Terra e libertà al confine dei Pirenei

Può il vino diventare una storia di lotta e amore, di terra e libertà? Ce lo racconta con passione lucente Altai Garin, con passo quasi da pellegrino in un viaggio da Banyuls a Irouléguy, lungo i margini del confine francese marcato dai Pirenei.

Valeria Mulas

Ci sono molti modi per affrontare una degustazione, molti modi per cominciare un racconto sul vino, ma se si vuole conoscere un territorio ai margini della fama enologica, il consiglio è quello di prendere uno zaino, riempirlo di curiosità, di ascolto e, senza aspettative o pregiudizi, mettersi in cammino. Il passo è la misura più adatta anche per seguire la nostra guida Altai Garin; valdostano, sommelier AIS, ha conseguito il Master in gestione e comunicazione del vino presso ALMA, proprio con una tesi sui vignerons des Pyrénées. Gli occhi brillanti e il sorriso franco, Altai ha cercato per la sua tesi un legame che unisse questo territorio di più di 500 chilometri, alla frontiera con la Spagna. A nulla sono valse le indagini in ambito enologico, perché qui le denominazioni, i vitigni e persino le tipologie di vini sono moltissime, in un quadro normativo confusionario, per certi versi, che include la zona in una vasta regione, quella della Francia Sud-Ovest. Un areale mantello a copertura di tutte quelle parti escluse da Bordeaux e dalla sua fama.

Altai GarinAllora, cosa unisce queste terre che da Banyuls arrivano a Iroulèguy attraversando tutti i Pirenei? Garin ci rivela che è riuscito a scovare il fil rouge nel senso di appartenenza di questi territori. Un’affiliazione però al contrario e che ha, nell’esclusione e nell’essere frontiera, la sua vera forza e profondità: qui nessuno si sente francese! «Voilà les peuples des Pyrénées», per dirla con le parole di André Gil del Domaine de la Pedrix che specifica «in Roussilon tutti si dicono Catalani, ad Ariège Occitani, a Iroulégy sono tutti Baschi».
Ecco allora perché possiamo parlare di vini dei Pirenei: siamo al cospetto di una regione ben delineata dalla sua catena montuosa e dal suo essere confine, pur se mescolata in una debole e troppo vasta denominazione Sud-Ovest, e soprattutto ci troviamo davanti a una comunità con similitudini antropologiche e con sfumature indipendentiste. Un insieme di culture che affondano le radici in terreni diversi, che via via andremo a conoscere, ma con un comun denominatore che è proprio questo senso di non inclusione al sentimento nazionalista francese.

Non ci resta che partire per ripercorrere le tappe di Altai alla scoperta del territorio pirenaico e dei suoi vini.

Banyuls

Affacciata sul Mediterraneo, Banyuls è l’ultima enclave di Francia, a sud, prima di entrare in Spagna. Zona molto calda e siccitosa, è formata da terreni sassosi, con pavimentazioni frammentate e scistose di colore piuttosto scuro in grado di attrarre il calore, senza rifletterlo verso l’uva. Il risultato è una produzione di qualità, ancora equilibrata in termini di alcolicità, che regala vini territoriali nella versione secca e fortificati-dolci in quella storica e più nota di Banyuls. Qui l’alberello è il prescelto per la coltivazione del grenache, vitigno principe della zona, e dell’autoctono carignan. 
La fortificazione del mosto arriva in questa zona nel XIII secolo grazie allo spagnolo alchimista Arnaud de Villeneuve, che escogita il metodo per stabilizzare l’alto residuo zuccherino dei vini di Banyuls: durante la fermentazione viene aggiunto alcol etilico al mosto, bloccando così l’azione dei lieviti nella trasformazione dello zucchero ed elaborando un vino naturalmente dolce (Vin Doux Naturel). I passaggi successivi, molto lunghi, prevedono una maturazione nei bonbonnes, contenitori di vetro lasciati aperti al contatto con l’ossigeno, la luce e gli agenti atmosferici. Mutazioni continue nei Banyuls tradizionali contribuiscono, quindi, alla complessità, all’intensità e all’unicità di questo vino, cui oggi si affiancano i Rimage (Banyuls in cui l’addizione di alcol avviene a fermentazione in atto e a contatto con le bucce. Questa tecnica, unita alla maturazione in acciaio, preserva il lato fruttato), con metodologie che accelerano i processi a favore di vini pronti in minor tempo. Queste tipologie rappresentano, però, solo una piccola parte della produzione della zona.

