Tra le Alpi e il mare: l’insolita identità dei vini della Liguria di Ponente

Racconti dalle delegazioni
15 dicembre 2025

Tra le Alpi e il mare: l’insolita identità dei vini della Liguria di Ponente

Un racconto corale che ha visto avvicendarsi sul palco Filippo Rondelli, noto viticoltore di Dolceacqua in veste di Presidente dell’Associazione e voce narrante, e diversi produttori, in rappresentanza delle denominazioni coinvolte. A condurre la degustazione Alessandra Marras, degustatrice e relatrice AIS.

Tiziana Girasella

La provincia di Imperia, pur presentando un numero di ettari vitati molto ridotto, racchiude in sé un insieme di caratteristiche dal punto di vista geografico, storico e ampelografico tali da rendere il suo territorio unico, peculiare e identitario. Ed è proprio la sua unicità ad aver convinto i produttori di questo areale a unirsi, per raccontare, ognuno attraverso le proprie specificità e il proprio vissuto, un territorio composto da tante sfaccettature, ma anche tante assonanze: un’identità insolita, fatta di vini che, pur essendo prodotti in zone limitrofe, si distinguono tra loro non solo in base al vitigno, ma anche al territorio.

L’imperiese rappresenta, infatti, un luogo unico all’interno del Mediterraneo, con un’altimetria che va dal mare fino alle Alpi Liguri comprendendo al suo interno tutte le zone bioclimatiche: alpina, subalpina, continentale, temperata, mediterranea mite e mediterranea calda. Un piccolo territorio che riesce, incredibilmente, a racchiudere le differenze che si trovano dall'Alto Adige alla Sicilia.

Al suo interno, i vitigni si comportano in maniera diversa a seconda della fascia climatica in cui sono allevati. Ad esempio, un vermentino coltivato vicino al mare presenterà profondità e acidità meno elevate e un’aromaticità più esuberante ma se posto a un’altitudine maggiore avrà maggior acidità, note più agrumate, sarà più teso, con un pH un po’ più basso e note più balsamiche.

A complicare ulteriormente la situazione, subentra anche la conformazione geologica: si tratta di un territorio perlopiù collinare, con vallate che presentano differenti orientamenti (alcune nord-sud e altre ovest-est) con conseguente diversa esposizione ai venti (quelle orientate perpendicolarmente al mare lasceranno entrare i venti più freddi, non così, invece, per le altre). Differenti sono anche le composizioni dei suoli: flysch - quindi scisti - terre rosse di origine vulcanica o da dolomia, argille bianche, marne e calcare, con variazioni significative anche a breve distanza, addirittura all’interno della stessa vigna.

Tutte queste difformità sia geologiche che climatiche, in un territorio così piccolo, non fanno altro che amplificare la diversità dei vini che si producono tanto che la fisionomia del singolo vino si moltiplica regalando una ricchezza e una varietà fuori dal comune.

Ampelografia

Sono svariati i vitigni che compongono il panorama ampelografico della provincia di Imperia:

  • il vermentino, detto anche rolle o favorita, pur essendo diffuso in tutto il Mediterraneo, presenta qui delle caratteristiche peculiari: il vino che se ne produce porta subito a una collocazione identitaria ligure, mentre un Vermentino toscano o sardo presenterà caratteristiche differenti;
  • il pigato, che altro non è che una variazione clonale del vermentino, deve il suo nome alle cosiddette “pighe”, ossia macchie rugginose che compaiono sugli acini quando sono maturi. Ha un legame molto forte con il terroir della Liguria di Ponente, zona in cui si esprime al meglio: si è provato ad allevarlo altrove, ma si è visto che perde tutte le proprie caratteristiche;
  • il moscatello di Taggia è il vitigno più storico, citato già nel Medioevo. A lungo dimenticato, è stato riscoperto di recente. Ha una forte aromaticità ma, a differenza del più noto omonimo piemontese, pur avendo con molta probabilità la stessa origine, rivela delle nuance diverse, più agrumate, che lo rendono originale e unico;
  • il rossese di Dolceacqua presenta una buccia molto sottile, una pianta e un grappolo estremamente sensibili alle malattie e produce naturalmente una molecola - il dimetilsolfuro – che, a bassa concentrazione, è quella che i profumieri chiamerebbero “profumo di mare”. Questa nota particolare dà profondità allo spettro aromatico, ma richiede grande conoscenza del vitigno in quanto, se in eccesso, può dare origine a sentori di riduzione.
  • l'ormeasco di Pornassio, pur derivando per mutazione dal dolcetto, se ne differenzia perché, a differenza di questo che è una varietà precoce, è tardivo.

