Triple A: banco di degustazione vis-à-vin
Un banco di degustazione diverso da tutti gli altri: produttori e appassionati a discorrere in amicizia seduti allo stesso tavolo, un nuovo modo di parlare di vini naturali, di territori, di persone.
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“Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno…” è così che Manzoni, nella poesia “Cinque maggio”, inizia a dipingere i successi e le conquiste di Napoleone; per descrivere invece il successo dei vini naturali e di questa serata potrei scrivere “Da Vipava alla Romangia, dalle Langhe a Vittoria…”.
Il vino naturale è ormai conosciuto e diffuso in tutta Italia, non come moda momentanea bensì come una filosofia che nasce in molti produttori diversi anni prima delle luci della ribalta. Il marchio “Triple A”, creato dall’instancabile Luca Gargano di Velier, riunisce realtà sparse in diversi territori accomunate dal modo di concepire il proprio vino, rispettando l’uva e la terra. “A” perché gli ospiti di questa serata non sono solo semplici produttori di vino, sono Agricoltori per il profondo legame che hanno con la terra, che coltivano con le proprie mani non solo per produrre uva ma anche cereali, frutta e tutto quello che questa generosa madre è disposta a donare; sono Artigiani perché utilizzano l’“artigianalità” per produrre i propri vini, senza permettere alla chimica di violentare ciò che la natura ha creato perfetto, ed infine sono Artisti perché i loro vini sono opere d’arte nate dall’estro e dalla passione unite al lavoro e all’intelligenza. I produttori selezionati da Luca per questo insolito banco di degustazione, erano fondamentalmente portavoce del proprio terroir: non impiegandosi alcun mezzo chimico o fisico per produrre vino se non quelli tradizionalmente utilizzati da secoli, vengono solo esaltate le caratteristiche e le differenze della terra e delle uve.
Come in un valzer, si girava tra i tavoli e si faceva la conoscenza di produttori storici come l’Azienda Vinicola Calabretta, il cui proprietario, Massimo, noto come l’“ingegnere” del vino dell’Etna, da anni è un punto di riferimento per la produzione di grandi vini dal nerello mascalese a una sorprendente minnella bianca; o come Emidio Pepe, una vera istituzione in Abruzzo per i vini Montepulciano e Trebbiano, che sfidano il passare del tempo con le celebri vecchie annate. Al tavolo a fianco ecco i giovani “enfants terrible” Alessandro Dettori, i cui celebri Cannonau della Romangia e Moscadeddu riescono ad emozionare ad ogni nuovo che assaggio, e Luigi Tecce, il noto sperimentatore dell’aglianico di Taurasi, da cui ricava due vini complessi in continuo mutamento dai nomi d’ispirazione classica, Poliphemo e Satyricon. Più in là si chiacchierava con orgogliose, intelligenti ed affascinanti “signore del vino”: Arianna Occhipinti, che esprime queste caratteristiche anche nei suoi vini prodotti con uve di nero d’avola e frappato, frutti della terra siciliana di Vittoria, ed Elena Pantaleoni di La Stoppa, che con semplice umiltà ha reso grande la piccola Val Trebbiola, con i suoi Ageno, Macchiona e Vigna del Volta, vini naturalmente unici da uve autoctone piacentine. La generosa Emilia era rappresentata anche dalla Cooperativa Agricola La Collina, una bellissima realtà fondata a Reggio Emilia per unire vita, lavoro e accoglienza, in cui si coltivano i frutti della terra e le uve secondo i principi della biodinamica, per produrre gli autenticamente emiliani Lambruschi e Malvasie.
E ancora si scoprivano anche alcune microscopiche realtà isolane pressoché sconosciute; nell’Isola del Giglio si trova l’azienda Altura, che, dopo aver letteralmente strappato vecchie vigne ai rovi su pendii a picco sul mare, coltiva l’ansonica e altre varietà di uve del bacino mediterraneo, presenti sull’isola da secoli ma abbandonati in nome del progresso. L’Azienda Agricola Serragghia ha sede invece nella meravigliosa Pantelleria e il suo fondatore, Gabrio Bini, riesce ad incantarti coi suoi racconti e a rapirti col gusto del suo sorprendente zibibbo secco, prodotto naturalmente e vinificato in anfora.
Altre emozioni dai vini spumanti: era possibile sedersi al tavolo a fianco di microcreatori di bollicine trevigiane. Roberto Marton che, a partire da uve rosse, tra cui spicca il locale marzemino bastarda, dà vita al Subconscio Ro.sa, un bellissimo spumante rosato rifermentato in bottiglia, secondo l’antica tradizione; Costadilà segue il medesimo procedimento produttivo partendo dal vitigno glera, ossia il Prosecco, identità dei colli di Conegliano. Entrambi seguono i metodi naturali dettati dal celebre oste Mauro Lorenzon.
