Stay hungry, stay foolish: i Piwi in Valtellina
Il discorso pronunciato da Steve Jobs all’Università di Stanford nel lontano 2005 è valido e coerente con la cultura del vino: con AIS Sondrio la serata dedicata ai vitigni Piwi è andata esattamente così.
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Essere curiosi, degustare etichette fuori dagli schemi, aprire la mente a produzioni non omologate sono i requisiti per fare del mondo del vino un punto di partenza ogni volta nuovo. Una visione dinamica nell’approcciare calici e territori, che diventa una prassi operativa nel momento in cui parliamo di viticoltura resistente. Durante la serata abbiamo provato a vedere la Valtellina da un punto di vista diverso, a cominciare dal colore: sei vini bianchi su sette proposti in degustazione. Dal punto di vista cromatico quindi una novità per il territorio, che vede nel nebbiolo delle Alpi il suo vitigno principe. Una serata per conoscere meglio le varietà resistenti e cinque cantine che hanno fatto dei vitigni Piwi un credo e, al tempo stesso, una sfida culturale. Un incontro-confronto che ha registrato una presenza importante da parte dei soci, proposto con un format degustativo abbinato ad una cena presso il Ristorante La Brace in località Forcola.
La viticoltura resistente in Lombardia, fortunatamente più nota rispetto al passato, è ancora considerata una di nicchia: i produttori Maurizio Herman, Marco Da Prada di Cajro Wines, Paolo e Beatrice Oberti della cantina La Grazia, Maria Luisa Marchetti e Marcel Zanolari sono stati protagonisti di una serata dedicata ad un volto diverso della viticoltura in valle. Sicuramente più luminosa, anche per via dei calici: le sfumature cromatiche dei vini da vitigni resistenti sono brillanti, magnetiche, seduttive e ammalianti. Sara sin dalle prime battute ha fornito le “istruzioni per l’uso”: degustare i vini da vitigni piwi richiede il temporaneo abbandono dei tradizionali canoni di degustazione e, soprattutto, la necessità di interpretare i vitigni come varietà a sé, non riconducibili ai genitori da cui sono nati. Benché nel nome alcune varietà possano ricordare i loro genitori, in realtà si tratta di specie totalmente differenti sia nel DNA sia dal punto di vista degustativo. Si tratta di ibridi che incarnano, metafora della contemporaneità, tutto ciò che si mescola, si unisce, si intreccia, profondamente lontano da quelli che sono i dogmi legati ad una viticoltura tradizionale.
La mis-informazione
Se è vero che esistono vitigni resistenti, è anche vero che sussistono resistenze ideologiche, che hanno generato una mis-informazione profondamente penalizzante nei loro confronti. Le ricerche scientifiche da un lato e dall'altro un movimento culturale importante hanno relegato in parte questi atteggiamenti al passato, consentendo ai piwi di sedersi al tavolo delle varietà iscritte al Registro Nazionale della Vite (per almeno trentasei varietà). La loro equiparazione ad OGM è stata “cavalcata” dai detrattori. Sappiamo invece che i vitigni resistenti si basano su una impollinazione deliberata e voluta, che potrebbe avvenire comunque direttamente in natura indipendentemente dall'azione dell'uomo. Per molto tempo si è sostenuto che i vitigni resistenti producano una quantità eccessiva di alcol metilico in fermentazione, dannoso per la salute: questo ha rischiato di allontanare i consumatori, anche sull'onda dell’impatto emotivo e sulle preoccupazioni generate dagli scandali del vino al metanolo degli anni Ottanta. In realtà il quantitativo di metanolo sembra sia legato al maggior contenuto di pectina presente nelle viti americane rispetto alla Vitis vinifera. Oggi sappiamo che i vini prodotti da vitigni piwi sviluppano metanolo ben al di sotto dei limiti di Legge: i controlli effettuati ad esempio dai ricercatori della Fondazione Edmund Mach e dai Vivai Rauscedo, nonché da centri di ricerca come l'Università di Friburgo, confermano che, su un campione ben popolato di vitigni resistenti, i valori di metanolo sono al di sotto dei limiti di Legge. La malvidina diglucoside di cui tanto si parla in tema piwi non è una sostanza tossica, ma un antociano, in alcun modo nocivo per la salute: si tratta di un pigmento tipico delle viti americane, per il quale la legislazione impone limiti non necessari (<15mg/l), figli