Tenuta Mazzolino, un angolo di Borgogna in Oltrepò Pavese
Il sommelier Simone Bevilacqua e l’enologo Stefano Malchiodi ci raccontano la viticoltura dell’Oltrepò Pavese attraverso i vini e la storia di un grande protagonista di questo territorio: Tenuta Mazzolino.
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L’Oltrepò Pavese è un’antica dimora della vite, un luogo dalla storia nobile e ricca in cui questa pianta, da sempre, fa parte del paesaggio: delicate colline di vigneti coltivati a pinot nero, barbera, bonarda, moscato, riesling e croatina si susseguono dolci, donando a questa parte di mondo, con gli Appennini alle spalle e rivolta verso nord, il suo inconfondibile fascino.
Questo territorio a forma di grappolo d’uva si trova sulla latitudine dei grandi vini, l’asse del 45° parallelo che accomuna le migliori zone vinicole mondiali, in una terra di confine che per secoli è stata “rimbalzata” tra Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia-Romagna. Nella sua storia lunghissima le citazioni famose non mancano: già nel 40 a.C. secondo Strabone l’Oltrepò Pavese era terra di «vino buono, popolo ospitale e botti in legno molto grandi». Nei secoli successivi, Opicino de Castris racconta che i suoi abitanti «hanno male di troppo bene, satolli come sono di pane e vino», mentre Andrea Bacci descrive i vini di questa terra con il termine “eccellentissimi”.
Un terroir ricco e fertile, in cui la fascia centrale ospita la maggior parte delle vigne: 13.500 ettari di vigneto che poggiano le radici su un territorio prevalentemente collinare (42% collina, 30% montagna, 28% pianura) e che le affondano in suoli eterogenei (marne, gesso, sabbia, calcare, vena del gesso). Nel 1884 l’Oltrepò Pavese vantava ben 225 vitigni autoctoni, ma oggi sono solo una dozzina quelli maggiormente diffusi, a cui si affiancano chardonnay e pinot nero, due vitigni originari della Borgogna che hanno fatto di questa terra una zona di grande elevazione.
Lo chardonnay è un vitigno con un’incredibile varietà di componenti aromatiche che emerge in modi diversi a seconda dei terreni e dei climi dove viene coltivato, rendendo la degustazione dei suoi vini un’esperienza sempre nuova. La germogliatura precoce lo mette a rischio di gelate primaverili, mentre la buccia sottile degli acini può favorire marciume se non coltivato in condizioni pedoclimatiche perfette. Il pinot nero ha trovato nell’Oltrepò Pavese la sua terza zona di elezione al mondo dopo la Borgogna e la Champagne: considerato uno dei più nobili tra i vitigni a bacca rossa a livello mondiale e uno dei più sensibili al terroir, è difficile sia in fase di coltivazione sia di vinificazione e rappresenta una sfida importante per qualunque enologo, dal momento che i risultati variano di annata in annata persino nelle zone più vocate. Il suo arrivo in Oltrepò è dovuto al lavoro del ministro Agostino Depretis che, per primo, intuì la sua potenzialità in alta collina e diede il via alla sua introduzione nel territorio.
Tenuta Mazzolino
Due galli in ferro battuto di fronte alla casa padronale e le vigne disordinate a girapoggio e rittochino sulle colline intorno sono quanto è stato considerato il cuore della Tenuta da Giacomo Bersanetti, designer di alcune delle etichette più iconiche del vino italiano, che negli anni ‘80 ha creato il logo dell’azienda. «Non ho mai visto vigneti così disordinati» - disse a quel tempo alla famiglia -, sottolineando che non era certo comune vedere viti disposte nel senso della massima pendenza e seguendo le curve di livello del terreno, mantenendo sempre la stessa quota nella medesima collina. Ecco, questo momento è stato rappresentato nel logo di Tenuta Mazzolino: i pixel rossi dei galli mostrano le due tipologie di vigneto, mentre le zampe poggiano sulla collina da cui ha avuto origine l’azienda.
