Vinovagando fa tappa in Abruzzo: viticoltura autentica, schietta e di carattere
Una serata di grande approfondimento per scoprire i vini di una regione dalle grandi potenzialità, ma ancora poco conosciuta e valorizzata come meriterebbe. L’Abruzzo sotto la lente di ingrandimento del sommelier e relatore Gabriele Merlo.
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Un territorio sconosciuto ai più. Una cultura agreste che da tempi gira attorno alla pastorizia, l’olivo e la vite. Dei paesaggi di ineffabile bellezza in mezzo a paesini sonnacchiosi. È l’Abruzzo, 10.800 km² ubicati fra l’Appenino centrale a sud-ovest e il medio Adriatico a est. E lì, in mezzo alle cime e il mare, vi è la collina dove da tempi immemori si coltiva la vite. E non è un caso se già nel 216 a.C. Polibio menzionò, nelle sue Storie, i vini abruzzesi nello scrivere della vittoria di Annibale a Canne.
Eppure, ci vorrà ancor tempo affinché la regione possa ricoprire un ruolo più definito nello scacchiere enologico italiano. Sul suo conto corre una nomea poco gloriosa, vuoi perché autoproduzione e autoconsumo hanno sempre prevalso, vuoi perché si sono a lungo privilegiate produzioni imperniate sulla logica quantitativa a scapito della qualità. E malgrado l’inversione di marcia a fine del Ventesimo secolo per merito di un manipolo di piccoli produttori consapevoli che cercano di valorizzare il loro territorio, la maggior parte dei vini abruzzesi non hanno ancora raggiunto livelli di eccellenza. Un vero peccato, considerando la vocazione del territorio.
La produzione regionale si estende per ben 32.000 ettari lungo tutte e quattro le provincie: la prima che s’incontra partendo da meridione è l’Aquila. Poco sopra troviamo Pescara, poi Chieti (quest’ultima maggiormente produttiva in termini di ettari ed ettolitri per via dell’attività di grandi cooperative) e infine Teramo. Negli ultimi anni, il comprensorio ha visto incrementare i suoi numeri. Ai giorni nostri l’Abruzzo produce 3,3 milioni di ettolitri l’anno - di cui 2,6 milioni di ettolitri di rosso -, ossia il 6,1% del vino prodotto in Italia.
Il comprensorio è scandito da una tripartizione pedologica. Dapprima, la fascia occidentale, montuosa: lì vi sono rocce calcaree e carbonatiche con fenomeni carsici. Nella parte centrale e nell’Aquilano, invece, ritroviamo bacini di origine marina e lacustre costituiti da calcari e arenarie con residui organici (quelli del Liri, del Salto, del Fucino, di Sulmona e quelli del Piano delle Cinquemiglia). Infine la fascia collinare meridionale che si compone di arenarie, argilla e calcare. Quanto al clima, esso è mediterraneo sulla costa e sub-litoraneo sulle colline, con vive escursioni termiche dovute alla presenza delle montagne e del mare. Queste peculiarità geologiche e climatologiche concorrono dunque alla produzione di bianchi saporiti e di rossi vigorosi.
Qualche parola sull’ampelografia abruzzese. Fortunatamente, sono i vitigni autoctoni a governare la regione. Il ruolo principale è coperto dalle varietà a bacca bianca (70%). A far la parte del leone il trebbiano toscano e il più vernacolare trebbiano abruzzese (una volta confuso con il bombino bianco), la passerina (il cui nome si deve ai passeri che si cibano dei suoi acini) e il pecorino; vi è poi l’apporto della cococciola, del montonico e dell’internazionale chardonnay, per citare i principali. Quanto alle varietà a bacca rossa, l’autoctono di riferimento è il montepulciano, la cui principale area di produzione è quella di Teramo: un vitigno vigoroso, robusto, resistente alle fitopatologie e al freddo. Può generare vini anonimi oppure vini rustici. Ma può anche regalare vini più curati, lontani dall’essere massicci e iperalcolici. Le caratteristiche dell’uva si attagliano anche alla vinificazione in rosato: il Cerasuolo d’Abruzzo, dal colore più intenso di molti altri della tipologia (per via della cospicua componente tannica del vitigno) presenta sovente profumi floreali e una sapidità persino salmastra. Positivo fermento sul fronte degli autoctoni è la rivalutazione del montonico, oggi interpretato in chiave sia ferma sia spumantizzata. Ritroviamo, naturalmente, anche il sangiovese (immancabile in qualsiasi regione dell’Italia centrale) e gli alloctoni merlot e cabernet sauvignon.