di quella cultura “contro” le varietà resistenti. E infine gli aspetti degustativi: i vini da varietà resistenti hanno subito per molto tempo l’infamia di “sapere di foxy”: selvatici, rustici, poco fini, con ricordi di pelliccia animale. Questa sera solaris, johanniter, muscaris, souvignier gris e i tanti ibridi che rientrano nei blend degustati, hanno invece, con orgoglio e fierezza, dimostrato di avere ben più di qualcosa da dire, a testimonianza di una viticoltura che ha raggiunto sfumature espressive di alto livello. Innegabile la loro capacità di interpretare il terroir, che li porta ad essere da vitigni omologati a espressioni pressoché native di quote, esposizioni, escursioni termiche e ventilazione. Vini che sanno di montagna, nella straordinaria bellezza dei loro colori. Sara ha evidenziato i punti di forza di questa viticoltura, non dimenticando l'approccio sostenibile, rispettoso dell'ambiente e della comunità, nonché la loro capacità di adattamento ad ambienti diversi e talvolta estremi, ma anche al minor consumo d'acqua, al non compattamento del suolo, e alla capacità di mostrare resilienza anche quando si trovano in regime particolarmente siccitoso. Interessante l'ultimo vino e unico rosso della serata, il Vagabondo Rosso Bio Le Anfore di Marcel Zonolari, sul quale è stata effettuata anche una verifica dell’impatto del tempo e sugli aspetti evolutivi, tenuto conto del millesimo 2010.
Sul finale la serata si è trasformata così in un vero e proprio wine lab con i contributi dei partecipanti, stimolati ad intervenire e a condividere riflessioni dalla Delegata Elia Bolandrini. Il tempo si è rivelato un alleato importante per questo vino, consentendo la corretta evoluzione del profilo aromatico e dei contenuti polifenolici. Importante in sala anche la presenza di Luca Gonzato, coautore del libro “Piwi. La viticoltura Resistente”, di recentissima pubblicazione: un manuale scientifico dedicato alle varietà resistenti grazie ad anni di ricerche, studi e degustazioni effettuate in collaborazione con enti di ricerca e sperimentazione scientifica anche in ambito internazionale. Interessante il cosiddetto wine-pairing, per testare questi vini nell’abbinamento con i piatti della tradizione gastronomica: bresaola e sciatt, taròz e salame, lardo e castagne e, per finire, pizzoccheri, con i quali i vini hanno dimostrato ampia versatilità, vincenti in freschezza, sapidità, intensità aromatica e benessere.
La degustazione
Magy Metodo Classico Hermau 2020: ci troviamo in Valchiavenna, in località Pianazòla, quartier generale di Maurizio Herman, cantina biologica certificata con vigneti a picco sulla vallata. Paesaggi mozzafiato per una viticoltura che sa di fatica e coraggio. Maurizio Herman presenta Magy, il primo dei suoi due vini selezionati per la serata: si tratta di un Metodo Classico con sosta sui lieviti di 20 mesi. 100% souvignier gris senza addizione di solfiti aggiunti su tutta la filiera lavorativa. Un vino che si presenta in tutta la sua autenticità: note fresche di erbe aromatiche e sapide di roccia, con rimandi alla pera e al pan brioche, alla crema pasticcera al limone, alla pasta frolla, Chiusura dissetante con ricordi agrumati di bergamotto. Il perlage è fine e persistente, con una finale di buona intensità, sapido e molto preciso, con un effetto nettante sui piatti in degustazione.
Cajro Wines Quel Biénc cantina Elia da Prada Anteprima 2023: uve solaris in purezza provenienti da un vigneto in alta Valle – a Grosotto – a circa 750 metri s.l.m con esposizione sud-est. La fermentazione prevede una notte di chiarifica statica in acciaio e successivamente la fermentazione in barrique con uso di lieviti selezionati. La vinificazione viene condotta totalmente in barrique, con travaso a fine fermentazione e ritorno nello stesso recipiente. L’affinamento prosegue in legno e successivamente in bottiglia, ma nel vino proposto è ancora in corso: si tratta infatti di una anteprima. Al naso sentori floreali intensi di biancospino e magnolia eleganti, seguiti da confetto e zucchero filato, smalto e ricordi quasi eterei di vernice. In bocca è fresco, con una buona opulenza e una componente tannica e talcata, figlia del percorso che il vino sta affrontando. Un vino che è una promessa a tutti gli effetti, ma che ha già tanto da raccontare.