Nata come azienda agricola, si specializza in viticoltura a fine Ottocento grazie al Marchese Alfonso Corti, celebre scienziato e anatomista del nostro Risorgimento che, dopo essersi trasferito nella Villa Mazzolino a Corvino San Quirico, si dedica alla coltivazione della vite con lo stesso impegno con cui si cimentava negli studi accademici. Ma è con gli anni ‘70 del Novecento che la villa e i terreni circostanti vengono acquisiti dalla famiglia che oggi la gestisce e l’ha fatta crescere: nel 1978 Enrico Braggiotti, personalità di spicco del mondo della finanza in Italia, acquisisce la Tenuta, facendone un “punto d’incontro, tappa” (dal latino mansiolinum) per i diversi rami della famiglia divisi tra Francia, Inghilterra e Italia. Oggi, saldamente al timone, c’è la terza generazione, Francesca Seralvo.
«In questi anni - racconta con passione palpabile, Stefano Malchiodi - abbiamo dato il massimo per crescere e far conoscere la grandiosità della nostra terra e dei vini dell’Oltrepò. Ma fare vino bene è facile, perché bastano 3 elementi: territorio, vitigni e persone».
I 20 ettari della tenuta sono stati divisi in 36 parcelle per creare dei piccoli appezzamenti di terreno con caratteri uniformi, divisi in base a esposizione, suolo e varietà di vitigni coltivati: da un lato c’è la marna tortoniana condivisa con il Piemonte di origine sedimentaria, ricca di calcare e gesso, sormontata da uno strato di argilla trasportata qui dall’Appennino dall’erosione (spessa fino a 1 metro) e dall’altro c’è l’argilla, che in alcune aree è stata portata via dalla pioggia e dal vento, creando diverse aree con differenti spessori. Grazie a pratiche tradizionali come il sovescio, il terreno risente in minor misura dell’erosione invernale e assorbe maggiormente l’acqua in eccesso, garantendo uve di ottima qualità. Il regime biologico, i trattamenti solo con zolfo e rame (in quantità minore rispetto ai produttori certificati biodinamici), la confusione sessuale per combattere la cicalina e i continui monitoraggi hanno permesso di ridurre notevolmente i trattamenti obbligatori della vite (per esempio quest’anno sono stati esentati dall’effettuare il trattamento obbligatorio per contenere la popolazione di scafoideo, non essendoci alcuna traccia di questo parassita tra le piante).
Al lavoro in vigna - che occupa circa 600 ore annue per ettaro - si affianca quello in cantina. A fine anni ’80 del Novecento, la Provincia Pavese scriveva in un articolo «la Borgogna è anche a Corvino», e direttamente dalla Bourgogne giunge Kyriakos Kynigopoulos, enologo di fama internazionale e grande esperto di pinot nero e chardonnay, per coniugare il suo talento con una terra dalle chiare potenzialità. Sotto la sua direzione nascono due vini diventati iconici per Tenuta Mazzolino: il pinot nero “Noir” e lo chardonnay “Blanc”. Parallelamente, presenta alla famiglia Dominique Leboeuf, suo amico e compagno di studi, nonché l’enologo del momento in Champagne, e sotto la sua supervisione nasce il Cruasè 2018.
Mentre vengono serviti i primi vini, Stefano racconta come a ogni vitigno venga destinata una specifica vinificazione capace di esaltarne i pregi e bilanciarne i limiti, e i pochi e semplici passaggi: pressatura soffice e utilizzo di solo mosto fiore, fermentazioni alcoliche lente e prolungate a temperatura controllata, macerazioni pre-fermentative per estrarre colore e aromi, lunga sosta sulle fecce fini in barrique con frequenti batônnages, minimi interventi di chiarifica e filtrazione prima dell’imbottigliamento. Interessante la scelta di Dominique Leboeuf e della famiglia di dosare gli spumanti alla cieca: «per la sboccatura assaggiamo alla cieca i vini con tutte le diverse quantità di zucchero e il migliore entra in etichetta».
La degustazione
Un Metodo Classico extra brut (4,5 g/L per dosaggio) realizzato con uve giunte a perfetta maturazione, fresche e con una buona acidità, vinificato in acciaio e sboccato a novembre 2022. Le numerose bollicine salgono fitte e numerose a solleticare il naso con profumi di magnolia, zagara, nocciola e buccia di agrumi. In bocca esplodono con eleganza gli agrumi. Ottima acidità fruttato-agrumata e buona persistenza con ritorni di agrumi canditi.