La Degustazione

Durante la serata, proprio al fine di far comprendere meglio quella che, alla luce delle premesse fatte, potrebbe essere definita come la “complicazione ligure” - ossia il diverso comportamento di uno stesso vitigno al variare della zona di coltivazione e della diversa interpretazione data dalla mano dell’uomo - sono stati serviti, per ogni vitigno, due vini di due diversi produttori.

Riviera Ligure di Ponente DOC Vermentino 2024 - Azienda Agricola Maria Donata Bianchi

«Insieme possiamo collaborare e insieme crescere»: così viene presentata Marta Trevia, giovane enologa dell’azienda familiare Maria Donata Bianchi. “Insieme” è infatti il termine che si trova alla base della filosofia aziendale che considera collaborazione e condivisione delle conoscenze il fulcro per far crescere un territorio. L’azienda prende il nome dalla mamma di Marta che, neolaureata in Giurisprudenza, nel 1977 ha l’intuizione di voler vinificare in quella zona. Si affida all’enologo Pietro Trevia, noto nella zona per aver insegnato a tutti a fare il vino, nonché colui che, in seguito, diverrà suo suocero.

Situata nella vallata di Diano Arentino, in cui si parla di viticoltura e olivicoltura sin dal ‘700, l’azienda si trova in una zona collinare, un primo entroterra in cui, però, il mare è sempre visibile: il vermentino coltivato qui, infatti, “sente” il mare, ma ha alle spalle il bosco. Inoltre, si è scoperto che sopporta bene il caldo e la carenza idrica, caratteristiche rilevanti a fronte del cambiamento climatico in atto.

L’annata 2024 è stata difficile, piovosa: la vendemmia ha richiesto un lavoro mirato e tempestivo per rispettare le necessità e le caratteristiche delle singole vigne. Nel vino in degustazione, la vinificazione è a grappolo intero, maturazione e affinamento avvengono in acciaio per valorizzare i punti di forza del vitigno - freschezza, equilibrio e sapidità - e donare al contempo grande equilibrio al calice. All’olfatto si evidenziano subito la pulizia e l’equilibrio, con percezioni agrumate che rivelano una freschezza molto piacevole, una ventata di brezza e mare che arriva insieme a sensazioni di balsamicità ed erbe aromatiche, tra cui timo e salvia limonina (o erba Luigia). Il palato, in perfetta corrispondenza, ha la parte agrumata che tende più alla scorza di limone e una lievissima nota amaricante, molto piacevole, che pulisce il palato. Si ritrovano in bocca anche freschezza e sapidità, con una salivazione che si amplia man mano che procede il sorso: la ventata di sale percepita al naso si riconferma, così come la pulizia che rimarca la persistenza giocata su sentori di erbe aromatiche.

Riviera Ligure di Ponente DOC Vermentino Vigna del Poggio 2023 - Azienda Calvini Luca

Per il secondo vino ci spostiamo a Sanremo, a ridosso del mare: come racconta Ilaria Calvini, si tratta dell’unico vino ligure a poter vantare la menzione della vigna - quindi con caratteristiche uniche e peculiari - prodotto da piante risalenti alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. La vigna è ubicata in cima alla collina famosa per essere il tratto cruciale, per via della sua pendenza, della gara ciclistica Milano-Sanremo.