Alpi Retiche IGT Quota Ottocento Maria Luisa Marchetti 2022: ci troviamo a Teglio, nella cantina condotta da Maria Luisa Marchetti e Aldo Busi: uve solaris allevate a circa 800 metri di altitudine, altimetria che dà il nome al vino. Il vigneto si trova su una terrazza naturale che si affaccia sulle Orobie in perfette condizioni di esposizione e ventilazione. Vinificazione esclusivamente in acciaio, con pieno rispetto del varietale: si presenta con note floreali di fresia e di frutta croccante, tra pesca bianca, mela golden e pompelmo giallo. Ottima piacevolezza di beva, con una progressione gustativa sempre giocata sulla freschezza. Versatile ed energetico, ha una perfetta corrispondenza naso-bocca.
Alpi Retiche IGT ZeroVero La Grazia 2020: si tratta di un blend di più varietà di uve bianche: solaris, bronner, johanniter, souvigner e muscaris. Il nome del vino, ZeroVero, esprime la filosofia produttiva: “nessun trattamento alle viti e all’uva, niente agro e fitofarmaci, no rame, no zolfo” quindi nessun accumulo di inquinanti nel terreno, che è gestito con inerbimento totale con sfalcio, sovescio e pacciamatura. Sotto ogni aspetto un “organic wine”. Un vino elegante e fine, con una eccellente attrattiva: floreale, fresco, con sentori di agrumi e di zenzero fresco, sorprende per vitalità, pulizia e corpo. Ha una gioventù sorprendente, tenuto conto del millesimo: un vino fine di montagna, realizzato con un blend che ne valorizza la piacevolezza gustativa e la straordinaria capacità di abbinamento a tavola.
Alpi Retiche IGT Vagabondo Bianco Biodinamico Le Anfore 2020 Marcel Zanolari: ci troviamo a Bianzone in conduzione biodinamica certificata Demeter. Marcel Zanolari, tra i precursori a credere nell’importanza di preservare l’ambiente limitando al massimo gli interventi in vigna e in cantina, ha da sempre avuto una visione olistica e di forte connessione con l’ambiente alpino. Il vino, raccontato da Ettore Folini, è un macerato da varietà resistenti di riesling (oltre quindici diversi cloni) e di muscaris, che sostano sulle bucce per oltre tre mesi in anfora. Un colore tra l’ambra e il rame, una potenza di sorso catalizzante e magnetica: albicocca disidratata e canditi, con note preziose speziate di pepe, vaniglia e cardamomo, e sbuffi di miele di tiglio. Secco e avvolgente al palato, infinito nell’assaggio.
Alpi Retiche IGT Orange Hermau 2021: un macerato in anfora da uve gewürtztraminer e souvignier gris, è il vino che ha, sin dall’avvio della sua attività, meglio rappresentato le scelte stilistiche di Maurizio Herman: un vino non convenzionale, non filtrato, coerente con la ricerca di autenticità. Al naso è un tè alla pesca, con note di frutta sciroppata e litchi, zenzero candito, cannella, cumino, pepe bianco. Pieno, generoso, succoso e saporito. Un caleidoscopio di sensazioni, mutevole e indomito, con una interessante prospettiva evolutiva.
Alpi Retiche IGT Vagabondo Rosso Bio Le Anfore 2010 Marcel Zanolari: l’unico rosso della serata, che sembra essere dotato di un naturale anti-aging: quattordici anni dalla vendemmia e non sentirli né dimostrali. Si tratta di uve provenienti da diversi cloni di pinot nero, cabernet e merlot, sottoposte ad un leggero appassimento in vigna. La vinificazione avviene in vasca d’acciaio con macerazione a freddo per circa 7 giorni e fermentazione di 30 giorni. Al termine della malolattica la maturazione è parzialmente in anfora di argilla-cemento e in barriques di 2° e 3° passaggio. Solo con lieviti naturali per un vino non filtrato. Naso eloquente, accogliente, disponibile, con evidenze di frutta sotto spirito, mora, mirtillo e prugna, seguite da ricordi di incenso, brace, foglie secche, sottobosco e spezie come il ginepro, la cannella, il cumino. Chiusura con note tostate di frutta secca, sandalo, rabarbaro, caffè e cacao. Non mancano sensazioni terziarizzate da pellame e profumi di roccia al sole. Un vino che ha un potenziale ancora sorprendente in ottica evolutiva grazie ad un’acidità integra.
Una serata potente e sorprendente, con una chiusura ancora con Steve Jobs: think different, oggi più che mai.