Banyuls è soprattutto ricercata per i suoi vini rossi secchi che rispondono alla costante domanda di un turismo alto-spendente, dal gusto internazionale. Ecco allora che troviamo un’offerta adeguata con vini dalle spiccate note speziate, vanigliate e importanti sentori di legno, soprattutto nei rossi. Vini più commerciali, quindi, lontani sia dal terroir sia dalla tradizione.
Una spaccatura che richiede ancora un’ulteriore indagine e che ci porta con il naso al nostro primo calice. Altai con il suo peregrinare è riuscito, infatti, a superare entrambe queste varietà, per scoprire l’essenza del territorio.

Collioure Les Canadells 2021 - La Tour Vieille
grenache gris 40%, grenache blanc 30%, macabeu 10%, roussanne 10%, vermentino 10%

Siamo a Collioure, uno dei quattro comuni dove si può produrre Banyuls nelle tipologie rosso, bianco e rosato. Nel calice troviamo un bianco secco con un aspetto classico, cristallino, senza deviazioni da ossidazione e con un colore giallo paglierino. L’olfatto stesso segue questa linea, parlandoci di fiori e frutta a polpa bianca, con sfumature d’orzo maltato e una decisa nota minerale, iodata e marina. Qui lo scisto dei terreni e la vicinanza al mare impongono le proprie caratteristiche, che sono ancora più evidenti al palato, dove la sapidità si fa quasi amara e lo iodio ritorna protagonista. Un vino particolarissimo e di grande beva nella sua semplicità, che a fine serata darà maggior spazio alla presenza dell’alcol.

«Noi siamo legati a questa terra. I valori della costa stanno scomparendo sotto i colpi del turismo. Noi siamo diventati vignaioli per rispetto, conoscenza, carattere e riflessioni. Continuiamo a trattare la vigna come un giardino» - Vincent Cantié, fondatore de La Tour Vieille.

Roussillon

Rimettiamo lo zaino in spalla e arriviamo nel Roussillon, una zona di 21400 ettari, con terreni estremamente variegati, tendenzialmente argillo-calcarei. Qui il turismo ha come base il campeggio, quindi siamo di fronte a un target basso-spendente. Questa è una delle tante sfaccettature della zona, che portano ad avere una svendita al dettaglio davvero impressionante. Quantità che vince sulla qualità, con politiche da parte dei consorzi che hanno cercato di individuare cru e selezioni per aumentare la fama della zona, senza i risultati attesi. L’AOC Côte de Roussillon resta altamente svalutata, confusionaria nel suo aver frazionato anche la tipologia più nota della zona, quella dei vini dolci naturali (VDN), in molte tipologie in base alle uve, alla colorazione, alla maturazione e persino rispetto all’uscita sul mercato. L’effetto è un aumento del disagio e dell’incomprensione da parte del consumatore nei confronti della denominazione.
Ecco allora che la difesa del terroir e della storia è passata nelle mani dei singoli vignaioli come Frédérique Vaquer, produttrice del vino che andiamo a degustare. Un passaggio che ha implicato l’uscita dalla denominazione per produrre vini da tavola, che spesso hanno sia il nome del vitigno che l’annata in etichetta, favorendo il racconto e la trasparenza nella comunicazione.
Frédérique, alla morte del marito Bernard Vaquer, assaggiando del vino conservato in vecchie botti più o meno dimenticate, ne scopre per caso il potenziale. Fino a quel momento il Domaine Vaquer aveva seguito il mercato e con la scomparsa di Bernard, Frédérique era pronta ad abbandonare tutto. Quel vino complesso e cristallizzato, per nulla leggero e facile, è diventato il nuovo corso del domaine.

Rivesaltes Hors d'Âge Ambré 30 ans - Domaine Vaquer
Cuvée perpetuelle base macabeo

Vino derivato da una cuvée di 30 annate a base macabeo - vitigno a bacca bianca originario della Spagna - alimentata con metodo perpetuo e quindi con aggiunta, a botti mai completamente colme, del vino d’annata. Calice di un bel colore oro intenso che vira all’ambra, cristallino e lucente, che sprigiona immediatamente la sua complessità in un bouquet di purea di mela cotogna, di cannella, di radice di genziana, con punte di smalto, acetaldeide, e di foglie d’autunno. Un tourbillon profondo di profumi che continueranno a cambiare con sfumature di radice di liquirizia e ruta. E poi il sorso, a conferma della grande complessità, con una dolcezza mai coprente che diventa parte di un’equazione di contro-bilanciamento con la sensazione quasi tannica e di asciuttezza, data dall’ossigenazione. Un sorso fatto di gelso, di tè, di camelia quasi affumicata, di note di distillato, di fava di cacao e di arancia candita. Ricchezza e intensità per un vino che esisterà sempre meno, perché non ha, purtroppo, mercato.

