Turchia: riflessioni su una rinascita enoica

Racconti dalle delegazioni
04 settembre 2023

Turchia: riflessioni su una rinascita enoica

Una serata dove il filo conduttore è la Turchia: Guido Invernizzi ritraccia con precisione la storia della vitivinicoltura del paese, dal neolitico ai giorni nostri. E ci ha offerto molti spunti per pensare.

Florence Reydellet

La Turchia è fortemente legata alla storia della vitivinicoltura. Sembra che proprio lì sia stata allevata la vite per la prima volta. Tuttavia, ai giorni nostri, l’industria vitivinicola è fortemente penalizzata dalle norme restrittive sulla vendita di alcolici: circostanza, questa, che fa sì che il vino turco occupi uno spazio risibile all’interno della produzione mondiale. Ciononostante, la cultura vitivinicola del paese è in pieno fermento grazie alle nuove generazioni che sono portate a rivalutare le cultivar autoctone. Di questi e di altri temi ha parlato approfonditamente Guido Invernizzi nel corso di una serata in cui sono stati degustati sei vini che ben hanno tratteggiato le caratteristiche salienti della produzione vinicola turca.

La Storia

La vitivinicoltura in Turchia risale al periodo neolitico (dal 8000 a.C. al 3500 a.C.), l’ultimo dei tre periodi dell’Età della pietra. Un periodo di fondamentale importanza nella storia umana in cui si è assistito alla transizione da un’economia di caccia e raccolta a un’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento di bestiame.

Nel prezioso volume intitolato «Ancient Wine: the search for the Origins of Viniculture» (Princeton University Press, 2019), l’archeologo Patrick E. McGovern e l’ampelografo José Vouillamoz affermano che in Anatolia - oggigiorno interamente parte della Turchia - si sarebbe intrapresa la coltivazione dell’uva per la prima volta nella storia. Rimane incerto se la coltivazione della vite sia iniziata in Anatolia orientale, o in Anatolia centrale, e specificamente nella regione che circonda Çatalhöyük, un sito archeologico abitato fin dal neolitico preceramico B e sino al Calcolitico. In tale sito è infatti possibile osservare, sui muri delle case, raffigurazioni di uva e di vasellame, il che suggerisce che il vino fosse una parte centrale della vita degli abitanti in questo periodo e che farebbe quindi credere che la coltivazione sia iniziata proprio là.

Nell’Età del bronzo (dal 3400 a.C. al 1100 a.C. circa), gli Ittiti, gli Assiri e i Frigi concorsero allo sviluppo vitivinicolo nell’antico Vicino Oriente. Furono i primi a sviluppare una vera e propria industria, utilizzando tecniche avanzate di produzione, di conservazione e di commercio del vino. In particolare, svilupparono tecnologie di conservazione che consentivano di mantenere il vino fresco prevenendone l’ossidazione. Si sono poi succedute altre civiltà che contribuirono anch’esse allo sviluppo della viticoltura e della vinificazione in quelli che sono divenuti l’attuale Turchia, ossia l’impero achemenide, il regno ellenistico e i regni romano-barbarici.

Durante l’Impero Ottomano (1299-1922), la produzione di vino conobbe un decadimento per via delle leggi islamiche. Il consumo di alcol continuò ma per un mera ragione economica: le tasse ricavate dalla vendita del vino erano una risorsa rilevante, sì che anche durante questi periodi di proibizione, le vigne non furono sradicate e il vino continuò ad esser consumato tanto dai Cristiani (che lo producevano) quanto (clandestinamente) dai Musulmani. 

L’attualità

Ai giorni nostri, sebbene leggi proibitive siano tuttora in vigore, il consumo di bevande alcoliche è consentito in alcuni luoghi e sotto certe condizioni. Secondo i dati più recenti dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), la Turchia occupa il quinto posto per superficie vitata al mondo (418.000 ha) dopo Spagna, Francia Cina e Italia, il sesto posto nella produzione di uva con 4.100.000 t/anno e ha una produzione di vino che ammonta a 615.000 hl/anno.

Diverse sono le regioni votate alla viticoltura:

  • l’Anatolia centro-meridionale circondata dalle province di Kayseri, Kırşehir, Aksaray, Yozgat e Niğde;
  • l’Anatolia centro-settentrionale composta dalle province di Uşak a ovest e Ankara a nord-est;
  • l’Anatolia centro-orientale con le province di Tokat, Elâzığe Malatya;
  • la regione Egea, di fronte al Mar Egeo e alle isole Greche.

