Un viaggio nell’autoctono piemontese

Dall’arneis all’erbaluce di Caluso, dal pelaverga piccolo alla barbera: in occasione del banco d’assaggio «I vini del Piemonte on Tour», un’avvincente masterclass sugli autoctoni piemontesi tenutasi presso la sede di AIS Milano e vissuta in compagnia di Massimo Zanichelli.

Florence Reydellet

Un paesaggio collinare punteggiato da castelli arroccati e disseminato di vigne; innanzitutto di vigne. Questo è lo scenario della Langa, del Roero e del Monferrato, territori divenuti Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2014. Con ben 19 DOCG e 44 DOC, il Piemonte è la regione italiana con la più alta percentuale di vini di origine protetta e spicca anche per presenza di vitigni autoctoni. Infatti, come scrive Massimo Zanichelli nel capitolo introduttivo alla regione Piemonte della Guida Vitae 2022, «Affacciarsi sul promontorio del vino piemontese significa gettare uno sguardo su un oceano di autoctoni, capaci di preservare le loro più distintive peculiarità pur assimilando la natura dei diversi terroir dove crescono».

Massimo ZanichelliLanga, Roero, Monferrato; dicevamo. La Langa: una distesa di colline, tra i fiumi Tanaro e Bormida e l’Appennino Ligure, la cui capitale è la città di Alba. Il Monferrato: un territorio percorso dai fiumi Tanaro e Belbo che vanno a est verso il Po, compreso in un quadrilatero che ha come vertici le città di Asti, Casale, Acqui Terme e si spinge fino a Gavi. Infine, il Roero, sulla sponda sinistra del fiume Tanaro: un comprensorio caratterizzato dai ripidi versanti delle Rocche (risultato geologico di erosione indotto dall’episodio cosiddetto «cattura del Tanaro»), da un microclima arido e da un alternarsi di vigneti, frutteti, boschi e incolti.

Degustazione

Ecco allora otto vini da cultivar autoctone sospinte dalla risacca dei secoli; otto vini ottenuti da varietà di elevata caratura che non assomigliano a nessun’altre e destano sempre più interesse.

Roero DOC Arneis Riserva Occhetti 2017 – Poderi Moretti
Fermentazione in tonneau di rovere francese e di acacia
Dalla sponda sinistra del fiume Tanaro, nel cuore di Canale, oltre al nebbiolo si rinviene l’autoctono a bacca bianca arneis. Vitigno antichissimo (la prima menzione risale al 1478), ha rischiato di svanire dalla memoria dell’umanità sullo scorcio degli anni Venti del XX secolo - periodo di per sé fosco per la vitivinicoltura italiana - e dopo gli anni Sessanta, allorché si propendeva per la produzione di vini rossi. È apprezzabile, pertanto, vedere come i viticoltori del Roero abbiano riscoperto il remoto legame con questa varietà, il cui nome significherebbe “personaggio birichino” per via della sua difficile lavorazione. Una cultivar “scapigliata”, dunque, impegnativa da domare, che però dà un vino tutt’altro che scombiccherato.
Paglierino lucente. Inappuntabile il tratto olfattivo che, con note di lime, erbe, pera e ginestra, accompagna suggestioni speziate. A un ingresso pieno - coerente con l’annata - segue poi una beva all’insegna della sapidità. Una cosa che, da queste parti, piace percepire nei bianchi.

Verduno DOC Pelaverga 2020 – Poderi Roset
Vinificazione in acciaio
A destra del fiume Tanaro, Verduno è l’unico paese del territorio della Langa a potersi fregiare dell’autoctono pelaverga piccolo (da non confondersi con il pelaverga grosso, talvolta anche chiamato pelaverga di Pagno): un vitigno anch’esso antichissimo (difatti, le prime note ad esso relative risalgono al 1400) che non sfigura minimamente nei confronti di uve più rinomate e la cui peculiarità risiede nell’indole speziata.
Rosso leggermente granato e di media concentrazione. Fuoriclasse al naso, dove grandeggiano aspetti floreali (pervinca, viola essiccata) e speziati – pepe e chiodi di garofano – seguiti da terra umida e china. Questo il prologo che sembra anticipare una lieta conclusione. Il gusto è grintoso e comprova l’ampiezza olfattiva: esibisce un tannino deciso ma domato, sostenuto da una vitalità fresca. Chiude lungo su ritorni floreali. Insomma, si sente la terra di Langa.