«Voglio vinificare vini che assomiglino alla propria terra e che mi somiglino» - Frédérique Vaquer

Ma prima del Banyuls e prima ancora dei vini dolci naturali della zona, c’è un vino il cui nome, Ranciò, possiede in sé le tracce della propria alterazione verso il rancido. Un vino sempre meno attrattivo per il mercato, che racconta la storia di questi territori al punto da diventare presidio Slowfood. Prodotto in una botte scolma senza sviluppo di flor di protezione, vede la sua evoluzione proprio dal contatto con l’aria, con il calore e con gli agenti atmosferici. Ossidato velocemente e non fortificato, questo vino, eccellenza catalana, è la specialità di Brigitte Verdaguer del Domaine de Rancy, che ne produce ben cinque versioni, due dolci e tre secche, ognuna da singolo vitigno (syrah, macabeo e carignano).

VDP Cotes Catalanes Rancio Sec Macabeu 2011 - Domaine de Rancy
macabeo 100%

Alla vista mostra tutta la sua ossidazione con un color orange opaco, attrattivo e denso. La nota di mallo di noce colpisce immediatamente l’olfatto, insieme alla nocciola caramellata, allo zucchero filato, poi sfumature di fiori secchi e infine le note di caffè che diventeranno di testa con il tempo. Ci si aspetterebbe, con questi profumi caramellati, un’entrata in bocca dolce, ma il sorso è tutto giocato sulle verticalità, con una grande freschezza agrumata e una sapidità gustosa: pompelmo e arancia candita si uniscono alla mandorla, ad aromi di torrefazione e cacao, in una sensazione che sfiora l’umami. Lungo e persistente, Altai ne suggerisce un abbinamento con il Patanegra.

«Ciò che ho sempre notato è che qualsiasi vigneron è orgoglioso della propria terra e dei propri prodotti, mentre qui in Catalogna, abbiamo il rancio e lo rinneghiamo. Questo non è giusto» - Brigitte Verdaguer

Ariège

Al centro della catena montuosa dei Pirenei si attraversa un piccolo areale di appena 50 ettari, che ha visto i propri vigneti completamente distrutti dalla fillossera. Solo una decina di anni fa alcuni vignaioli iniziano a impiantare nuove viti, senza però una vera strategia e con una commistione di vitigni che include persino il nebbiolo e la petit arvine. Si tratta di una denominazione molto giovane, ancora in fase di stabilizzazione e priva di identità, con soli quattro domaines che producono vini di ispirazione bordolese, su terreni a tendenza argillo-calcarea.

I viniJurançon

Superata Ariège ci dirigiamo a passo veloce verso uno degli areali più interessanti di Francia: Jurançon. Siamo a sud-ovest, nella parte bernese dei Pirenei. Qui il cambio di rotta nella coltivazione della vite è decisivo: si passa infatti dai numerosissimi vitigni della zona orientale, ai soli 6, per altro tutti bianchi, di Jurançon. Petit e gros manseng, petit courbu, courbu, lauzet e camaralet sono le sole varietà ammesse per una produzione che si differenzia in tre tipologie di vino: Jurançon sec; Jurançon moelleux, che ha reso famosa la zona, con un residuo zuccherino tra i 40 e i 55 grammi per litro e una vendemmia leggermente ritardata; Jurançon vendanges tardives, con vendemmie a partire dal 2 novembre e con l’obiettivo di ottenere vini dolci con residuo zuccherino minimo di 55 g/L. La barriera dei Pirenei qui è fondamentale per la trasformazione delle masse d’aria fredda, di influenza atlantica, in un vento caldo e secco, il Föhn, che soffia sui grappoli d’uva e permette ottimali maturazioni e vendemmie tardive senza formazione di muffe. I terreni sono variegati, con alcune particolarità come il boulbènes (limo) e il poudingue de Jurançon (ciottoli calcarei e silicei affioranti). Qui, come a Roulenguy che incontreremo dopo, il senso di appartenenza è fortissimo: la comunità dei vignaioli ha costruito una rete di aiuto reciproco e di non belligeranza, che diventa narrazione comune di un territorio, con una qualità sempre più apprezzata dal mercato.

