Tuchì: storia e verticale del vitigno taumaturgico e conteso

Racconti dalle delegazioni
23 settembre 2024

Tuchì: storia e verticale del vitigno taumaturgico e conteso

Forse non tutti sanno che, sulle sponde meridionali del Lago di Garda, si è rischiata l’estinzione di un vitigno fragile e “conteso”. Con Luca Formentini, presidente e CEO di Selva Capuzza, e Bruno Ferrari, degustatore e relatore AIS, abbiamo messo in luce storia e caratteristiche del tuchì.

Valeria Mulas

L’anfiteatro morenico del Lago di Garda

Il Lago di Garda, il più grande d’Italia, con i suoi 370 km² è anche il punto di congiunzione di tre regioni – Lombardia, Veneto e Trentino Alto-Adige – che beneficiano dei suoi effetti climatici: piovosità ben distribuite, inverni miti e venti benefici, come l’Ora del Garda, sono gli elementi caratteristici per una viticoltura di qualità. Di origine glaciale, questo lago è andato formandosi con un processo lungo di scioglimenti e congelamenti nell’arco del tempo, processo che ha modificato anche il paesaggio circonstante attraverso impetuosi corsi d’acqua che, con lo scioglimento e l’erosione, hanno trasportato verso sud detriti che oggi formano una serie di colline moreniche. Proprio in questo anfiteatro naturale di terre ricchissime di argilla e sassi, e precisamente a sud della torre di San Martino della Battaglia, in provincia di Brescia, ha sede la cantina Selva Capuzza. Il Lago dista appena 4 km e la cantina, con i suoi sei vitigni tipici – turbiana, tuchì, groppello, marzemino, barbera e sangiovese - occupa una posizione all’interno delle tre DOC principali della zona: Riviera del Garda Classico, San Martino della Battaglia e Lugana.

Tuchì: un vitigno taumaturgico

Il tuchì è un vitigno taumaturgico, o almeno così si pensa dalle parti del Friuli dove questo vitigno, ora noto come friulano, si è aggiudicato la nomea di cura di tutti i mali: cul tocai a sparissin tuc’i mai. Dopo le contese, del 1993, tra Tocai e Tokaji, a partire dal 2007, la Comunità Europea ha vietato l’uso del nome italiano a favore dell’Ungheria e della sua storica regione.

Dal punto di vista genetico oggi sappiamo che coincide con il sauvignonasse o sauvignon vert, un tempo molto diffuso nella zona di Bordeaux e poi abbandonato a favore del più caratteristico sauvignon blanc. Dona vini dai sentori floreali e fruttati delicati, con note vegetali e una caratteristica bocca fresca, sapida e dal finale di mandorla amara. La storica sentenza della Comunità Europea ha portato alla ridefinizione del nome del vitigno e le Regioni italiane si sono mosse autonomamente, e senza un coordinamento, per la ricerca del nome. Il risultato è che il Ministero dell’Agricoltura diede il via libero ai nomi friulano (con una totale identificazione tra territorio e vitigno) e tai (per il Veneto). La Lombardia, dove il vitigno era quasi del tutto scomparso, fu dimenticata e per anni si trovò senza un nome adatto. Così, la DOC San Martino della Battaglia, che è ancora oggi una delle più piccole denominazioni d’Italia, e che prevede da Disciplinare min 80% di tuchì (sinonimo di tocai friulano) - con una produzione ammessa nei territori dei comuni di Sirmione, Desenzano, Lonato e Pozzolengo, in provincia di Brescia, e di Peschiera, in provincia di Verona -, negli anni ’90 del secolo scorso entrò fortemente in crisi.

