Vini vulcanici: pirotecnia nel calice dal centro della Terra

In compagnia di Bruno Ferrari, un’esplorazione che trae origine dalle profondità del pianeta, per raggiungere luoghi dove i vini sanno incarnare l’identità del territorio.

Mauro Garolfi

Fascino, timore, terrore, rispetto e risorsa. I vulcani hanno sempre rappresentato, nella vita degli uomini, una minaccia, ma anche una possibilità. La loro importanza è ben simboleggiata da Vulcano, antica divinità romana, dio del fuoco che lavorava i metalli. I vulcani sono le manifestazioni più evidenti di fenomeni intensi all’interno della crosta terrestre, che si rivelano con la salita del magma dalle profondità attraverso un condotto e la sua fuoriuscita all’esterno. Si possono sommariamente dividere in due grandi tipologie: quelli dalle eruzioni esplosive e quelli dalle eruzioni effusive.

I primi, dalle pendenze generalmente accentuate, si caratterizzano per magmi ricchi in silice e viscosi; i gas trattenuti si liberano in modo repentino e nelle eruzioni fuoriescono roccia, lapilli e ceneri; esempi sono Stromboli e Vesuvio.

Bruno FerrariI magmi dei secondi invece sono poveri in silice e sono fluidi, le eruzioni vedono la fuoriuscita di grandi quantità di lava e il loro accumulo. Sono vulcani generalmente dalla base ampia e dai versanti poco ripidi; alcuni esempi sono i vulcani hawaiiani. È difficile, però, che un vulcano presenti solo ed esclusivamente un tipo di eruzione: spesso in un vulcano coesistono e si combinano entrambe le tipologie; un esempio è l’Etna, con i suoi diversi crateri.
Sono numerosi, in Italia, i territori su suoli vulcanici in cui si produce vino e il viaggio che Bruno Ferrari ha condotto presso il Polo Tecnologico di Pavia è partito dal più alto vulcano attivo d’Europa, l’Etna. 

Etna

Dopo un’introduzione sulla geologia, sulla formazione e sulle trasformazioni, fino a giungere alla morfologia attuale del vulcano siciliano, ci siamo concentrati sulla viticoltura, antichissima, legata alla presenza dei Greci e che oggi si esprime su circa 3200 ettari, molto parcellizzati. I terrazzamenti, i muretti a secco e le viti coltivate ad alberello contribuiscono a definire un profilo paesaggistico in cui i viticoltori sono veri e propri “giardinieri”, data la varietà di coltivazioni praticate.

Il clima, unico, caratterizzato da venti e da nubi stratificate, con correnti calde provenienti dal mare che si scontrano con quelle fredde dal vulcano, delinea una zona dalle enormi escursioni termiche.

Un dato non trascurabile è l’altissima piovosità in un versante, quello orientale e, in alcuni frangenti, la presenza della neve.

I terreni sono di grandissima complessità, poco fertili e, oltre alle ricche componenti vulcaniche minerali, presentano anche sabbie e argille.

I vitigni più rappresentativi sono l’autoctono carricante - il cui nome rimanda alla grande produttività - a bacca bianca e a maturazione tardiva, che qui si esprime bene in vini dotati di freschezza, sapidità e corpo e, a bacca rossa, il nerello cappuccio, molto impiegato in vinificazione, e il nerello mascalese, diffuso anche in altre zone dell’isola, caratteristico per donare ai vini intensità, tannini e, in questo territorio, struttura e persistenza.

Zona precoce, intermedia e tardiva sono la suddivisione geografica in cui è possibile descrivere i differenti areali della vitivinicoltura etnea, corrispondenti alle diverse altitudini sui versanti del vulcano.

La degustazione

Etna Metodo Classico DOC – Rosé Brut – Sosta Tre Santi 2019 – Cantine Nicosia

Vitigno: nerello mascalese. Terreni: sabbie vulcaniche, minerali. Breve macerazione a freddo, pressatura soffice, resa 50%; fermentazione controllata. 24 mesi sui lieviti. Affinamento di 6 mesi in bottiglia.