La fermentazione, parte in barrique e parte in acciaio, vuol rispettare la tradizione del luogo e omaggiare anche il nonno di Ilaria, grande fautore di questa tipologia di Vermentino. Rispetto al precedente, il colore risulta più marcato anche per il parziale passaggio in legno conferendo al vino anche maggiore struttura. Così, complici anche la leggera surmaturazione in pianta e l’annata 2023, il vino presenta un profilo più caldo, un frutto più rotondo e maturo, con ricordi di frutta tropicale, mango disidratato, lievi richiami di pesca, speziatura di pepe bianco e floreale di elicriso. Anche il palato evidenzia differenze rispetto al precedente calice: riempie la bocca, ha una parte salina evidente – la vallata in cui si produce è aperta e lascia penetrare l’aria proveniente dal mare – e, come il primo, presenta una parte agrumata, anche se nei toni di un agrume candito. È un Vermentino con un lato mediterraneo evidente e piacevole che lascia trasparire la luce che le uve ricevono grazie anche ai suoli bianchissimi presenti in vigna.

Riviera Ligure di Ponente DOC Pigato Moie 2023 - Ramoino Vini

A Fabiana Ramoino non è bastata la “complicazione ligure”: ha voluto ulteriormente incrementare la complessità del lavoro attraverso quella che può essere definita una “viticoltura diffusa” con i suoi 8 ettari vitati sparsi in 7 comuni, tutti in provincia di Imperia. La famiglia produce vino già da tre generazioni, ma solo dal 2006 ha iniziato a coltivare la vigna con l’obiettivo di incrementare la qualità del prodotto finale.

Il vino in degustazione proviene da una selezione di uve provenienti da una vigna ubicata nel Comune di Sarola, con un terreno franco argilloso, più “grasso” e per questo molto adatto alle necessità del pigato che in questi terreni si esprime al meglio. 9 mesi di permanenza sui lieviti con bâtonnage lasciano presagire, ancora prima dell’assaggio, una maggior struttura rispetto ai due Vermentino precedenti.

Il naso evidenzia un attacco floreale, prima non presente, mentre tornano decise le erbe aromatiche, in primis la mentuccia selvatica, e la frutta a polpa bianca: un profilo maturo ma molto delicato, quasi vellutato. All’assaggio esprime tutta la sua energia: nonostante l’annata calda risulta fresco e vibrante e nel finale di bocca torna la nota mentolata. Rispetto ai precedenti si evidenzia uno scostamento in termini di struttura, ma il filo conduttore rimane la sapidità.

Riviera Ligure di Ponente DOC Costa de Vigne Pigato Vigne Vëggie 2023 - Massimo Alessandri

Massimo nasce come ristoratore, ma scopre ben presto la passione per la viticoltura. Le sue vigne si trovano a Ranzo che, situata a metà della Valle Arroscia - la più lunga della provincia di Imperia - rappresenta una delle zone più importanti per la produzione del Pigato. Questa vallata, infatti, grazie all’orientamento geografico e ai terrazzamenti, consente uno scambio termico importante tra mare e monti, con una ventilazione costante che garantisce la sanità delle uve. Il terreno è di argilla rossa, ricco di minerali di ferro e scheletro.

Il vino in degustazione è prodotto da vigne di 30-40 anni poste a circa 400 m s.l.m. con una resa di circa 50-60 q/ha che permette al Pigato, nonostante l’importante gradazione alcolica (14% vol.), di concentrare l’acidità e di esprimere tutta la propria mineralità e sapidità. Utilizzo del solo mosto fiore e di lieviti indigeni, fermenta in parte in tonneaux, nessuna filtrazione e maturazione di 10-12 mesi in tonneaux.

