Vesuvio e Campi Flegrei: terre antiche di vini ardenti 

Scopriamo la Campania inedita, in compagnia di Guido Invernizzi, con due territori vinicoli sconosciuti ai più, il Vesuvio e i Campi Flegrei, terre di storia e leggende che vantano vigne antichissime, ancora prima del Sannio e dell’Irpinia.

Raffaella Radaelli

Nella sede di AIS Monza e Brianza aleggia entusiasmo e attaccamento per la Campania, dopo il primo viaggio-studio di marzo 2024 in compagnia di Guido Invernizzi, che ora prosegue idealmente quel viaggio, approfondendo i vini di due zone in fermento e poco acclamate: il Vesuvio e i Campi Flegrei.

La storia

Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C. Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.  Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica. 

La coltivazione della vite e la produzione di vino hanno da sempre caratterizzato la storia dell’area vesuviana, a partire dai primi insediamenti greci di Ischia e Cuma. Tra il I e II sec a.C. l’area vesuviana era inserita nella regione più ricca dell’impero romano, dove si producevano la maggior quantità dei vini dell’Impero e alcuni tra i vini più pregiati del tempo. Il ritrovamento archeologico della Villa Augustea di Somma Vesuviana, costruita intorno al II secolo d.C. e ricoperta dall’eruzione del 472 d.C., ha portato alla luce una tra le più importanti villae rusticae dalla zona vesuviana, il più grande sito di vinificazione dell’antichità a oggi conosciuto.

Il ritrovamento in tale sito archeologico di grandi celle vinarie e di numerosi doli, conosciuti ai più come anfore, utilizzati per la conservazione e il trasporto del vino, sono testimonianza storica della centralità della cultura e del commercio del vino del Vesuvio sin dai tempi più antichi.

“Di Nestore …. la coppa buona a bersi. Ma chi beva da questa coppa, subito quello sarà preso dal desiderio d’amore per Afrodite dalla bella corona”(VIII sec. a.C.)

È questa la traduzione del più antico frammento di poesia greca incisa sulla coppa di Nestore, una piccola coppa, decorata a motivi geometrici, conservata oggi al Museo di Villa Arbusto di Ischia, uno dei reperti di massimo esempio delle relazioni commerciali che l’antica “Pithecusa” - dal greco “phitos” (vaso), isola dei vasai - intratteneva con tutto il Mediterraneo. 

I vini del Vesuvio appartengono a storia recente: è del 1983 la Vesuvio DOC, nel 2007 si costituisce il Consorzio, è del 2015 il riconoscimento dal Ministero, nel 2017 inizia la modifica del disciplinare e la riorganizzazione a base ampelografica.

Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali. 

La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio. I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.

Il suolo vulcanico

Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità. 

Il suolo di natura vulcanica è composto da ben 230 specie di minerali, sabbie nere di ceneri e lapilli e ricco di fosforo, ferro, silicio e soprattutto di potassio. È formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente a opera di acque di scorrimento superficiale.

L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:

  • il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione pliniana del 79 d.C. con esposizione sul versante sud, icona e simbolo della città di Napoli e della regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato. La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
  • Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante nord. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un bosco-giardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.

Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.

Campi Flegrei

I Campi Flegrei sono un'area vulcanica attiva situata ad ovest di Napoli, che include i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e parte della città di Napoli. 

Nel Mesozoico la terra flegrea era alquanto diversa da oggi, si presentava come un ambiente marino a bassa profondità, una piattaforma carbonatica all’interno di un grande oceano.

Il nome Campi Flegrei, dal greco letteralmente "campi ardenti", denota la natura vulcanica dell'area e la presenza di numerose fumarole e acque termali, ben note e sfruttate nell’antichità.

Nella mitologia greca, a Ercole venne attribuita la fondazione di Ercolano, Pompei e Baia e per molti i Campi Flegrei erano il teatro della lotta fra l’eroe e i giganti. Baia, l’antica città romana sommersa, fu citata da Virgilio, Omero, Stazio come luogo di perdizione e del peccato. Goethe scrisse: “Il luogo più prodigioso del mondo tra acque ribollenti, crepacci, montagne di scorie ribelli”. Fu il regno della Sibilla Cumana, descritta da Virgilio nel Libro VI dell’Eneide come leggendaria sacerdotessa con virtù profetiche, ispirata dal Dio Apollo, che viveva in una grotta, tant’è che la scoperta di un antro nei pressi del lago d’Averno hanno portato a tale credenza.

