Vinovagando arriva in Campania: falanghina e fiano alla prova del tempo

Se è vero che il tempo è il movimento dal passato al futuro passando per il presente, Davide Gilioli mette alla prova Falanghina e Fiano di millesimi più vecchi rispetto alle annate in commercio. Obiettivo: smantellare i luoghi comuni e lasciarsi sorprendere dalla sorprendente tenuta di questi vini.

Sara Missaglia

Falanghina e fiano: uve a bacca bianca, figlie di una terra talmente ricca e profonda da presentare una molteplicità di sfumature vitivinicole. Vitigni iconici della regione ma anche del nostro Paese che, probabilmente per un fatto di consuetudine e di attitudine culturale, danno vini che vengono consumati nella stessa annata di produzione, o comunque entro breve. I vini selezionati per la serata di Vinovagando ci faranno vivere, invece, un viaggio lungo dieci anni: la bellezza della degustazione del vino è proprio quella di non accontentarsi dei luoghi comuni e lanciare sfide, non tanto per vincerle quanto per provare a guardare le cose da un altro punto di vista. Qualcuno dice che il tempo non va misurato in ore e minuti ma in “trasformazioni”: osservare l'evoluzione di un vino è quindi qualcosa di sorprendente e spesso non prevedibile.

La storia della regione Campania parte da lontano: è molto probabile che la vite arrivò sulla terra ferma da Ischia, in occasione della fondazione della città di Cuma, nei Campi Flegrei. A Greci ed Etruschi fa capo, infatti, un patrimonio vitivinicolo che ha radici profonde: Sofocle, nel V secolo a.C., definiva la regione «terra prediletta da Bacco». Una storia intrecciata con il vulcano, il Vesuvio, che rende distintivo un sottosuolo rappresentato da un vero e proprio patchwork geologico, dalle marne alla sabbia, dal calcare al tufo. Sono moltissime le varietà di uve oggi registrate, alcune molto antiche: ad esempio il pallagrello bianco e il pallagrello nero, serviti sin dal Settecento alle corte dei nobili. Federico IV di Borbone fu forse il primo inventore di un Vinitaly ante litteram in territorio campano: creò la cosiddetta “vigna a ventaglio”, un vigneto modello, nel territorio di San Leucio. Il sovrano era infatti molto appassionato di tecniche agronomiche e botaniche e, grazie alla collaborazione di Luigi Vanvitelli, architetto della Reggia di Caserta e molto vicino ai regnanti, sfruttò la particolare conformazione del terreno per creare una vigna a forma di ventaglio, composta da dieci spicchi. All'interno venivano allevate diverse tipologie di uve, con l'obiettivo di individuare quale fosse la più espressiva. Ogni spicchio era contraddistinto da una lapide di travertino che ne indicava la tipologia e la varietà. Oggi, tra i vitigni autoctoni, il più diffuso è la falanghina, seguita da greco, fiano, coda di volpe, biancolella, forastera, caprettone, catalanesca, fenile, ginestra, ripoli, pepella. Tra i rossi il più diffuso è l’aglianico (28%), a cui fa seguito camaiola (in precedenza chiamata barbera del Sannio), piedirosso, pallagrello nero, casavecchia, sciascinoso, aglianicone, guarnaccia nera.

Se pensiamo alla Campania immaginiamo il mare, ma in realtà il territorio è prevalentemente collinare, con il 34,6% rappresentato da una viticoltura di montagna: nella produzione abbiamo una leggera prevalenza di uve a bacca nera, il 53%, e uve bianche per il restante 47%, con quattro DOCG e 15 DOC. La Campania si divide in tre macrozone: la prima zona è quella delle pianure costiere, con terreni sciolti, alluvionali e con tratti di origine vulcanica. La seconda fascia è pedecollinare, con terreni alluvionali di matrice calcareo-tufacea, mentre l’ultima è quella appenninica/irpina, con terreni scistosi e calcareo-argilloso, caratterizzata da elevata escursione termica tra il giorno e la notte.

La falanghina

È un’uva coltivata già ai tempi dei Romani: il nome sembra derivare da “falanga”, il palo utilizzato per mantenere i tralci nell'impianto tipico dei Campi Flegrei, oggi trasformato in spalliera: era una modalità di allevamento impiegata in epoca romana. Il grappolo è medio piccolo, alato, piramidale, compatto, con un acino di piccole dimensioni. La maturazione è medio-tardiva, caratterizzata da bassa vigoria ed elevata acidità che supera sovente i 10 g/L. La falanghina predilige i climi caldi e secchi. Viene allevata nella zona sabbiosa dei Campi Flegrei, asciugata dai venti del mare, e nel Sannio, intorno al Monte Taburno, dove la piovosità è molto limitata. È molto sensibile agli attacchi degli agenti patogeni fungini e non ama le precipitazioni. Ha un colore giallo paglierino scarico, con un naso che ricorda fiori gialli come la camomilla e la ginestra, e la frutta è a polpa gialla e tropicale, ananas e mango in primis. In bocca è caratterizzata da una sensibile acidità, da medio corpo e da un finale di frutta bianca acidulata che ricorda la mela e la pesca bianca.

