Straordinariamente Sudamerica
Non di solo Europa vive l’appassionato di vino. È questo il messaggio che Guido Invernizzi ha voluto trasmettere agli oltre 90 appassionati presenti durante la serata organizzata da AIS Brescia.
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Non sarà il solito racconto, fatto di intro, presentazione delle aziende o dei territori, e chiusura finale con il dettaglio delle degustazioni. Se dovessimo davvero soffermarci su storia, climi, geologia, vitigni, tecniche di produzione di ogni territorio del Sudamerica, questo non sarebbe un racconto, bensì un intero libro.
Per questo motivo, il racconto di ogni terroir passerà attraverso il calice che lo rappresenta, per dare modo al lettore di trovarsi in quei territori viaggiando con la mente su strade fatte di colori, profumi e sapori.
Cuvée Valle de Uco – Bodega Cruzat – Argentina
C’è stato un momento nella storia dell’Argentina che ha segnato davvero la diffusione del vino nel paese: quel momento è il 1885, l’anno in cui si costruì una ferrovia lunga 1.100 km, in grado di collegare Mendoza, zona in cui troviamo oggi circa il 70% delle vigne del paese, a Buenos Aires.
Ed è proprio a Mendoza che sorge Bodega Cruzat, azienda che ha deciso di fare del vino “espumoso” (così ci si riferisce al Metodo Classico in Argentina) il suo core business. Qui le uve sono sanissime e non c’è ombra di marciume, in quanto beneficiano dell’effetto della Zonda, corrente di aria fredda che sale sul versante occidentale delle Ande per poi scendere tiepida sul versante orientale, dove appunto si trova Mendoza.
Il blend è composto da 75% pinot nero e 25% chardonnay, eppure al naso troviamo già la prima sorpresa. Le proporzioni sembrano essere invertite, i sentori sono “chardoneggianti” con ricordi leggeri di burro e più marcati di biscotto secco accompagnati da pesca ed albicocca. È in bocca che si rivela il pinot nero, che regala grande struttura e freschezza, con lo chardonnay che aiuta la lunghezza nella chiusura leggermente amaricante del sorso.
Sauvignon Blanc Vina Kristel 2017 – Bodega Monte Xanic – Messico
A dispetto di quello che è l’immaginario collettivo, il Messico è uno stato prevalentemente montuoso. Il prolungamento delle Rocky Mountains degli Stati Uniti invade il territorio messicano unendosi a un insieme di vulcani attivi e inattivi e influenzando il clima al punto da avere cambi repentini di temperature e umidità nel giro di poche centinaia di metri.
Certo il vino non è la bevanda più diffusa in Messico, ma dove c’è varietà climatica c’è, con ogni probabilità, un’area vocata per la viticoltura. Quest’area è la Baja California, prolungamento naturale della ben più celebre California statunitense e culla della Valle de Guadalupe (zona straordinariamente simile alla Napa Valley) in cui sorge Bodega Monte Xanic, azienda produttrice del secondo vino in degustazione.
Trattasi di un sauvignon blanc vinificato completamente in acciaio dal colore paglierino brillante che, però, non lascia immaginare i 5 anni che questo vino si porta sulle spalle. Naso lontano dalla tipicità dei Sauvignon Blanc europei o neozelandesi, fatta eccezione per una nota verde di peperone crudo, che vira su note minerali, quasi sulfuree. In bocca porta buona freschezza ed eccellente sapidità. Il filo conduttore con la parte olfattiva è certamente il frutto maturo che riempie la bocca per tutta la durata del sorso.
Albarino Reserva 2021 – Bodega Garzon – Uruguay
La storia della viticoltura in Uruguay non racconta di tradizioni millenarie, ma un secolo e mezzo basta e avanza per imparare a fare ottimi vini. A dispetto del vino bianco in degustazione, la vite in Uruguay arriva nel 1870 con Pascal Harriague, viticoltore originario della Francia sud-occidentale, emigrato in Sudamerica insieme ad alcune piante di tannat, vitigno a bacca rossa originario dei Pirenei. Da allora il tannat è cresciuto al punto di diventare il primo vitigno per superficie coltivata nella nazione, ottenendo risultati straordinari.
C’è però un astro nascente nella viticoltura uruguagia, ovvero l’albariño, che grazie alle cure di Bodega Garzon, prima cantina del Paese, si offre in una bella veste paglierina con qualche riflesso dorato. Lo spettro olfattivo è fatto di note salmastre che si incastrano tra l’erbaceo della felce e dell’erba appena tagliata e il fruttato della pesca a polpa bianca. Al palato si rivela citrino e quasi gessoso per tutta la durata del sorso che riesce ad essere sorprendente sia per l’impatto che per la persistenza.
Torrontès San Pedro de Yacochuya 2020 – Bodega Rolland – Argentina
Della storia della viticoltura in Argentina in breve si è già detto in precedenza. Quello di cui non si è parlato, però, è una chicca enologica proveniente dalla zona di Salta, in altissima montagna: il Torrontès.