Il tuchì è un vitigno delicato e fragile, dalla buccia sottile e con una maturazione medio-precoce: tutte caratteristiche che non favorirono la scelta e la moltiplicazione in campo da parte dei vignaioli. Fu così che i pochi filari ancora esistenti finirono quasi del tutto utilizzati nella composizione del Lugana, che proprio in quegli anni iniziava ad avere qualche margine di successo. «Il tuchì era il vino più importante della cantina di mio padre quando ero piccolo ed è per questo che, una volta entrato in azienda, è diventato per me anche lo scopo del mio lavoro: ridare ruolo e valore a questo vitigno». Sono le parole di Luca Formentini a darci un’ulteriore prova dei cambiamenti avvenuti tra gli anni ’70 e gli anni ’90 del secolo scorso: quando entra in azienda, di quel vino non resta che un debole ricordo. Tutto il territorio si è convertito alla produzione del più longevo Lugana, ma a Selva Capuzza permangono molti vitigni. In particolare, Campo del Soglio è il terreno storico coltivato a tuchì ed è, dalla vinificazione separata di questo vigneto, che nel 1988 Luca Formentini fa nascere il San Martino della Battaglia Campo del Soglio. Una denominazione, un vino, un produttore: potremmo riassumere così quegli anni di cambiamento nei consumi e nella viticoltura italiana in generale, di diatribe europee e di assenze, come quella di un nome per il vitigno che non si identificasse con una produzione di un’altra regione. Spesso, però, dalle sfide più aspre nascono anche i successi più insperati. Luca Formentini all’indomani della sentenza europea, nel 2007, non avendo molte opzioni, decide di stampare una retro-etichetta con un visibile punto interrogativo in vernice lucida su carta opaca: una vera dichiarazione di dubbio e di incertezza di fronte al presente del vitigno. L’etichetta richiamò l’attenzione della stampa e successivamente, insieme ai primi successi, anche l’interesse di altri vignaioli, che tentarono la produzione del tuchì in purezza. A questo punto arriva anche la richiesta unanime di sciogliere la problematica del nome del vitigno, dando mandato al prof. Michele Vescia per una ricerca risolutiva. Oggi i produttori sono una decina e il sinonimo tuchì, scelto e autorizzato dal Ministero dell’Agricoltura, fonda le sue radici nel dialetto bresciano descrivendo le piccole dimensioni del grappolo e dell’acino di questa uva.

La degustazione

Tutte le vinificazioni dei San Martino della Battaglia Campo del Soglio sono in acciaio. Le vendemmie sono manuali e Selva Capuzza segue un’agricoltura a lotta integrata con un’attenzione particolare alla riduzione di produzione di CO2 – a partire dal peso della bottiglia – e alla salvaguardia della biodiversità con un 15% di superficie dei terreni di proprietà dedicati a prato, uliveto e bosco.

San Martino della Battaglia Campo del Soglio 2022
tuchì 100%

Luminoso e color paglierino, ha piccoli riflessi dorati pur mantenendo ancora una tonalità verdolina tipica del vitigno e che ritroveremo da qui in poi nei calici. Al naso gli agrumi e una piccola sfumatura di pesca gialla si mischiano a un floreale di sambuco, una nota gessosa e salvia. Al palato si mostra fresco e minerale, con una chiusura amaricante e salina. Un vino ancora giovane che rivela, nella connotazione alcolica, la matrice calda dell’annata.

Abbinamento: trota salmonata al cartoccio con verdure.

San Martino della Battaglia Campo del Soglio 2020
tuchì 100%

Paglierino di grande trasparenza dove si comincia a intravedere una sfumatura più decisa sul dorato. Un profumo delicato di cipria e biancospino, che si apre verso la camomilla, la pesca bianca, gli agrumi in scorza e lo zenzero. Entrata glicerica e avvolgente con una freschezza di contraltare che si allunga in una piccola nota di miele e di pesca.

Abbinamento: linguine alle vongole e bottarga.