Il fiano

È presente prevalentemente in Irpinia: il nome deriva da apianum, ovvero che piace alle api: quando l'uva è matura ha infatti note molto dolci che attirano le api. Il grappolo è piccolo, allungato, compatto, con buccia spessa; sopporta molto bene le altitudini e i climi freddi con escursioni termiche importanti. Il profumo è caratterizzato da note di fiori bianchi come il tiglio e l’acacia, e dà frutti come la pesca bianca e la pera. Il colore è giallo paglierino di media intensità: la bocca presenta un'eleganza sopraffina, con grande equilibrio tra acidità e morbidezza, e un finale che richiama mandorla, nocciola e castagna.

La degustazione

Falanghina del Sannio DOC 2017 - La Fortezza
Colorazione dorata molto luminosa, vino che ha sicuramente una bella consistenza. Al naso la quota floreale di fiori gialli è piuttosto importante: camomilla, ginestra, fiori dolci di campo. La parte fruttata ricorda invece la pesca gialla, quasi sciroppata, con una certa maturità. La nota tropicale è quasi sussurrata, con ricordi di ananas fresco. Il naso rivela sensazioni di mineralità calcarea, con una nota di talco, gessosa, e una leggera evidenza eterea verso la fine, con un inizio di frutta secca e mallo di noce. Naso piacevole, elegante. Il sorso è secco, e, a livello di alcolicità e di morbidezza, è piacevole. Marcata acidità e grande calore: la quota alcolica è piuttosto importante, con una buona rotondità.

Falanghina del Sannio DOC 2016 – Rossovermiglio
Dorato intenso vivo con una bella luminosità. Naso più vegetale, più verde, meno pulito del precedente, con la nota floreale che sembra virare verso l’appassimento. Nota verde leggermente fermentativa. Fiore di tarassaco, erbaceo, seguito dalle note fruttate di pesca sciroppata: l’ananas è maturo, con ricordi di mango e papaya che danno sensazioni tra l’aspro e il dolce. Noce sul finale e mandorla secca amara. Parte eterea più pungente: naso che tradisce una maggiore evoluzione. In bocca appare invece più fresco, pulito, pimpante rispetto all’esame olfattivo. Bella freschezza con un’acidità più integrata rispetto al vino precedente, con una piacevole avvolgenza. Più equilibrato e amalgamato, ottima sapidità da terreni con una buona base calcarea.


Falanghina del Sannio DOP Kissòs 2012 - Cantine Tora
Colore molto intenso, dorato pieno con riflessi quasi ambrati. Raccolta leggermente tardiva da vigne vecchie. Naso molto pulito, bella freschezza: il frutto spinge su una nota eterea finale, con una parte di rabarbaro e note di radici. Bocca ben bilanciata, acidità integra, con struttura, morbidezza e acidità in piena sintonia. Un vino molto equilibrato e coerente con il vitigno.

Campania Fiano IGP Paóne 2014 - Cantina del Barone
Colore più scarico rispetto ai campioni precedenti, ma dotato di intensa lucentezza. Al naso gelsomino, acacia, tiglio, pesca bianca, pera williams, miele millefiori, con evidenze di calcare, pietra focaia e note fumé. In bocca la morbidezza è data dall’effetto glicerico, con sensazioni cerate e leggermente foderanti il palato. Questo Fiano è intenso e di lunga memoria, con un finale che ci porta alla frutta di maggiore acidità, come la pesca bianca leggermente acidula, la nocciola tostata, la mandorla e la frutta secca. Nota da cialda del wafer, quasi cremoso in bocca.

Fiano di Avellino DOCG Pietramara 2015 - I Favati
Naso più aperto rispetto al precedente, con una parte di fiore e di frutto che ricorda la mela golden matura; vegetale linfatico, con una quota importante minerale, gessosa, con note di talco. Erbe aromatiche, ricordi mediterranei di timo e maggiorana. Il naso è molto elegante e in bocca il vino sembra essere un passo avanti rispetto al calice precedente. Rimane la sua acidità, ma il sorso si gonfia, crea volume, esattamente come in un’orchestra, dove sentiamo tutti gli strumenti senza un solista che prevalga. Chiusura tra nocciola, mandorla, castagna bollita e una leggera speziatura da pepe bianco.

Fiano di Avellino DOCG Alimata 2013 - Villa Raiano
Al naso note lattiche da yogurt greco e miele, evidenze che rimandano all’idrocarburo da riesling e a note tartufate. Affiora con eleganza la parte vulcanica con note di polvere da sparo. In bocca ha struttura e potenza. Intensità e persistenza infinite, grande piacevolezza e pienezza sul finale.

I vini non solo affrontano l’età dotati di un potente anti-aging, ma cambiano nei calici con il passare dei minuti, regalandoci di continuo nuove sensazioni: nulla di scontato, una degustazione che incanta per eleganza e gradimento. Il vino danza, sembra non volersi fermare: resta ciò che è, ma porta alla luce sempre qualcosa di nuovo, regalando benessere e senso di infinito.