Jurançon Sec Vintage Vielh 2018 - Clos Lapeyre
gros manseng 60%, petit manseng 30%, petit courbu 5%, camaralet 5%

Giallo paglierino carico per questo Vintage Vielh, che in parte viene vinificato in botte grande. Un naso dolce e seducente che gioca su sentori di polpa di pesca nettarina, lime e citronella, fiori gialli di tarassaco, canfora e poi ancora frutto della passione. Freschezza e salinità per un’apertura decisa e secca in bocca, che regala equilibrio e grande piacevolezza; un vino dalla spiccata aromaticità agrumata che potrebbe sposare delle verdure fermentate o piatti della cucina asiatica in versione agrodolce.

Jurançon La Magendia 2019 - Clos Lapeyre
petit manseng 100%

Un vino moelleux, di un anno più giovane del precedente che nel colore vi si distacca solo per una leggera maggiore intensità cromatica. Naso in partenza chiuso per l’inibizione dello zucchero, si apre piano piano sulla pesca sciroppata, sullo zucchero filato, su guizzi salmastri e olivastri, con fiori bianchi e vaniglia a fare da contraltare. Un calice la cui parte zuccherina è presente e si fa cogliere facilmente, ma che è perfettamente pareggiata da un’incredibile verticalità. L’entrata rotonda, larga e piacevole è controbilanciata, infatti, da una sferzata di freschezza e acidità: un equilibrio premiante.

«Ti indico io da chi puoi andare» - Jean-Bernard Larrieu, proprietario del Clos Lapeyre e presidente della Coopérative d'utilisation de matériel agricole di Chapelle de Rousse.

Irouléguy

Terminiamo il nostro viaggio laddove partono i cammini per Santiago di Compostela. Ecco che i nostri zaini si confondono con quelli dei pellegrini, per quelle poche ore di sonno che ci vedranno nella stessa locanda. Siamo in una delle zone più intensamente identitarie dei Pirenei: i Paesi Baschi, dove il territoriale supera qualsiasi logica di globalizzazione imponendosi grazie a un tessuto antropologico e culturale qui così radicato. Una coesione che ha sviluppato il mercato interno basato su prodotti esclusivamente locali e che ha permesso la ricostruzione post-fillossera del vigneto, grazie al lavoro della cooperativa Cave d’Irouléguy. Poche le varietà impiantate – courbu, gros e petit manseng, petit courbu, cabernet franc, cabernet-sauvignon, tannat – su un areale che oggi conta circa 230 ettari e che, grazie all’unione dei vignaioli, punta su una produzione equamente distribuita tra bianchi, esclusivamente secchi, e rossi di altissima qualità, tutti commercializzati al giusto prezzo.

Irouléguy Cuvée Haitza 2019 - Domaine Arretxea
tannat 70%, cabernet sauvignon 30%

Arretxea è tra i domaine più noti nella zona per la produzione di vini estremamente territoriali, nonostante l’ampia gamma in vendita. I terreni variegati – tra i quali scisto, argilla, arenaria, calcare - permettono una differenziazione parcellare della produzione: una base di studio nel tempo per tutti i vignaioli della zona. Ancora una volta siamo di fronte a un progetto di condivisione e quindi di crescita del territorio, in buona parte inusuale in Italia. Assaggiamo un vino rosso a base di due vitigni a forte impronta tannica come il tannat e cabernet sauvignon, che sosta 18 mesi in barrique. Un calice che ci regala una percezione di legno, in apertura, su un corredo fruttato, con profumi di prugna nera e cedro maturo, qualche sentore verde e una punta di inchiostro. Un vino che supera la possibilità di tannicità, pur evidente in bocca, con una grande freschezza e un gusto di lampone e di fragola. Qui i terreni calcarei, poveri d’argilla, la fanno da padrone e sostengono l’equilibrio di un sorso che, pur non particolarmente complesso, è potente.

«Siamo terroiristi: ciò che ci interessa è valorizzare al meglio il suolo e il nostro terroir» - Iban e Theo Riouspeyrous del Domaine Arretxea.

Il riposo e lo studio ci attendono dopo tanto peregrinare per i Pirenei. Come saluto, ci lasciamo cullare dalla voce di Fabrizio De André, il cantautore degli ultimi, delle lotte e dell’amore. Noi rimaniamo in attesa di riprendere il passo e di poter ascoltare qualche altra avventura e scoperta di Altai Garin.

«Ricorda Signore questi servi disobbedienti / Alle leggi del branco / Non dimenticare il loro volto / Che dopo tanto sbandare / È appena giusto che la fortuna li aiuti / Come una svista / Come un'anomalia / Come una distrazione / Come un dovere»