parte di tutto il mondo del Rinascimento del vino italiano.
Stefano Carpaneto, direttore di Tenuta Tignanello, ci racconta la storia dell’azienda, che inevitabilmente va di pari passo con quella del marchese Piero Antinori. Entrato in azienda nel 1966 poco più che ventenne, nel 1971 il Marchese innesca una vera e propria rivoluzione nel mondo del vino di qualità: intuisce che, per fare un grande vino rosso di territorio, è necessario impiegare solo uve rosse, mentre il disciplinare del Chianti Classico in vigore all’epoca richiedeva necessariamente l’impiego anche di vitigni a bacca bianca. Nasce quindi Tignanello: 80% di sangiovese e 20% di uve toscane a bacca rossa (canaiolo, colorino, mammolo, malvasia nera). Nel 1975, a percorso oramai indirizzato, il 20% di uve toscane viene sostituito da cabernet sauvignon (vitigno che il marchese aveva avuto modo di conoscere dal cugino Mario Incisa della Rocchetta della Tenuta San Guido) e poi, a partire dalla metà degli anni ’80, anche con un 5% di cabernet franc. Il contributo offerto dal cabernet sauvignon era finalizzato a smussare le spigolosità del sangiovese mentre la piccola porzione di cabernet franc introdotta successivamente, a conferire ulteriore eleganza al blend.
E il Solaia, oggetto della serata? È il figlio più coccolato, partorito nel 1978 a seguito di una vendemmia molto favorevole, e ottenuto dallo stesso vigneto del Tignanello. Antinori, in accordo con l’enologo Giacomo Tachis, decide quell’anno di far raccogliere e vinificare separatamente il solo cabernet. Ecco che nasce il primo vino a base cabernet mai prodotto in Chianti: 3600 bottiglie spettacolari! Dopo un paio di anni, con l’introduzione del 20% di sangiovese, si crea l’immagine riflessa del Tignanello, un vino speculare con le stesse percentuali di vitigni, ma invertiti. Se poi si considera che il vino era ottenuto dalle uve provenienti principalmente da una collinetta del vigneto sempre assolata, ecco spiegata l’origine del nome. Con Solaia si realizza il sogno di Piero Antinori: realizzare un grande vino che potesse un giorno mettersi sullo stesso piano dei grandi cabernet di Bordeaux e della Napa Valley.
Ed eccoci finalmente alla degustazione, condotta dall’eccellente Francesco Albertini. Una verticale che ci ha permesso di capire come, negli anni, sia cambiata la filosofia e la tecnica produttiva, per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi, dalla ricerca sui diversi legni per l’affinamento e dall’affinamento separato dei vini ottenuti da monovitigno.
2004: annata molto buona, ha nella compattezza e nell’esuberanza la propria anima. Il frutto è ancora molto percepibile, soprattutto il mirtillo e la mora di rovo. Si coglie una nota floreale di rosa e poi si fa largo la componente speziata: cannella, noce moscata, curcuma e cardamomo. All’assaggio molta freschezza, con un fruttato che riemerge con la propria vivacità e un’interessante nota balsamica. Tannino di notevole dolcezza, che richiama il cioccolato.
2005: annata climaticamente complessa, fredda, caratterizzata da un periodo vendemmiale piuttosto piovoso e da un processo di maturazione ai limiti del difficoltoso. Prevalgono le caratteristiche di verticalità, con un tannino decisamente vibrante. All’esame olfattivo sentori agrumati che ricordano il chinotto e l’arancia amara. La componente floreale è delicata con richiami al ciclamino di bosco; a seguire il sottobosco, l’humus di foglie e i legni aromatici che rimandano alla corteccia di cipresso e alla pineta bagnata e, come il precedente, una speziatura ampia. All’assaggio un tannino dolce, ma più presente rispetto a quello dell’annata precedente. A chiudere, sensazioni di menta, canfora e bacca di ginepro, e una componente minerale di ardesia.
2006: annata simile alla 2004 sia per andamento climatico sia per impostazione del vino. Inizia a concretizzarsi l’attenzione assoluta per l’eleganza. Le somiglianze con la 2004 sono soprattutto nel richiamo olfattivo di piccoli frutti neri. Compaiono, però, le erbe aromatiche non presenti prima: alloro e poi salvia e melissa e, a seguire, una profusione di cioccolato dolce e di macchia mediterranea. Il 2006 è un millesimo di ispirazione decisamente più bordolese rispetto ai precedenti. All’esame gusto-olfattivo una sorta sintesi, con un tannino che si colloca, per intensità, tra quello percepito nella 2004 e nella 2005, ed evidenti note balsamiche che virano verso l’eucalipto.
2009: annata lunga, dove si è raccolto con tempi più dilatati. La stagione ha permesso alle varietà di maturare più lentamente e più a fondo. Qui cambia decisamente il profilo: non ci sono più i piccoli frutti neri, bensì le visciole e le ciliegie acidule, che dopo 10 anni dominano ancora. Si avverte anche una sensazione agrumata di arancia sanguinella. Un vino tutto giocato sulla croccantezza. Sul versante fiorale abbiamo violetta, rosa antica e lavanda; poi note di erbe aromatiche, menta piperita e salvia. Le spezie sono molto delicate: un accenno di cannella e, a seguire, note balsamiche di canfora. Bocca succosa, invitante. Il tannino è di una sottigliezza che è raro trovare, ancora più dolce dei precedenti.
2013: annata che si è distinta e avvalorata in cantina, anche a seguito della ricerca sui legni per l’affinamento. Dal 2013 si iniziano a impiegare barrique della famosa tonnellerie Taransaud. Un vino “serio”, meno esuberante, con un fruttato simil-bordolese di mirtillo, ribes nero arancia amara. Legni aromatici di cipresso e sandalo, ed erbe aromatiche quali alloro e timo. Fa capolino anche una nota molto intrigante di rabarbaro, e, infine, un tocco di fiori delicati e lavanda. Complessivamente molto aggraziato, con una certa personalità. In bocca significativamente vigoroso, con note piccanti ben percepibili; tannino dolce, ma vivace.
2015: espressione assoluta di equilibrio e, a detta di molti critici, la migliore annata di Solaia mai prodotta. Al naso, prima delle note fruttate, escono i fiori: rosa antica e iris. Questo è il vino più floreale della batteria. C’è comunque una componente fruttata sia di piccoli frutti neri sia di visciola e arancia sanguinella. A seguire un caleidoscopio di sensazioni speziate e balsamiche composte da menta piperita, canfora, eucalipto, cipresso, pepe rosa, pepe bianco e coriandolo. A chiudere, piccole note ematiche e ricordi minerali. In bocca rivela grande corpo, mineralità e piccantezza. Oggi ancora molto giovane, ma di prospettiva infinita.