Vinovagando: il Barolo, non solo per i re
«Vinum regum, rex vinorum». Così si presenta il Barolo, il vino dei re e re dei vini. Una tra le denominazioni da nebbiolo in purezza più famose nel mondo, testimonianza di eccellenza del nostro Made in Italy. Con Francesco Ferrari abbiamo “Vinovagato” lungo la Langa: nel gioco di parole tutto il ritmo della bellissima serata.
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Un territorio straordinario e riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dal 2014, in crescita sia come gradimento sia come superficie vitata e produzione, sostanzialmente raddoppiate dal 1997: oggi si registrano 2.258 ettari dedicati alla DOCG per circa 14,2 milioni di bottiglie, secondo l’ultima rilevazione del 2022. Sono 170 le MGA – Menzioni Geografiche Aggiuntive – dedicate esclusivamente al nebbiolo: un numero quasi impressionante per indicare le molteplici sfumature del territorio di Langa, dove il vitigno storico, nobile, difficile, esigente e caratterizzato da un lungo ciclo vegetativo ha trovato il luogo di elezione.
Alla domanda sulle ragioni per cui ritenga il nebbiolo un vitigno così importante, Francesco Ferrari, relatore esperto di questi luoghi con il cuore diviso tra Piemonte e Toscana, risponde in maniera molto chiara: «esprime e non domina il territorio e le annate. Il tannino del nebbiolo è una di quelle cose per cui vale la pena di vivere: se perfetto regala emozioni uniche». Il nebbiolo è raro, a differenza di un altro celebre vitigno, il pinot nero, che con i suoi 110.000 ettari vitati nel mondo è ben più presente: ne conta solo 6.200 ettari circa in tutto il pianeta Terra, che danno la misura dello straordinario potere che ha di scegliere dove esprimere il meglio di sé.
Al di là di alcune porzioni vitate in Valle d’Aosta e in Sardegna (il nebiolo, con una “b” sola) e dei 900 ettari circa in Valtellina, è in Piemonte che, tra Langhe e Roero con oltre 5.100 ettari, il vitigno ha trovato “casa”. Sono proprio le marne argillose calcaree piemontesi a rappresentare la componente geologica ideale, così come i porfidi vulcanici e le rocce di disfacimento granitico, sempre presenti nel territorio: il nebbiolo decide dove esprimere il meglio di sé e sceglie i sottosuoli che reputa più idonei. Una sorta di antropizzazione del nebbiolo, con un carattere complesso e a tratti capriccioso, insolente e presuntuoso, ma con un piglio decisamente aristocratico, accogliente ed elegante.
Nel 1787 Thomas Jefferson, il terzo Presidente degli Stati Uniti, assaggiò a Torino vini da nebbiolo e li definì «dolci come il vino vellutato di Madera, astringenti sul palato come i vini di Bordeaux e vivaci come lo champagne». È chiaro che il Nebbiolo di allora era quanto meno abboccato e frizzante, secondo una modalità di vinificazione e tipologia che non hanno nulla a che fare con il Nebbiolo di oggi. La sua storia è legata indissolubilmente alla Marchesa di Barolo Juliette Colbert Falletti, moglie del Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo: per sfida o per orgoglio, così caparbiamente convinta dell’eccellenza prodotta dalle tenute di famiglia, per un “assaggio” inviò in dono 325 botti di Barolo al Re Carlo Alberto di Savoia, uno per ogni giorno dell’anno, ad eccezione dei quaranta giorni di Quaresima. Il Sovrano era venuto a conoscenza del prezioso nettare, che si diceva fosse corposo e strutturato, e ne desiderava un “modesto assaggio”. In realtà si trattò di una straordinaria operazione di marketing: all’ingresso di Torino sfilarono, lungo via Nizza che punta dritta in piazza Castello, i carri che portavano le carrà, le botti piatte e allungate utilizzate all’epoca per il trasporto, ognuna proveniente da una vigna della Marchesa.