San Martino della Battaglia Campo del Soglio 2017
tuchì 100%

Stupisce il colore vivo e dinamico con ancora ben presenti le tre ramificazioni di tonalità: oro, paglierino e verde. Impatto olfattivo importante di pietra focaia, di testa di cerino, che lascia percepire a tratti le erbe aromatiche come la salvia, un vegetale di felce ed erba tagliata; fanno capolino, poi, i fiori di ginestra. Bocca vibrante e tagliente, ricca di salinità e di sapore.

Abbinamento: baccalà mantecato.

San Martino della Battaglia Campo del Soglio 2013
tuchì 100%

Lucentezza marcata di matrice oro antico che ancora non perde quella piccola sfumatura verde. L’intensità olfattiva qui gioca con il dolce del burro e della frutta gialla come un mango maturo così come dei fiori di tarassaco essiccati. Poi squaderna il miele di castagno, il tabacco biondo, piccole note di sottobosco. Una bella complessità che al palato si trasforma in una verticale di agrumi e salinità, con chiusura ammandorlata.

Abbinamento: vellutata ai funghi porcini.

San Martino della Battaglia Campo del Soglio 2006
tuchì 100%

L’oro antico prende delle sfumature quasi ambrate per questo calice che torna indietro nel tempo e mostra senza paura le sue note di ossidazione: la confettura di frutta gialla si mischia al miele, ai fichi secchi e ai fiori appassiti, con uno smalto etereo di fondo. Palato ancora fresco e teso, seppur nelle sue sfumature più meditative.

Abbinamento: arrosto di tacchino lardellato.

Oltre Nulla 2021
tuchì 100%

Oltre Nulla è un progetto sperimentale di sole 1200 bottiglie che assaggiamo in anteprima. Un vino nato per sottrazione, senza solfiti, senza filtrazioni e senza lieviti selezionati, dopo alcune prime indagini sul Lugana: una risposta non tanto al mercato quanto una ricerca costante di Selva Capuzza per capire la risposta dell’uva tuchì a un nuovo approccio. La label che riprende il punto interrogativo delle prime retro-etichette, qui diventa il vero protagonista: un’apertura sul futuro, sulle questioni aperte da questo nostro presente così fortemente antropocentrico.

Torna la matrice dorata di bella intensità che quasi sovrasta il verde del vitigno. Fiori bianchi freschi e pesca gialla iniziali svelano presto un’anima fatta di cedro e mandarino, di salvia, di rosmarino, di erba tagliata. Il sorso è coerente e si allunga sul cedro e sul rosmarino. Freschezza e salinità in entrata chiudono sulla mandorla.

Lume Benaco Bresciano Passito IGT 2022
tuchì 100%

Il disciplinare di San Martino della Battaglia prevede anche una versione liquorosa (oggi di fatto scomparsa) ottenuta mediante l’alcolizzazione del mosto di base, anche parzialmente fermentato. Questa possibilità era attiva anche presso Selva Capuzza, almeno fino al trasferimento nella nuova cantina intorno al 2001. Qui le autorizzazioni per la gestione della mistella alcolica non c’erano e, a questo punto, si decise di non procedere con la produzione di questa tipologia, puntando sull’appassimento, un’altra tipologia su cui il disciplinare oggi sta lavorando. Data la loro fragilità, le uve sono raccolte in anticipo e lasciate appassire su bancali in un solario con ventilazione meccanica. Dopo continue rotazioni, al raggiungimento del peso del 50% dell’uva iniziale, si pulisce ulteriormente e si vinifica in acciaio.

Colore paglierino dai riflessi dorati estremamente luminosi. Ha profumi di caffè e cioccolato bianco, di fichi secchi e margherite di campo, di vaniglia e zenzero, con sfumature di miele. Morbido e avvolgente al palato, si contrae velocemente in una lama verticale e sapida, in un equilibrio di sapori che ritornano sul miele e il caffè. Lume è il perfetto nome per questo vino caldo e solare e allo stesso tempo dritto e lungo.

Abbinamento: formaggio erborinato.