Rosa cipria acceso e vivace. Naso intenso con accenni di viola, fruttato di arancia e amarena, pesca gialla, poi erbe aromatiche, salvia e timo, lievi note balsamiche e soffusi sentori speziati e una marcata e invitante nota minerale. Aromi salini e una viva freschezza ne definiscono il sorso, in cui si percepisce anche una nota alcolica apprezzabile; una discreta morbidezza equilibra le durezze in un quadro di eleganza e finezza generali; aromi delicati di ribes rosso e stuzzicanti erbe aromatiche completano un profilo in cui permangono una certa sapidità e un’elegante persistenza.

Abbinamento consigliato: risotto con bisque ai gamberi.

Il produttore è Cantine Nicosia, storica attività avviata a fine Ottocento da Francesco Nicosia, che ha visto nuovi impianti e una modernizzazione della cantina ad inizio anni 2000 e che ha sede a Trecastagni, località in cui i tre santi (da cui il nome del vino), Alfio, Cirino e Filadelfio (dei quali Bruno Ferrari ha brevemente raccontato la storia) vengono venerati.

Soave

Ci spostiamo in Veneto, nella zona di Soave, in provincia di Verona, dove è presente un vigneto di 6000 ettari adagiato su dolci colline e caratterizzato da grandi escursioni termiche e terreni di matrice differente: da quelli completamente calcarei presenti nella zona occidentale - calcari grigi e rosa e calcari marnosi in valli con profonde incisioni “a gradoni” - a quelli invece totalmente vulcanici della zona orientale - depositi vulcanici affioranti con rilevanti spessori.

Pergola veronese e guyot sono le forme di allevamento di riferimento e garganega e trebbiano di Soave i vitigni rappresentativi.

La garganega si presenta in due tipologie: garganega comune e garganegona, quest’ultima ormai quasi scomparsa. I vini da garganega in questo territorio si caratterizzano generalmente per freschezza, sapidità, equilibrio e persistenza oltre alla mineralità da pietra focaia all’olfatto.

La degustazione

Soave Classico DOC – Monte Carbonare 2020 – Suavia

Vitigno: garganega. Terreni vulcanici a tessitura argillosa. Vendemmia manuale, pressatura soffice. Fermentazione a temperatura controllata; un’unica filtrazione a membrana. Affinamento di 6 mesi in bottiglia.

Luminoso paglierino con riflessi verdolini e qualche nuance dorata, consistente. All’olfatto emergono fiori bianchi, gelsomino e note di camomilla, quindi frutta, pesca bianca e gialla, sentori agrumati di pompelmo e cedro, poi ananas e papaia, profumi di erbe aromatiche che rimandano a salvia e timo, leggeri effluvi mielati e una piccola speziatura di vaniglia; il profumo minerale di pietra focaia è evidente.
Freschezza e sapidità in bocca, con una morbidezza che dona equilibrio e aromi di pesca bianca e di erbe aromatiche, elegante persistenza.

Abbinamento consigliato: crostini con baccalà mantecato.

Il produttore Suavia - antico nome del castello di Soave – è in capo alla famiglia Tessari, agricoltori dall’Ottocento, che ha rinnovato l’azienda negli anni ’80 del Novecento. Giovanni e Rosetta hanno affidato oggi la gestione completa alle figlie.

Castelli Romani

Il viaggio continua nell’Italia centrale, nella zona dei Castelli Romani, cuore pulsante della viticoltura laziale, dove il clima mite, la presenza dei laghi di origine vulcanica, il mar Tirreno e il vento “ponentino” si combinano con terreni vulcanici (derivati dal preistorico grande vulcano laziale), con alcuni sedimenti calcarei e argillosi, dando vita a un territorio unico.

Zona dalla grande storia, tra imperatori, principi e papi, in cui la cultura del vino è ben radicata, trova nelle malvasie, di candia aromatica e puntinata, i suoi vitigni di riferimento.

Oggi un altro vitigno, il fiano, che ha in Campania, in Irpinia in particolare, la sua zona d’elezione, ma che è coltivato anche nel Beneventano e nel Cilento, oltre che fuori regione, in Basilicata e in Puglia, è in grado di regalare espressioni di alto livello qualitativo anche in questo territorio.

Freschezza, sapidità, buona morbidezza e persistenza, oltre a un intenso e ricco bouquet olfattivo, in cui si fa strada una mineralità che ricorda la pietra focaia, sono le caratteristiche attese.