La prima olfazione evidenzia un frutto bianco maturo, in particolare pesca bianca, e una parte minerale che ricorda la grafite (e che in evoluzione porterà a sviluppare tonalità tendenti all’idrocarburo). Emergono poi pepe bianco ed erbe aromatiche (rosmarino) che, rispetto ai vini precedenti, si esprimono su sfumature meno dolci e un po’ più incisive. Al palato è saporito, gustoso, con un’acidità ben percettibile e un tenore alcolico presente ma perfettamente integrato: tutto ciò lascia intravedere la notevole longevità del vino. Man mano che rimane nel calice il gusto continua a cambiare (cosa insolita e peculiare in quanto di solito ciò che cambia è l’olfatto), lasciando emergere ricordi di nocciola e rivelando una interessante poliedricità.

Riviera Ligure di Ponente DOC Moscatello di Taggia Lucraetio 2024 - Eros Mammoliti

Eros Mammoliti è forse il personaggio più importante a cui si deve la riscoperta di questo vitigno che, dopo la grande fama posseduta già ai tempi di Sante Lancerio, ha avuto nei secoli successivi un lento ma inesorabile declino che ha portato alla sua quasi totale scomparsa. All’inizio degli anni 2000, però, un gruppo di 4-5 viticoltori – tra cui, appunto, Eros - ha cercato di recuperare le pochissime barbatelle rimaste (andando letteralmente a cercarle, a piedi, nei boschi delle zone in cui tradizionalmente era coltivato): l’esigua quantità recuperata ha portato alla prima vinificazione che, fatto insolito ma vero, è stata fatta in una pentola a pressione! Da qui si è deciso di intraprendere nuovi studi che hanno dimostrato una genetica diversa rispetto al più noto moscato d’Asti e portato, nel 2011, all’inserimento del moscatello all’interno del disciplinare del Riviera Ligure di Ponente DOC.

In degustazione è stata presentata la versione secca del Moscatello di Taggia che, ancor più di quella passita, evidenzia le differenze con il moscato piemontese. L’aromaticità si percepisce al naso, ma è molto delicata; già all’esame olfattivo emerge una nota salina che accompagna pesca bianca, erbe aromatiche dolci, rosa (sia petali che acqua di rose). Al sorso c’è una perfetta corrispondenza nei richiami floreali di petali di rosa, sale e una nota mentolata che dona una lunghezza e freschezza molto piacevoli al sorso: Alessandra dice che sembra richiamare il Margarita, grazie anche ai ricordi agrumati che emergono man mano.

Rossese di Dolceacqua DOC Pini 2023 - Maixei

Il nome dell’azienda identifica i muretti a secco e rappresenta una Cooperativa importante a Dolceacqua composta da 30 piccoli produttori che hanno deciso di far fronte comune per riuscire a ottimizzare i costi di produzione. Pini è una delle cosiddette Nomeranze del Dolceacqua, ossia una delle 33 Unità Geografiche Aggiuntive introdotte recentemente nel disciplinare di produzione rese necessarie per normare la prassi dei produttori di inserire in etichetta il nome della zona in cui il vino era prodotto, ma ancor più per avvalorare la caratteristica del rossese di restituire nel calice le differenze fra le vigne, ricordando il concetto di Cru francese. Pini, nello specifico, identifica una collina che una volta era ricoperta da pini d’Aleppo: una vallata stretta, chiusa nella parte montana, che subisce una grossa influenza marina che determina in una maggior morbidezza, avvolgenza e immediatezza nel vino.

Naso da subito molto elegante, con una parte floreale evidente su sentori di rosa cui seguono immediate le note di frutta, ribes e fragolina di bosco, croccanti nonostante l’annata calda. Si ritrova poi una parte di radice, di erbe officinali, quasi un tocco di china. Al palato ha una bella freschezza, con accenti mentolati e un tannino carezzevole, tipico di questo vitigno, e una grande pulizia.

Rossese di Dolceacqua DOC Luvaira 2022 - Tenuta Anfosso

La Nomeranza Luvaira si trova in una vallata calda e luminosa, con vigne esposte quasi sempre a sud-est ed escursioni termiche molto importanti: rispetto al vino precedente, ciò si traduce in un vino nervoso in gioventù che ha bisogno di tempo per arrotondarsi. La lavorazione prevede l’utilizzo di un 50% di uve non diraspate.