Oltre a queste principali regioni, vi sono ovviamente altre aree minori come Marmara, la piccola regione chiamata Mediterraneo e quella del sud-est.

Quanto alle cultivar, esse sono numerosissime con ben 1074 varietà autoctone. Fra le uve a bacca rossa facciamo presente l’öküzgözü (che significa “occhio di bue” in turco, in riferimento alle dimensioni grandi e tonde dei suoi acini); il boğazkere (“gola nera”, per via del colore scuro delle bacche); il papaskarası (“nero del prete”, poiché storicamente coltivato nei vigneti dei monasteri); il kalecik Karası (“nero dal piccolo castello”); e infine il Merzifon Karası (proveniente dalla città di Merzifon in provincia di Amasya). Fra le uve a bacca bianca, vi sono il narince (“delicato” a sottolineare la fragilità dell’uva) e l’emir (che significa “principe” per indicare la nobiltà del vitigno). Non mancano poi molteplici varietà internazionali quale chardonnay, sauvignon blanc, cabernet sauvignon e merlot.

Benché la Turchia sia uno dei primi paesi al mondo per la coltivazione di uva, a oggi la percentuale di uva trasformata in vino è solamente del 2% all’incirca: il paese produce soprattutto uva da tavola, uva secca e uve destinate a diventare rakı (una bevanda spiritosa all’anice). E ciò, per via delle leggi governative che limitano la vendita in alcune zone e prevedono accise sul vino molto alte rispetto ad altri paesi europei (il che lo rende meno competitivo sul mercato globale). Negli ultimissimi anni, tuttavia, molti sono i produttori determinati che puntano alla qualità e intendono far risaltare la propria terra e le proprie cultivar. A dimostrarlo, la degustazione che segue.

La degustazione

Blanc de Noir Papaskarası 2021 - Arcadia
Paglierino fulgido. In principio è ridotto ma con l’aria avviene un mutamento sbalorditivo: sorge la salvia, un fruttato che rammenta la pesca gialla, poi il biancospino e la ginestra, a rappresentare il floreale. Fragranze che si rinvengono anche al sorso, sapidissimo, persino dal volto roccioso. Invero gradevole l’equilibrio gusto-olfattivo. Un ritratto del Papaskarası da “cucciolo”.
 
Côtes d'Avanos Narince 2021 - Kavaklıdere
Paglierino con sfumature dorate. Ecco un Narince carico di buoni sentori. Emergono a poco a poco il pepe bianco, la vaniglia, il geranio e un profumo a noi sconosciuto. In bocca la freschezza partecipa all’equilibrio, mentre la progressione lascia emergere fieno e legno di cedro. Tutto confluisce a creare un bel vino e, va detto, riuscirebbe a far presa su chiunque.
 
Kalecik Karası 2020 - Vinolus
Veste rubino trasparente con riflessi violacei. Il corredo olfattivo gioca sulla ciliegia rossa, la viola e la salvia. Al palato è una striscia che corre come un filo a piombo: vince la freschezza. Sul finale emerge il pepe nero che riporta subito alla mente la parola “rotundone”, una sostanza volatile che viene rilasciata nel processo di fermentazione dell’uva e conferisce profumi speziati.
 
Versus Alpagut Öküzgözü 2018 - Kayra
Tonalità porpora. Possiede aromi felici (mora di rovo, anice e viola) e un profumo riottoso di cherosene. Un binomio strambo, conflittuale. Quanto al gusto è impervio, silente nel centro bocca. La sapidità plasma il finale assieme al cherosene, che non vuol mollare la presa.
 
Arkeo Merzifon Karası 2018 - Likya
Rubino concentrato. Naso esteso al mondo animato (rosa fresca, mirtillo fresco) e inanimato (pepe nero e tabacco). Il palato è dinamico - anzi, galoppa - e l’antagonismo fra durezze e morbidezze è risolto. Chiude accompagnato da aromi di tabacco.
 
Boğazkere Reserve 2020 - Asarcik
Rubino profondo. L’esordio è dominato dal cioccolato, dalla vaniglia e da sentori terrosi; poi, comincia ad assumere toni di frutta scura matura (prugna e mora). Al gusto rivendica la tannicità e un’opportuna freschezza. Detta un finale vanigliato.
 

È indubbio che vi sia la necessità di diffondere conoscenze riguardo al territorio turco, alla sua storia e al suo şarap, il vino. Grazie a Guido i curiosi si applicheranno a coltivare in ugual misura l’interesse per gli antichi e per i moderni. Intanto, si spera che in futuro la Turchia tornerà a meglio cantare.