La degustazione

Lazio IGP bianco – Colle dei Marmi 2018 – Le Rose

Vitigno: fiano. Terreni interamente vulcanici. Fermentazione a temperatura controllata in inox e botti grandi di legno. Maturazione in cemento e botti grandi. Affinamento di 1 anno in bottiglia.

Lucente, vivace, dorato acceso e consistente. Profumi di fiori gialli, camomilla, frutta matura, pesca gialla, albicocca, papaia e mango; progredisce su timo e lavanda, speziatura dolce di vaniglia, poi pepe bianco e una morbida nota minerale. Assaggio che esprime un equilibrato bilanciamento di sapidità e morbidezza, con significativi aromi di pepe bianco ed albicocca; di piacevole masticabilità e pronunciata persistenza.  

Abbinamento consigliato: rana pescatrice in salsa allo zafferano e limone.

Il produttore ha forte orientamento al biologico e sta dando impulso a un nuovo concetto dei vini dei Castelli Romani, anche con la coltivazione di vitigni non autoctoni, come appunto il fiano e il francese petit manseng.

Orvieto

Il viaggio insieme prosegue non distante: raggiungiamo Orvieto, in Umbria, areale storico per la vitivinicoltura, presente qui già ai tempi degli Etruschi.

A testimoniare l’importanza e la reputazione del vino di Orvieto, si ricorda che era il vino preferito da diversi papi, tra cui Paolo III Farnese, e che il pittore Luca Signorelli, per affrescare il duomo, chiedeva, come compenso, vino bianco di Orvieto. I terreni sono vulcanico calcarei e sabbioso argillosi.

Il grechetto è il vitigno tipico della zona, in due cloni diversi, grechetto di Todi (gentile) e grechetto di Orvieto (grechetto). Il grechetto, non facile da coltivare, un po’ “rustico”, se ben vinificato è in grado di raggiungere alti livelli qualitativi, caratterizzati da una certa complessità olfattiva – in cui, su determinati terreni, può emergere la mineralità che rimanda alla pietra focaia - e da struttura, sapidità, freschezza e morbidezza.

La degustazione

Civitella d’Agliano IGT – Poggio della Costa 2021 – Tenute Sergio Mottura

Vitigno: grechetto. Terreni vulcanici e argillosi. Pressatura soffice, raffreddamento, flocculazione. Fermentazione a temperatura controllata. Maturazione in acciaio inox. Affinamento in bottiglia.

Dorato lucente e consistente. All’olfatto è intenso, di fiori bianchi, sambuco, poi ginestra; elegante fruttato di cedro, pesca bianca, mela, mandorla, pesca noce e una nota minerale che richiama il gesso. Emergono poi salvia e timo. Al sorso si rivelano una decisa salinità, una morbidezza presente, aromi di erbe aromatiche e rimandi gessosi, di agrumi e di pesca gialla. Potente e dalla persistenza significativa. 

Abbinamento consigliato: lasagne asparagi e salmone.

Azienda storica, modernizzata a più riprese, privilegia i vitigni autoctoni e la selezione naturale dei cloni, in un ambiente incontaminato. Ha visto la collaborazione di Sergio Mottura con Louis Fabrice Latour, storica figura della Borgogna del vino, scomparso recentemente, che negli anni Novanta del secolo scorso propose a Mottura, per il Poggio della Costa, l’impiego della barrique, favorendone il raggiungimento di ottimi risultati e riconoscimenti.

Irpinia

Ci spostiamo in Irpinia, nella zona di Taurasi, per scoprire il territorio insieme con il vitigno aglianico.

Si tratta di una varietà di vite antichissima, di origine greca, dai diversi biotipi con caratteristiche differenti: si definisce pertanto come un vitigno “popolazione”, una famiglia di vitigni. 

Ha saputo diffondersi, nelle sue varietà, in Campania - nell’Avellinese, nel Casertano e nel Beneventano - e in Basilicata - nella zona del Vulture. 

Ha la caratteristica di dare in genere vini dalla notevole complessità olfattiva e dalle grandi struttura, intensità e persistenza.

La vitivinicoltura nell’area di Taurasi pare abbia origini gallo-celtiche; l’alberata taurasina, tipica forma di coltivazione ancora presente in alcune zone, proviene proprio dai Celti e dai Liguri.