Il naso è perfettamente corrispondente alla descrizione della zona di provenienza: nonostante sia di un anno precedente del precedente, sembra più giovane, vibrante e scalpitante. I toni fruttati in questo caso ricordano la melagrana oltre a presentare scie di erbe officinali e note di china come il Pini di Maixei. La freschezza si percepisce anche al sorso, che manifesta una grande ricchezza di frutto e una piacevole persistenza su ricordi di viola e liquirizia che ne rivelano la stoffa sin da ora, lasciando presagire che con il tempo si ammorbidirà e sarà ancora più godibile.

Alessandra introduce l’ultima zona, quella dell’ormeasco di Pornassio, la DOC più piccola fra quelle raccontate durante la serata, leggendo un brano di «Vino al vino» di Mario Soldati: scopriamo così un arazzo, denso di colore e sfumature, costruito da un avvicendamento di linee e volute che delineano un bellissimo paesaggio che segue il corso del sole. Interviene Marco Telesio di Cascina Nirasca, vero istrione che, tra una battuta e l’altra racconta di come, all’inizio degli anni 2000, si sia rischiato di perdere questo vitigno, a vantaggio degli internazionali; fortunatamente, i produttori hanno deciso di credere nella forza della tradizione. Dolcetto sì, dunque, ma a raspo rosso: questo è l’ormeasco che cresce in una zona prossima alle Alpi in cui fare viticoltura richiede molti sacrifici. Essendo un vitigno molto ricco di antociani, spesso si fanno macerazioni brevi per non estrarre troppo colore.

Ormeasco di Pornassio DOC La Ribelle 2022 - Lorenzo Ramò

Il nome del vino ha un’origine curiosa che deriva dal fatto che Elena, terza generazione di produttori, un po’ lo è di natura, ribelle, ma anche perché, ritenendo che questo vino dovesse essere imbottigliato come Superiore che però prevede, da Disciplinare, un passaggio in legno, non facendolo ha deciso di chiamare così quello che sarebbe dovuto essere il suo Superiore.

Il naso è un tripudio di frutta, soprattutto marasca e ciliegia fragrante, ma già matura; la parte floreale verte su un fiore carnoso, una magnolia rossa in lieve appassimento. Emerge poi la speziatura, nonostante l’assenza di legno, su ricordi di pepe nero; in chiusura, scie mentolate. In bocca è succoso, con una bella corrispondenza naso-bocca e un tannino presente, ancora forse non del tutto maturo, ma già molto piacevole.

Ormeasco di Pornassio DOC Selezione del Ventennale 2022 - Cascina Nirasca

Questo vino è un unicum: ha un’etichetta festosa, realizzata per omaggiare il ventennale della cantina e proviene da una vigna, la più alta dell’azienda, posta a oltre 800 m s.l.m. e, in quanto tale, ha un po’ meno struttura ma più finezza del precedente e, cosa insolita per il vitigno, fa un anno in legno piccolo usato.

In questo vino c’è ancora più materia colorante e, nonostante il passaggio in legno, non ci sono sentori del contenitore. All’olfatto, le note fruttate non sono predominanti, ma lasciano spazio a una parte di cipria e ricordi di rosa. La differenza sostanziale rispetto al precedente è legata alla diversa zona di produzione: la vigna della Selezione del Ventennale è ubicata vicino al fiume, in una zona in cui i terreni rendono i vini più morbidi, mentre La Ribelle rimane più austero. Ha profondità di naso, ma anche di gusto, con una parte speziata, ma soprattutto una vena di liquirizia e china. È inoltre freschissimo, con un tannino perfettamente rifinito e un finale di torrefazione, tabacco e caffè, ma soprattutto una piacevole mineralità che dona una grande bevibilità.

Chiude questa interessantissima serata Filippo Rondelli che lascia la platea dando un suggerimento: «quando si assaggia un vino ligure chiedetevi da quale parte provenga e magari andate a indagare, per scoprire quante sfaccettature questa terra abbia da offrire».