Un vino che rappresenta a pieno il concetto di “ten minutes bottle”, un vino che si beve in 10 minuti. Al naso è estremamente invitante, dolce, quasi aromatico e vanigliato; le note di rosa, banana, frutta tropicale invitano all’assaggio. In bocca però è completamente diverso: la sua ruffianeria lascia il posto al sale, alla freschezza, alla croccantezza tropicale di litchi e frutto della passione e a un piacevole ammandorlato finale.
Secondo Kyriakos Kynigopoulos, Blanc rappresenta la tradizione, il vino che in Oltrepò si fa da una vita: 3 vigne di circa 60 anni, distanti pochi metri l’una dall’altra e popolate da cloni tradizionali si uniscono e si portano in cantina le uve che procedono, quasi in autonomia, alla trasformazione in vino. La pressatura è completa, per estrarre tutto il possibile, mentre la fermentazione non controllata dall’uomo avviene in pièce borgognotte dopo una notte di riposo e un veloce illimpidimento. In questo modo tutti gli aromi fragili vengono dispersi e quelli più forti e resistenti rimangono e, allo stesso tempo, gli aromi del legno riescono a passare attraverso i lieviti. Al naso è evoluto, si sentono note di nocciola, fiammifero, pietra focaia, polvere da sparo, roccia, suolo, una leggera nota di cocco e vaniglia. In bocca è evidente la nota fumé e quella sulfurea; è persistente e lascia sulle labbra la sensazione di sapidità in un tutt’uno con un’acidità quasi dolce che preannuncia anche una buona longevità (l’annata 1995 è ancora oggi in gran forma).
La 2018 è stata la prima annata realizzata sotto la guida esperta di Dominique Leboeuf, un’annata che ha permesso di consolidare l’identità della Tenuta anche nell’area delle bollicine: «nel 2015 - racconta Stefano Malchiodi - abbiamo realizzato un primo tentativo senza la mano esperta di Dominique che era appena arrivato; nel 2016 non lo abbiamo messo in commercio perché il colore era troppo carico; nel 2017 ci ha voltato le spalle il clima e non siamo usciti mentre, finalmente, il 2018 è stato il nostro anno». La freschezza di un fazzoletto di terra chiamato Bosco ha consegnato uva perfettamente matura, fresca e molto equilibrata che, per un terzo, è stata macerata fino a raggiungere un colore più forte del desiderato e che successivamente è stato diluito con i due terzi vinificati in bianco. Sboccato a luglio 2022, ha un naso tipico degli spumanti rosati di questo territorio - piccoli frutti rossi, note balsamiche, di rosa canina e una parte iodata -, mentre in bocca la bollicina è cremosa ed esalta i frutti di bosco e la melagrana.
5 vigne in alto sulla collina, 5 posizioni diverse, differenti esposizioni, terreni, suoli. Un vino che racchiude tutto quello che si può bere in Oltrepò Pavese: il concetto di village francese espresso all’italiana. L’etichetta rappresenta con una linea blu la terrazza più alta della tenuta, da cui si raccoglie il pinot nero per creare questo vino. Figlio di una vigna “difficile” e, come tutte le cose che richiedono più tempo e fatica, con un carattere unico e deciso, in sintonia con quello che da sempre è il vocabolario enoico della tenuta. Facile da bere, ha una splendida nota mentolata, sentori balsamici, di sottobosco, di terra e foglie secche, e un buon profumo di arancia rossa. Il finale è persistente con un ritorno di buccia d’arancia e sentori di frutti rossi. Il tannino è equilibrato e vellutato.
Dal cuore delle vigne più vocate, nasce un vino emblematico che esprime tutta l'anima e il frutto del pinot nero. Dopo la diraspatura l’uva viene gettata dal piano superiore della cantina direttamente in vasca (circa 6 metri di dislivello) raffreddata per non far partire la fermentazione. Segue la macerazione “gentile” che dura circa 8/9 giorni per estrarre le parti nobili e solo dopo si procede con la fermentazione che viene bloccata prima della completa trasformazione di tutti gli zuccheri. Dopo diversi rimontaggi per far passare l’aria nel vino, viene messo in legno per 12 mesi (20% botti nuove). Al naso è complesso, affascinante: emergono sentori di piccoli frutti rossi maturi, il lampone e la fragola. Si sentono i fiori accompagnati da sottili sfumature speziate che invitano all’assaggio. In bocca è snello, piacevole e rinfrescante, con delicati tannini capaci di regalare un finale armonico con ritorni di frutti rossi e spezie.