Tu chiamami, se vuoi, Pinot Noir
Sette vini, un solo vitigno. Con Samuel Cogliati Gorlier abbiamo degustato calici diversi per annata, provenienza, produttore e clima, allo scopo dichiarato di approfondire e valutare le declinazioni espressive di una delle uve più nobili sulla scena internazionale, Monsieur le Pinot Noir.
RUBRICHE
Il pinot noir è senza dubbio una delle cultivar più nobili, qualitative e di lunga tradizione del panorama ampelografico mondiale. Originario, secondo le ultime ricerche, della Francia centro-settentrionale (probabilmente Borgogna), citato in documenti storici risalenti al XIII secolo, sembra abbia derivato il suo nome dal termine “pigna”, a richiamare idealmente la forma del grappolo.
Legato a climi temperati – e freddi in taluni casi – è un vitigno che rende bene su terreni argilloso-calcarei, pur essendo sensibile a diverse patologie (peronospora, marciumi e attacchi di cicaline) e soggetto all’aborto floreale. Dal germogliamento prematuro, ha una altrettanto precoce maturità che lo espone al rischio di gelate primaverili.
Volendone tracciare un profilo aromatico standard, a parere di Samuel la sfera d’azione del pinot noir ruota attorno al c.d. “varietale indiretto”, vale a dire ad aromi non presenti nella buccia o nell’acino bensì propri di precursori legati, capaci di liberarsi in profumi di ribes, lampone, mirtillo, fragolina e ciliegia.
Ciò premesso, e avvicinandoci alla degustazione, Samuel riprende brevemente il concetto di terroir, sottolineando il suo intrinseco legame a suolo, sottosuolo, clima e microclima, morfologia, nonché al vitigno e all’uomo (intenso tanto come vignaiolo in sé quanto come sommatoria delle esperienze in vigna o in cantina, il c.d. savoir faire). Ebbene, se l’equazione è vera – come è vera -, eliminando i vari fattori sino a tenere il solo vitigno «non si avrà più terroir, ma quello che il marketing chiama vin de cépage», vale a dire il vino varietale. Questo assunto, a parere di Samuel, è dirimente per comprendere il percorso degustativo che ci attende e per approcciare, con il giusto punto di vista, vini diversi per provenienza, produttore ed età, accomunati unicamente dall’uva di partenza: il pinot noir.
Seguono dunque le note di degustazione dei sette vini assaggiati, con due doverose precisazioni. La prima: riportiamo la degustazione, condotta da Samuel rigorosamente alla cieca, secondo l’ordine proprio che egli è uso seguire; dunque, due coppie seguite da un terzetto di vini valutati prima al naso e poi all’assaggio. La seconda, pare banale dirlo, ma non lo è: il pinot noir non è un vino, è (soltanto) un vitigno; spesso, una comunicazione frettolosa, semplificata o volutamente à la page, incorrono in questa errata – profondamente errata – associazione, annullando se non mortificando tutte le mille variabili che possono rendere ogni calice un’esperienza unica.
La degustazione
Prima coppia
Al naso
- Naso sfumato, patinato, di un frutto gentile, aereo, speziato. Tracce ferrose ed erbacee, terra bagnata e leggera balsamicità. È un quadro olfattivo in punta di piedi, più vario che intenso.
- Se è certa la comunanza di vitigno con il primo vino, per il resto questo secondo calice si presenta in una veste completamente differente: carnoso, pieno, solare, fruttato, con un pizzico di dolcezza appena caramellata. La parte erbacea, qui, si fa linfatica, di soncino maturo e macerato. È un naso più rotondo e orizzontale rispetto al vino precedente.
All’assaggio
- Dopo qualche minuto nel calice il naso si è fatto più tenue e rarefatto. Lo assaggiamo: ampio, profumato, un po’ ridotto all’osso nella sua parte tattile ma saporito, con un tannino levigato e di ottima corrispondenza gusto-olfattiva, appena caustico nel finale, discretamente lungo. Vino slanciato, garbato, fresco nella sua modalità espressiva, franco e capace di dipanarsi e toccare l’intera bocca senza pesare. Svela un preciso rapporto tra freschezza e dolcezza in chiusura.
- Riportando il secondo calice al naso, constatiamo che la parte linfatica ha superato il soncino e si è fatta buccia d’anguria, evidenziando una matrice più cruda rispetto alla prima olfazione. Rispetto al primo vino, la bocca è più muscolare, robusta e sostanziosa, probabilmente più calda e con un tannino più gagliardo: queste sue caratteristiche lo rendono un po’ disordinato, con sensazioni, sì, più percepibili, ma al contempo più disgiunte. Appare trattenuto dalla sua griglia tannica, che frena il finale.