Non mancavano i “mostri sacri” dell’enologia italiana come il Barolo e il Brunello di Montalcino ma interpretati il più naturalmente possibile, per dare libero sfogo alle potenzialità dei vitigni nebbiolo e sangiovese: se l’ Azienda Agricola Viglione, coi suoi Barolo unici era l’alfiere delle Langhe, ilParadiso di Manfredi incarnava la tradizione del territorio di Montalcino. Sempre dalla Toscana, da altri due storici territori vocati alla viticoltura, provenivano Rossella Bencini Tesi diTerre a Mano – Fattoria di Bacchereto, a dare lustro alla storica denominazione Carmignano, anche con un sorprendente Vin Santo; e Gabriele Buondonno proprietario delPodere Casavecchia, noto sin dal medioevo, che circondato da boschi, uliveti e vigneti produce un Chianti Classico biologico di qualità. Un’altra azienda “secolare” è Castello di Lispida, prima monastero poi castello, suggestiva dimora di charme nei Colli Euganei dove si vinificano uve tai e merlot secondo sistemi di lavorazione tradizionali pre-industriali.
Interessanti erano anche i vini del basso Piemonte, a sottolineare la bontà di questo territorio: l’Azienda Bera Vittorio e figli, è una realtà biologica a conduzione familiare nel cuore dell’Astigiano, dove nascono i classici Moscato d’Asti, Barbera e Dolcetto. Cascina degli Ulivi è invece un’azienda agricola biodinamica situata sulle colline di Novi Ligure e secondo i precetti di questa filosofia coltiva i vitigni del territorio: cortese, barbera, moscato e il raro nibiò (dolcetto a graspo rosso).
Numerosa infine era la compagine di produttori che provenivano dal lontano nord-est, dal Friuli, dalla Slovenia e dalla Croazia. Denis Montanar conduce l’Azienda agricolaBorc Dodòn; proseguendo le antiche tradizioni familiari, Denis coltiva biologicamente i vitigni tipici refosco, friulano, verduzzo per vinificarli in purezza o assemblandoli, dando così vita all’eccellente Uis blancis. Stanko Radikon dal 1995 è il fautore di vini che rispettano il territorio e l’ambiente di Oslavia; monumentale la sua Ribolla, e l’Oslavje 2000 Fuori dal tempo è un vino che non si scorda facilmente. A pochi chilometri dal confine italo-sloveno, al centro del Goriška Brda (Collio), ha sede Movia dei coniugi Kristancic; Aleš è un vulcanico agricoltore che anche solo a parole riesce a trasmettere la sua passione e il suo amore per la terra, qualità che si riflette anche nei suoi vini: gli spumanti a fermentazione in bottiglia Puro, gli uvaggi Veliko Belo e Veliko Rdece e la meravigliosa ribolla Lunar vinificata interamente in botte seguendo le fasi lunari. Il rappresentante del Carso sloveno era Branko Cotar, coraggioso viticoltore che, in una cantina scavata nella roccia carsica, trasforma naturalmente i vitigni locali malvasia, vitovska, terrano in vini che profumano di rocce e vento. Verso l’entroterra, nella collina di Vipava, Frank Slavcek, secondo le tradizioni, coltiva nell’antica azienda uve bianche locali: zelen, pinella, ribolla e malvasia, insieme a quelle a bacca rossa internazionali come merlot e cabernet sauvignon per realizzare vini unici come la Rebula Vipavka Dolina. Anche la Malvasia Istriana Sveti Jakov ottenuta da lunghe macerazioni dell’istriano Giorgio Claj ti resta nel cuore, così come il Refosco Brombonero, e ti fanno capire le potenzialità di un territorio che può raggiungere altissimi livelli se lasciato libero di esprimersi.
La brillante idea che ha reso questa serata unica nel suo genere è stata quella di mettere a diretto contattoproduttori con appassionati e addetti ai lavori: seduti uno a fianco all’altro come in una tavolata tra amici, i produttori illustravano e permettevano agli avventori di degustare i propri vini e nel contempo chiedevano opinioni in un’atmosfera informale, come se fossero a casa o nella propria cantina. I minuti passavano a parlare, ridere, scambiarsi idee e sorseggiare vini con grande naturalezza. Dopo ogni degustazione “vis a vin” la percezione era quella di aver ampliato non solo il bagaglio di esperienze gustative ma anche umane, con la voglia di andare un giorno a visitare i territori dove vivono e lavorano questi grandi Agricoltori-Artigiani-Artisti, per salutarsi e degustare assieme un altro calice di buon vino.
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I commenti dei lettori
Anna Orlando
E' UNA CULTURA MOLTO AFFASCINANTE E GRAZIE AL VOSTRO LAVORO , SI POSSONO APPREZZARE I GUSTI E I PROFUMI DEI NOSTRI VINI ITALIANI . ...GRAZIE
ANNA