Nizza DOCG Monrubio 2018 – Amerio Vincenzo
Fermentazione in cemento; macerazione di 30 giorni; 16 mesi di maturazione in barrique
Sempre a destra del fiume Tanaro vi è il territorio della DOCG Nizza, il cui disciplinare di produzione prevede l’impiego di sole uve barbera. Benché sia varietà di remota coltivazione, la prima citazione di rilievo si rinviene nella Istruzione sulla coltivazione delle viti e sul metodo migliore di fare e conservare i vini del 1798, scritto del conte Giuseppe Nuvolone Pergamo. Siamo al cospetto di una cultivar che, com’è ben noto, possiede un’acidità pervicace e che, in mancanza di un’adeguata maturazione, regala vini scompigliati e dai tannini irruenti, per quanto non abbia la carica polifenolica di altri vitigni. Epperò, per chi sa padroneggiarla, i vini che ne derivano possono essere lievi - con spirito di briosa gioventù -, così come possono essere più robusti, da invecchiare a lungo, spesso mediante affinamento in rovere.
Rosso rubino con sfumature violacee. Olfatto pungente, acuto, in cui si avvertono sciroppo di granatina, mandorla e spunti speziati, cannella in particolare. Altrettanto penetrante il sorso: è muscolare, dall’etimo acido, purtuttavia morbido nell’incedere. Buon rilancio balsamico nel finale. Un assaggio quanto mai gradevole.

Barbera d’Alba DOCG Superiore Armujan 2019 – Podere Ruggeri Corsini
18 mesi in barrique di diversi passaggi e rovere grande di Slavonia
Non è da meno, in quanto a personalità, la Barbera d’Alba. Occorre notare che il disciplinare di produzione della DOCG prevede la possibilità di impiegare fino a un massimo di 15% di nebbiolo.
Luminoso rosso rubino. Austero ma leggiadro, alterna profumi sottili di elicriso, frutti di bosco e liquirizia ad altri più terragni; un deciso richiamo di grafite, poi. Il palato replica con pari eleganza: l’equilibrio tra alcol e freschezza consente uno sviluppo proporzionato, guidato dalla proverbiale acidità del vitigno (seppur sia meno spiccata rispetto a quella del Nizza) che accompagna un finale sottile. Una Barbera sul cui futuro ci sarebbe da scommettere.

Albugnano DOC Superiore Vanat 2018 – Alle Tre Colline
18 mesi in botti di rovere da 700 litri
Denominazione minuscola di circa 44 ettari, Albugnano prende il nome da una cittadina posta sulla rive gauche del fiume Tanaro, nel Monferrato nord-occidentale ai confini della provincia di Torino. Il territorio è dissimile rispetto al resto del comprensorio: altimetria più elevata (le quote superano i 400 metri s.l.m.), clima più fresco, contesto naturale più boscoso. Un quadro comunque favorevole alle esigenze del nebbiolo, varietà piemontese per antonomasia che, secondo ogni probabilità, origina dalle zone dove viene oggi coltivato: l’Albese e la Langa.
L’azienda Alle Tre Colline appartiene al Progetto 549, il cui obiettivo primario è quello di fornire una personale interpretazione della denominazione Albugnano. I nove soci hanno infatti ideato un protocollo di produzione che prevede la vinificazione di nebbiolo in purezza (mentre la DOC consente fino a un 15% di barbera, freisa e croatina; da sole o congiuntamente) con invecchiamento di 18 mesi in legno e 6 in bottiglia (contro i 6 mesi in botti di rovere del disciplinare).
Rubino di media trasparenza. Naso splendido, cangiante, con una mescolanza di ciclamino, frutti rossi macerati ed erbe, intervallati qua e là dal sottobosco; quindi, venature balsamiche ad aumentare la complessità. Gustativa profonda ma scorrevole: vi è la sinergia fra entità fresche e sapide che conferisce gusto e finezza. Il finale, tutto in accelerazione, chiude ammandorlato. Complessità aromatica e gustativa con l’attitudine a lasciar in disparte la materia.