I Campi Flegrei hanno uno scenario impareggiabile di colline e laghi affascinanti come quello d’Averno e Lucrinopanorami meravigliosi, varietà di forme, luminosità del mare, celebrati belvedere e luoghi di grande interesse come la Solfatara di Pozzuoli, le sorgenti termali di Agnano, il Parco degli Astroni, il Monte Nuovo.

A differenza del più noto Vesuvio, i Campi Flegrei non sono caratterizzati da un unico edificio vulcanico principale, ma sono piuttosto un campo vulcanico attivo da più di 80.000 anni, con diversi centri vulcanici situati all'interno e in prossimità di un'area depressa chiamata caldera estesa per 200 km².

La caldera è il risultato del ripetuto sprofondamento di una vasta area provocato dal collasso del tetto del serbatoio magmatico superficiale a seguito dello svuotamento dello stesso per opera di almeno due grandi eruzioni: l'Ignimbrite Campana (40.000 anni) e il Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni). 

L'eruzione dell'Ignimbrite Campana è l'eruzione a più elevata energia conosciuta nel Mediterraneo: con essa un'enorme quantità di cenere è stata dispersa nell'atmosfera, influenzando il clima non solo a livello regionale, ma probabilmente anche a livello mondiale. 

Recenti studi suggeriscono un terzo evento di elevata energia avvenuto 29.000 anni fa: l’eruzione del Tufo di Masseria del Monte. 

In totale nel corso delle tre epoche sono state individuate 70 eruzioni principalmente esplosive.

L’ultima eruzione, avvenuta nel 1538, ha generato il cono di tufo di Monte Nuovo. La caldera dei Campi Flegrei è soggetta a lenta deformazione del suolo nota con il nome locale di bradisismo. Nei periodi 1970-72 e 1982-84 l’area flegrea è stata interessata da crisi bradisismiche in cui il suolo, nell'abitato di Pozzuoli in particolare, ha subito un sollevamento totale massimo di circa 3.5 m. 

La degustazione

Metodo classico “Pietrafumante” Brut Millesimato 2021 – Casa Setaro
Caprettone 100%

Viti a piede franco, storiche, autoctone vesuviane di 25 anni, poste a 350 m s.l.m. a Bosco del Monaco, Trecase e Tirone della Guardia nel Parco Nazionale del Vesuvio.  

Il caprettone è una varietà a bacca bianca che deve probabilmente il suo nome alla particolare forma del grappolo, che può ricordare la barba della capra. È stato riconosciuto solo negli ultimi tempi come vitigno con un suo specifico profilo genetico e produttivo, tipico del Vesuvio. Il grappolo è alquanto serrato, con acini di media dimensione, buccia spessa e di forma ellittica.

Selezione manuale delle uve e successiva criomacerazione, fermentazione a temperatura controllata per 18-24 giorni in acciaio. Affinamento in bottiglia per 36 mesi sui lieviti, sboccatura in primavera del terzo anno della vendemmia.

Bollicine finissime, la vivacità cromatica denota salubrità delle uve e ottima conservazione della bottiglia. Avvicinando il calice al naso, ecco il “leitmotiv” dei vini vesuviani: nota di cerino, sulfurea, pietrosa, poi a seguire sentori di agrume e di pesca, crosta di pane abbrustolito o di fetta biscottata. In bocca entra con ricordi di limone, scorza di cedro e cera, la salivazione è copiosa e l’accento salmastro bilancia il sorso lungo. Un vino eccezionale, da bere da solo per “dissetarsi” oppure accompagnato a dei gamberi o crostacei.

Campi Flegrei DOC “Settevulcani” 2023 – Salvatore Martusciello
Falanghina 100%

Il nome falanghina sembra derivare dal latino “falangae”, sostantivo che si riferisce ai pali che sostenevano la vite, avendo un portamento ampio a ricaduta. Le viti sono allevate come 2.000 anni sulle proprie radici (franco di piede).