Abbiamo degustato:
- Menetou-Salon Rouge Les Chandelières 2017 – Domaine Philippe Gilbert
- Bourgogne Côtes d’Auxerre Pinot Noir 2020 – Domaine D’Édouard
Seconda coppia
Al naso
- Primo approccio un po’ laccato ma chiaramente potente. Frutta scura sciroppata, accenno ematico, nota vegetale macerata che ricorda il primo vino. Poi, profumi concentrati, caldi e solari, di amarena e durone. Il vino pare un po’ tormentato, come se fosse alla ricerca di ordine e di forma. È innegabile, tuttavia, un’intensità olfattiva di tutto rispetto, che forse, però, ora sembra più un minus che un plus.
- Apre su tonalità selvatiche, di macchia mediterranea, radici, erbe officinali e china, pellicceria e cuoio. Poi cereali tostati e una evidente balsamicità. Intenso, ordinato, leggermente piccante, con note accennate di tempera e vernice.
All’assaggio
- Riprendendo il calice notiamo che si è un po’ affievolito sulle sue note macerate che ora si esprimono con acqua di fiori, foglie bagnate e ciliegia matura. L’assaggio è pieno, robusto – pare ricordare il 2° vino -, con un principio confortevole che però, svolgendosi, svela un tannino monolitico e a tratti rustico che sbanda su una vaga nota amara. È un vino in due tempi, conviviale nell’approccio e spinto, leggermente allappante e con una nota di spinacio crudo sul finire. Per Samuel non è ancora pronto, deve trovare maggiore compostezza.
- I minuti trascorsi nel calice hanno ingentilito il naso, che ora ruota attorno a note di ribes rosso e talco, a una leggera balsamicità e ad accenni rugginosi. L’attacco di bocca è intenso, lo sviluppo, però, sguscia via, specie se paragonato al terzo vino. Dalla sua, la pienezza della prima parte della beva è davvero gustosa.
Abbiamo degustato:
- Volnay Premier Cru Les Champans 2020 – Domaine Joseph Voillot
- Provincia di Pavia IGT Pinot Nero Astropinot 2018 – Ca’ del Conte
Terzetto di chiusura
Al naso
- Naso profondo, ricco, stratificato, che si presenta con profumi dolci di talco e frutta in confettura; prosegue con note di anice, piccione, mandarino e un accenno di anguria, già peraltro emersa nel 2° vino. Pian piano va un po’ spegnendo la sua esuberanza.
- Quadro olfattivo giocato su una dolcezza caramellata, di frutta appiccicosa, salsa di pomodoro fresca, zabaione e crema di nocciola. Qualche istante e arrivano note di cappero, arancia sanguinella, melograno, liquirizia, tè earl grey e gelsomino. Naso molto vario.
- Impatto floreale intenso e trascinante, con chiare sensazioni di rosa: è un naso dal timbro orientale, di una dolcezza eterea, che si spande in diverse direzioni evidenziando accenni di goudron, zenzero e carne salata. Meno largo del 5° vino e meno modulato del 6°, questo vino all’olfatto si mostra originale, pungente, disorientante.
All’assaggio
- Beva soffice, materica, di profondità gustativa e di una certa finezza, molto smussato nella maturità del tannino. È un vino dalla fattura curata, ambizioso.
- Lo assaggiamo e lo troviamo delicato, soave, compatto ma sinuoso, agile e slanciato. Ha la leggerezza in bocca del 1° vino ma con più personalità, maggiore presa sapida e un tannino più percepibile. Persistenza integra.
- Al palato la freschezza è formidabile, la grana tannica sottile e spontanea. Vi è piena corrispondenza gusto-olfattiva di primo acchito. Poi, la bocca va oltre facendo emergere note di chiodo di garofano, cannella, agrumi, funghi e accenni ferrosi. È un assaggio che impone una scelta: è un vino che si ama o si odia.
Abbiamo degustato:
- Chambolle Musigny Premier Cru Les Charmes 2020 – Domaine Amiot-Servelle
- Valais Grain Pinot Chamoson 2019 – Marie Thérèse Chappaz
- Alsace Pinot Noir Stein 2019 – Pierre Frick
Sette vini molto diversi tra loro ma al contempo accomunati da alcuni caratteri di fondo. Il pinot noir, che grazie alla competenza e alla guida di Samuel Cogliati Gorlier abbiamo degustato alla cieca attraverso vini di Alsazia, Borgogna, Loira, Oltrepò pavese e Vallese svizzero, ha mostrato il suo carattere poliedrico, capace di adattarsi alla forma territoriale ove è allevato e vinificato, pur senza snaturare la sua più intima essenza.