I terreni a Taurasi sono differenziati e si possono suddividere in quattro grandi tipologie: arenarie e marne; sabbie e conglomerati; argilla e argilla calcarea; depositi alluvionali e lacustri, che portano in genere a ritrovare caratteristiche diverse nel calice.

La degustazione

Taurasi DOCG – Santandrea 2016 – Vinosia

Vitigno: aglianico. Terreni vulcanici con substrati calcarei e argillosi. Vendemmia manuale ad inizio novembre. Macerazione per circa 12 giorni. Fermentazione a temperatura controllata, starter di lieviti autoctoni. Malolattica in botti di rovere. Maturazione di 14 mesi in barrique di rovere francese.

Impenetrabile rubino consistente. Naso intenso ed elegante di frutto rosso fresco, poi confetture di prugne e di ciliegie, rosa e pepe nero; tabacco, cannella, una nota di liquirizia e un gradevole sentore di grafite ne completano il profilo olfattivo. Al gusto freschezza e tannino in evidenza, dal grande potenziale evolutivo.

Abbinamento consigliato: tortelli al ragù di capriolo.

Azienda dalla storia familiare centenaria ricostituita dalla terza generazione con la figura di Luciano Ercolino.

Montefiascone

L’ultima tappa di questo viaggio in Italia seguendo la traccia dei vulcani è la Tuscia, in particolare Montefiascone. Siamo nel Lazio, sul lago di Bolsena, il lago vulcanico più esteso d’Italia. Questo specchio d’acqua, generatosi in una vasta depressione per sprofondamento da materiale eruttato, è senza emissari e sulle sue coste è presente una vegetazione rigogliosa.

Montefiascone, a 600 metri slm, sul colle più alto dei Monti Vulsini, si trova in posizione strategica sulla Via Francigena e si caratterizza per escursioni termiche, ventilazione e terreni vulcanici, componenti che contribuiscono a renderlo un terroir unico.

Famosissimo qui è il vino chiamato Est! Est!! Est!!! e si ricorda come questo nome, secondo un aneddoto, nacque nel Medioevo, quando Martino, coppiere del vescovo Defuk, che accompagnava Enrico V di Germania, incaricato di indicare quali osterie disponessero di vino di qualità, si sbilanciò, qui a Montefiascone, non con una sola menzione (Est!), bensì con tre, ad indicare che lì si trovava del vino particolarmente buono.

Pare che poi, nei suoi ultimi anni di vita, Defuk si ritirò proprio a Montefiascone, dove morì, sembra proprio a causa di quel vino.

La zona è particolarmente vocata, date le sue condizioni climatiche, anche per la produzione di vini botritizzati da grechetto e trebbiano (procanico), cioè ottenuti da uve che hanno subìto un attacco di muffa nobile (botrytis cinerea). Una vendemmia in più passaggi, pressature successive, fermentazioni lente e lo scorrere del tempo che avvolge e accarezza il riposo del vino permettono di raggiungere grandi risultati nel calice. In questo modo, generalmente, a colori che vanno dal dorato all’ambrato e a una grande e tipica complessità olfattiva che spazia dagli agrumi, alla frutta tropicale, ai fiori appassiti, alla frutta secca e allo zafferano, si accompagnano in genere morbidezza, freschezza, sapidità, equilibrio e persistenza.

La degustazione

Lazio IGP passito – Le Muffe – Antica Cantina Leonardi

Vitigni: procanico 50%, chardonnay 50%. Terreni vulcanici di medio impasto a 450 m slm. Vendemmia manuale a novembre; raccolta a più passaggi con selezione dei grappoli botritizzati. Leggera pigiatura, pressatura soffice, fermentazione a 17°C. Maturazione in acciaio.

Brillante ambrato di viva lucentezza, consistente. All’olfatto si rivela subito intenso, con note di frutta secca, uva passa e amaretto. Evolve su miele, albicocca disidratata, marzapane, frutta candita e zafferano. Sorso che si caratterizza per freschezza e sapidità più che morbidezza, con aromi di zafferano e miele. Snello e di viva gradevolezza.

Abbinamento consigliato: capesante con foie gras e parmigiano.

L’azienda, nata ad inizio Novecento, è alla quarta generazione e può essere considerata un’“ambasciatrice” del tipico Est! Est!! Est!!! .