I vini del Piemonte on TourBarolo DOCG Bussia 2013 – Cantina Moscone
Almeno 30 mesi di maturazione in botti di rovere da 50 hl; un anno minimo in acciaio primadell’imbottigliamento
Ad oggi sono undici i comuni della Langa che rientrano nella DOCG Barolo, denominazione che prevede l’impiego di nebbiolo in purezza. Vi è poi da notare che se le uve utilizzate provengono da un’unica sottozona, quest’ultima può comparire in etichetta come Menzione Geografica Aggiuntiva (le MGA, furono istituite nel 2010).
Delicato nel colore, tende all’aranciato. Inesauribili i marcatori olfattivi: accanto alla consueta impronta di marca floreale, sporgono le radici, qualcosa di affumicato, il vegetale. Tanto vegetale, giacché, rammenta Massimo, «non si cerca il frutto nel nebbiolo. Se si vuole il frutto: c’è il dolcetto. Se si vuole il frutto e l’acidità: c’è la barbera». La progressione gustativa è austera quanto rigorosa con finale balsamico e delineato.

Moscato d’Asti DOCG 2021 - Cerrino
Cultivar fra le più antiche al mondo (già i greci coltivavano l’Anathelicon moschaton), l’aromatico moscato bianco fu probabilmente importato in Italia nel periodo delle Crociate, mentre la prima menzione risale al XIV secolo nel portentoso trattato di agronomia medioevale Opus ruralium commodorum del magistrato bolognese Pietro de’ Crescenzi. Ai giorni nostri, è di gran lunga la varietà a bacca bianca più coltivata in Piemonte e la sua produzione si estende lungo tre province (Alessandria, Asti, Cuneo) e cinquantadue comuni.
Naso altamente didattico, di assoluta probità varietale. La prima olfazione restituisce l’idea di un cespuglio di salvia; sovvengono poi nitidamente la pesca bianca e la ginestra. Bocca di linda pulizia; succosa, slanciata, dolce di frutto. Per farla breve: coniuga semplicità ed eleganza.

Erbaluce di Caluso DOCG Passito 2010 – Tenuta Roletto
Appassimento delle uve per 6 mesi; 36/60 mesi di maturazione in legno in botti di rovere austriaco
da 15/20 hl
Vitigno antico la cui culla d’origine rimane tuttora incerta, benché molte prove suffraghino la provenienza dal territorio dove si estende maggiormente oggi, ovverosia la fascia prealpina della provincia di Torino. La prima descrizione particolareggiata dell’erbaluce risale al 1906 nell’opera di Giovanni Battista Croce, Della eccellenza e diversità de i vini che nella montagna di Torino si fanno, e del modo di farli. Qui vi si legge: «Erbalus è uva bianca così detta, come alba lucente, perché biancheggiando risplende: fa li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio o scorza dura: matura diviene rostita e colorita e si mantiene sulla pianta assai». Descrizione che già fa presagire quanto la cultivar sia adatta all’appassimento.
Luminoso dorato dai toni vivaci, con riflessi ambrati. Ammaliante l’evoluzione olfattiva tra la buccia di mela, il caffè, la vaniglia e note affioranti di affumicato: non ha nulla di esotico, nulla di tropicale; giusto per ribadire il suo legame con il territorio. Il sorso dipinge i tratti della freschezza, mentre sono i ritorni affumicati sopracitati a guidare la beva.

Così si è conclusa la masterclass condotta da Massimo Zanichelli - relatore insieme sagace e appassionato - il quale ha tenuto a rammentare ciò che la terra piemontese custodisce.

Quel giorno eravamo in molti; e il tempo è passato in fretta.