Maturazione in acciaio sulle fecce fini per 5 mesi.

Dal colore pieno e caldo, un dorato rosa, color «rosellina» come lo ha scherzosamente definito Guido. Il naso non si smentisce, ondate di acqua sulfurea e termale e l’agrume candito. Inevitabile il confronto con la falanghina beneventana che, al contrario, ha un corredo aromatico più ricco e variegato. All’assaggio il vino si manifesta per salinità e mineralità, ci ritroviamo una bocca polverosa e sulfurea, la salivazione si blocca per la presenza importante dei cloruri, pur riconoscendogli di fondo una buona acidità per straordinaria gioventù.

Catalanesca del Monte Somma IGP “Katà” 2023 – Cantine Olivella
Catalanesca 100%

Cantine Olivella si trova a Sant’Anastasia ai piedi del Monte Somma nel Parco Nazionale del Vesuvio. La zona protetta costituisce l’habitat ideale per la coltivazione della vite a piede franco per utilizzare la tecnica di moltiplicazione per propaggine, tradizionalmente chiamata “pass annanz”: si prende un ramo della pianta, si interra per circa 70 cm. e si asporta un anello di corteccia per creare una cicatrice dalle quali si formeranno le nuove radici. Sarà poi possibile separare il ramo dalla pianta madre e avere così una nuova pianta a piede franco.

Catà è il diminutivo di catalanesca, vitigno proveniente dalla Catalogna, le uve si raccolgono manualmente, si selezionano, si raccoglie il mosto fiore, decantazione a freddo, 5 mesi sulle fecce fini e alcuni mesi di affinamento in bottiglia. Coltivazione biologica con la tecnica del sovescio.

Coltivata sin dall’800, era considerata uva da tavola, solo dal 2006 è stata inserita come uva da vite nella regione campana, insieme al pallagrello bianco e nero. 

Un colore verdolino, piuttosto trasparente, ci rimarca la gioventù. All’olfatto emergono delicati ed eleganti profumi di fiori e frutta, in particolare di agrume, pesca, nespola, albicocca non troppo matura. La nota minerale non ha nulla a che vedere con quelle precedenti così sulfuree, è piuttosto gessosa, mentolata, un mix di erbe aromatiche.

Il sorso ha spessore, piacevolezza, ritroviamo gli stessi profumi al naso con un finale di liquerizia, la marcata sapidità e la minore acidità si destreggiano con equilibrio e leggiadria. Ci aspettiamo con l’evoluzione maggiori sentori di idrocarburi e note affumicate, un vino di grande stupore.

Campi Flegrei DOC “CRUna deLago” 2022 – La Sibilla
Falanghina 100%

La Famiglia Di Meo è custode di antiche vigne inerpicate sulle colline di Baia, fra cui questa vigna di 65 anni d’età, in origine di forma ellittica come la cruna di un ago, grande poco più di un ettaro, ad un’altitudine di circa 30 metri s.l.m. con il sistema di allevamento assolutamente territoriale detto “spalliera puteolana”. 

Maturazione in acciaio sulle fecce fini per 6 mesi e affinamento in bottiglia di un anno. 

Sin dal colore cangiante, verde-giallo-oro e dalla consistenza, si intuisce il carattere di questa falanghina. Un naso decisamente attrattivo, cogliamo la frutta tropicale matura di ananas e mango, a seguire note di agrume candito e non ultimo regna il tratto sulfureo.

Assaggiandolo avvertiamo la pienezza e l’avvolgenza di una mousse al limone, con acidità e salinità salmastra in perfetto equilibrio, un vino che gioca spudoratamente fra la piacevolezza di naso-bocca e bocca-naso, affermando la sua armonia a pieni voti. 

Vesuvio rosato DOP “Ereo” 2023 – Cantine Olivella
Piedirosso, guarnaccia nera, sciascinoso

Frutto dell’assemblaggio di varietà locali quali piedirosso, guarnaccia nera e sciascinoso coltivate su terreni sabbiosi di origine vulcanica all’ombra del Vesuvio. Le piante, allevate a regime biologico a un’altitudine di 600 m. s.l.m. hanno oltre 50 anni di età. Dopo la vendemmia, i grappoli vengono vinificati in rosato attraverso una breve macerazione pellicolare, con la fermentazione alcolica che si realizza in vasche di acciaio inox, stessi contenitori vinari dove la massa resta a maturare per qualche mese fino all’imbottigliamento.