Un po’ di enografia, infine. In Abruzzo vi sono due DOCG. La prima, Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane (istituita nel 2003), prevede l’impiego di un minimo di 90% di montepulciano e un massimo di 10% di sangiovese; copre 31 comuni e si suddivide in due areali: la Val Vibrata a nord, che regala vini potenti e tannici e la Valle del Vomàno al centro, che offre vini più levigati. Più a settentrione, si trova, poi, la più piccola DOCG italiana varata nel 2019: Tullum (anche chiamata Terre Tollesi) estesa sul solo comune di Tollo. Contempla quattro tipologie: Passerina, Pecorino, Rosso (montepulciano min 95%) e Spumante (chardonnay min 60%). Il comprensorio vanta anche sette DOC: Montepulciano d’Abruzzo (con le sue cinque sottozone), Trebbiano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo, Controguerra, Ortona, Villamagna e Abruzzo. Tutte DOC dalle dimensioni a dir poco contrastate: si spazia dalla microscopica zona del Controguerra (in Provincia di Teramo) alla denominazione di ricaduta Abruzzo, estesa a ogni luogo e dalle innumerevoli tipologie.
La degustazione
Terre di Chieti IGP Passerina 2018 - Azienda Vinicola Sordi
Giallo paglierino chiaro. Tutti i profumi sono connessi fra di loro e non sono affatto isolati: fiori di ginestra, erba appena falciata, ortica, zafferano e qualcosa che rammenta la torba. Di frutto ben poco. Il sorso presenta un buon equilibrio sebbene latiti un po’ quanto a dinamicità. Ottima invece la chiusura, pulita, con ricordi fioriti.
Colline Pescaresi IGT Pecorino 2017 – Tenuta Secolo IX
Limpida veste paglierina. Quadro olfattivo incentrato sul fiore (mimosa) e sentori verdi (erbe di campo). Il pepe bianco e un frutto tropicale di ananas (si specifica: fresco), poi. Bocca bilanciata in tutto. È rotonda e al contempo sapida e fresca con ottima progressione verso un finale ammandorlato. La dimostrazione di quanto sia assennato aspettare qualche anno prima di stappare grandi bianchi.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 2018 - Fattoria La Valentina
Paglierino con accenni dorati. I descrittori sono pochi (un floreale di geranio, la salvia e po’ di pompelmo), ma questo esiguo numero non reca minimamente disturbo alla qualità olfattiva. Al gusto è scattante, supportato da eccellente freschezza e finale agrumato. Un buon vino per accedere a momenti di gioia.
Trebbiano d’Abruzzo DOC Castellum Vetus 2007 – Centorame
Curioso colore zabaione. È provato; l’invecchiamento non gli rende giustizia. I profumi sono difficili da districare per via dell’ossidazione. Si riesce a individuare la torba, il malto e l’albicocca secca (ma come stesse cercando di farsi strada attraverso una giungla). Al palato la dotazione alcolica preme e compromette le altre componenti. Lunga, tuttavia, la persistenza con un retrogusto torbato.
Montepulciano d’Abruzzo DOC 2015 - Nicola di Sipio
Intensità olfattiva immediata eppure indefinita. Con l’attesa compaiono legno, cacao e una nota di peperone arrostito. Sorso dall’alcol imperante. Chiude lungo su un punto interrogativo.
Montepulciano d’Abruzzo DOC Riserva 2015 - Cantina Frentana
Rosso rubino trasparente con unghia granata. Tutto è chiaro ma niente è immobile. In principio vince la solarità del frutto. Poi giungono caffè, pepe nero e geranio. L’assaggio non disincanta: la freschezza torna utile per bilanciare alcol e tannini. Finale persino sapido. Il tempo non lo ha intaccato.
Dalla degustazione condotta da Gabriele è parso che la regione stia vivendo uno dei momenti chiave della sua storia vitivinicola. La lungimiranza di alcuni vignaioli, l’applicazione di pratiche sostenibili, la valorizzazione dei vecchi impianti, la preservazione degli autoctoni e il minor interventismo in cantina, potrebbero permettere un giorno all’Abruzzo di affrancarsi dal suo passato.