Un vino affascinante già dal primo sguardo, grazie al suo paglierino carico e splendente. E non è da meno al naso: si racconta infatti in note che sembrano raccogliere nello stesso calice un gewurztraminer, un sauvignon blanc e un moscato giallo. Fiori bianchi, salvia, rosmarino, zenzero, pesca, un poco di cannella… impatto e complessità straordinari. In bocca una leggera pungenza riporta allo zenzero che già al naso aveva la pretesa di dirigere il film, ma la trama è ricca di tanti dettagli. Bella la nota alcolica decisa, ma mai dominante, buona la freschezza e ottima la sapidità che trascina il sorso verso una notevolissima persistenza.
Criolla Extremo 2020 – Bodega Vallisto – Argentina
Senza uscire dalla zona di Salta, rimanendo dunque in alta montagna, ci addentriamo in quella che è la tradizione argentina vera e propria. La criolla, infatti, è ben lontana dal malbec e dai vitigni internazionali che dominano oggi i vigneti argentini, e porta nel calice la sua identità insieme a quella dei tre soci che hanno deciso di investire ingenti capitali pur di salvaguardarla.
Sono solo due gli anni di questo vino, ma la tonalità nel calice vira già verso il granato. Eppure i sentori al naso sono da vino giovane, fatto di fragolina di bosco e una curiosa nota di oliva. In bocca conserva la fragolina, ma tradisce una leggera ossidazione che lascia pensare ad una maturità ormai raggiunta.
Reserva Patagonia 2020 Pinot Noir – Bodega Fin Del Mundo – Argentina
La lancetta della bussola che compare sull’etichetta lascia intendere la direzione in cui ci stiamo spostando. Si va verso sud, più precisamente verso la Patagonia, dirigendosi sempre più verso l’estremità meridionale del mondo. Forti venti ed escursioni termiche notevoli caratterizzano il clima di quest’area, che dà vita a vini di grande eleganza e longevità.
È proprio di queste caratteristiche che può fregiarsi il pinot noir di Bodega Fin Del Mundo, che alla vista si presenta di uno splendido rubino luminoso. Curiosa la nota affumicata che traghetta il degustatore tra una nota di piccoli frutti rossi e qualche tocco floreale. In bocca si scopre anche una scia speziata, non così evidente al naso, insieme ad una buonissima freschezza che invita al sorso successivo e ad un tannino finissimo.
Malbec Reserva 2019 – Sophenia Estate Uco Valley – Argentina
In fuga dalle fredde terre meridionali, ritorniamo nella zona di Mendoza alla ricerca di un buon esempio di vino ottenuto dal vitigno simbolo della viticoltura argentina: il malbec.
Portato in Argentina nel 1868 da un agronomo francese, il malbec è oggi il vitigno simbolo di Mendoza nel mondo e il motivo non è certo di natura commerciale o pubblicitaria. È la straordinaria qualità nel calice la ragione per cui oggi lo si apprezza in ogni angolo del globo e non fa eccezione l’ottimo 2019 di Sophenia Estate.
Alla vista un’incredibile rosso rubino impenetrabile, con riflessi purpurei, carico di colore e denso quasi da sporcare il bicchiere. Il naso è caratterizzato da una fine nota erbacea, ciliegia matura, foglia di tabacco e di tè insieme a un tocco di pepe nero. In bocca il tannino è potente, ma non astringente perché supportato da una bella acidità. Da provare in abbinamento con l’asado.
Erasmo 2013 Maule Valley – Bodega Vina la Reserva de Caliboro – Cile
È merito del conte Francesco Marone Cinzano se oggi possiamo godere dei meravigliosi vini dell’antica cantina Reserva de Caliboro. Nel 2005 è infatti cominciata l’attività di recupero della tenuta in cui si produce questo vino intitolato a Don Erasmo, anziano contadino abitante del luogo e rappresentante della tradizione locale. Le viti, portate appositamente dalla Francia per adattarsi al terroir cileno, hanno restituito esattamente quello che si pensava potessero dare, ovvero un prodotto potente, versatile e longevo.
Alla vista non tradisce i quasi 10 anni che si porta sulle spalle. La materia colorante non è abbondante come nel malbec, il ché aiuta ad illuminare un bel colore rosso rubino con solo qualche riflesso granato. Il bouquet è ai limiti dell’ampio, con netti sentori speziati di chiodo di garofano e vaniglia, frutta a polpa scura, viola, sentori balsamici e sottobosco. Al palato è corposo e succoso, con un’acidità ancora presente che sciacqua il cavo orale da un tannino che prova a fare la parte del leone, ma per fortuna non ci riesce!
Poche sono le righe e ancora meno i vini per cercare di descrivere un intero continente dallo sconfinato potenziale. Una certezza, però, ce la portiamo via da questa serata: di Sudamerica ne sentiremo parlare.