Dal colore vivace e tenue del fiore di pesco, ha un naso delicato floreale di ciclamino e geranio e un fruttato croccante di fragolina di bosco, lampone e mora con una spolverata di cipria. Perfettamente in linea con l’assaggio che aggiunge sentori di erbe aromatiche, liquerizia, un tannino impercettibile e una persistenza che chiude leggermente amaricante. 

Il vino estivo che rinfresca e stuzzica per la sua semplicità straordinaria.

Campi Flegrei DOC “Settevulcani” 2023 – Salvatore Martusciello
Piedirosso 100%

Il piedirosso trova una delle sue migliori espressioni nei Campi Flegrei dove, come la falanghina, è allevato su piede franco. Si tratta di una delle varietà più antiche della Campania citate da Plinio il Vecchio nel suo “Naturalis Historia”. 

Il nome piedirosso o piede di colombo deriva dal colore e dalla forma del raspo che in vendemmia diventando di colore rossastro ricordano i “piedi” del colombo.

Rubino, con sfumature violacee, dotato di una buona trasparenza, esprime al naso note di marasca e ciliegia, fresca, dolce e croccante, offuscate da note sulfuree. In bocca è «buono, cos’altro vuoi aggiungere» osserva Guido, rimarcando la semplicità, l’acidità, la piacevolezza di beva, ideale con una pizza napoletana al pomodoro, mozzarella di bufala e basilico, ottimo con qualsiasi piatto della tradizione campana.

Vesuvio Piedirosso DOC “Fuocoallegro” 2022 – Casa Setaro
Piedirosso 100%

Coltivazione a piede franco a 300 m. s.l.m. a Tirone della Guardia nel Parco Nazionale Vesuvio. Selezione manuale delle uve, diraspatura e criomacerazione fino a 48 ore, fermentazione a temperatura controllata per circa 12 giorni. Maturazione in anfora e botti grandi di rovere francese per 12 mesi, riposa altri 2 mesi in bottiglia.

Un vino simile al precedente nei profumi di fiori e frutti, la cui diversità è data dalla maggiore sensazione di macerazione: gerani e ciclamini, sottobosco, tabacco, spezie e note accentuate vulcaniche. A cui si aggiunge una boccata di aria fresca di erbe essiccate di montagna, rabarbaro. La struttura, la mineralità, la muscolatura sono notevoli. Un vino a regola d’arte, un’interpretazione originale di un vitigno autoctono.

Campania rosso IGT “Marsiliano” 2020 – La Sibilla
Marsigliese 75% + olivella, annarella, calabrese, piedirosso

Maturazione in acciaio per un anno e affinamento in bottiglia per almeno 2 anni.

Scrive il produttore: “un vino nato dalla sperimentazione con la voglia di mettersi alla prova. Un blend di varietà autoctone dimenticate, recuperate e ripiantate per scoprirne le potenzialità. Un vino che nasce rivalutando vitigni considerati da “taglio”, dove la marsigliese, da cui prende il nome, è una varietà tintoria ricca di tannino che viene bilanciato dalle altre varietà che al contempo donano complessità, struttura e persistenza al sorso”. 

Fitto, intenso e complesso, con profumi che evolvono man mano: amarena sotto spirito, tabacco e cacao, erbe aromatiche ed eucalipto. All’assaggio tanta croccantezza e freschezza, note di viola e di ribes, per ora nessun accenno di polvere da sparo, equilibrio e pienezza, un finale persistente di liquerizia.

Non lascia indifferenti il territorio campano del Vesuvio e dei Campi Flegrei, fatto di strana commistione fra acqua e fuoco, dove la bellezza dolce e naturale convive con fenomeni vulcanici violenti e improvvisi. Sono nati vitigni unici al mondo, su un terreno fertile di cenere e lapilli, che ci hanno fatto rivivere, con schiettezza e risolutezza, una terra tanto cupa quanto rosea, intrisa di mito e poesia.