Nel 1909 viene delimitata la zona di produzione e tra il 1927 e il 1934 nasce il Consorzio per la Difesa del Barolo e del Barbaresco. La grande rinascita di questo vino, che aveva profondamente risentito dell’abbandono durante due conflitti mondiali, avviene negli anni ’80 del Novecento: nasce il concetto di enoturismo, con la trasformazione di un territorio che produceva vino in un luogo accogliente e importante anche dal punto di vista turistico. Gli anni ‘80 sono la generazione dei giovani emergenti che hanno non solo studiato, ma che hanno iniziato a viaggiare, e la forbice comportamentale e mentale tra i tradizionalisti e i cosiddetti Barolo Boys, segnò la fine di un’epoca e la nascita del concetto di Barolo moderno. Con i Barolo Boys si iniziò a parlare di macerazioni brevi, anche di soli cinque o sette giorni, e di un’estrazione di tannini meno aggressivi, godibili più rapidamente. L’utilizzo della barrique, che ha uno spessore di 2,5 cm rispetto ai 7 cm della botte grande, cambiò anche il rapporto con il legno, uno strumento i cui impatti dipendono naturalmente da come viene utilizzato.
Oggi, il Barolo viene prodotto in undici comuni in provincia di Cuneo con vitigno nebbiolo in purezza. Prevede un affinamento minimo di tre anni, cinque per le riserve, dei quali almeno 18 mesi in legno. La Denominazione consente la Menzione Vigna. Tra i comuni che presentano la maggiore superficie vitata si annovera La Morra, Monforte d’Alba e Serralunga d’Alba. Il Comune de La Morra conta il maggior numero di MGA, trentanove.
Quando parliamo di Barolo, facciamo riferimento a territori e a sottosuoli tra loro molto diversi: nel periodo Serravalliano, che risale a 12-11 milioni di anni fa, si depositarono strati di sedimenti trasportati dai fiumi che le correnti spingevano al largo. Oggi restano abbondanti tracce di limo, marne e sabbie compattate in pietra di Langa. Tra i 10 e gli 8 milioni di anni fa abbiamo il periodo Tortoniano: le zolle tettoniche si avvicinarono, il mare diventò meno profondo e i materiali depositatosi sono più fini, con strati di limo sottili misti ad argille e a sabbia. Da qui le famose Marne di Sant’Agata Fossili. Nel periodo Tortoniano che invece risale a 9,3 milioni di anni fa, si generarono grandi frane sottomarine presso la scarpata continentale che portarono strati di sabbia grossolana, che oggi rappresentano le Arenarie di Diano. E ancora: la vena gessosa del periodo Messiniano di 6 milioni di anni fa, piuttosto che la Formazione di Cassano Spinola che risale a 5 milioni di anni fa nel periodo Messiniano superiore, in cui si formarono paludi salmastre meno salate, con depositi di sabbie non marine. Un vero e proprio patchwork geologico, che rende questo suolo ricchissimo di sfumature.
Il colore dei suoli è un’altra caratteristica della zona del Barolo: i suoli bianchi sono giovani, quindi più simili alla roccia madre sottostante, presenti solitamente sui pendii ripidi, caratterizzati da una eccellente capacità drenante e ricchi di calcare. I terreni rossi sono invece quelli più antichi, evoluti, trasformati rispetto alla roccia madre. Solitamente sono presenti sui versanti più dolci, e danno origine a suoli più fertili e ricchi di argille con maggiore ritenzione idrica.
La degustazione
Barolo DOCG San Giovanni 2020 - Gianfranco Alessandria
Il naso si presenta con maggiore finezza ed eleganza rispetto alla potenza. Il frutto è presente, croccante e polposo, con rimandi a ribes rossi e un tappeto floreale di rosa canina. È giocato sul cesello, con una nota speziata da noce moscata. Corteccia e liquirizia sul finale. Al palato è morbido, tannico ma non aggressivo. È un vino che chiama la beva, molto vocato al frutto, che rimanda a un sorso goloso. Un vino semplice ma non banale, molto decifrabile e di chiara attrattiva. 24 mesi in barrique di rovere francese e 10 mesi di affinamento in bottiglia non hanno sopito la sua piacevole grinta.
Barolo DOCG Coste di Rose 2018 – G.D. Vajra
In questo caso arriva il fiore prima della frutta, lavanda e viola. Il frutto è più maturo e dolce. La viola ricorda la nota pastiglia Leone alla violetta. La spezia è più dolce: si tratta di un vino più compiuto rispetto al precedente: un’annata giocata più di finezza che di potenza. In bocca ha un’ottima rotondità, con sensazioni agrumate da chinotto e un’eccellente persistenza.
Barolo DOCG 2015 – Oddero
Il naso è più scuro e autunnale, molto fine, con una intensità di profumi legati alla frutta scura: mirtillo, mora di rovo e fiori come l’iris e la viola. Note di rabarbaro e di tamarindo, per un vino che ci porta verso tonalità più scure, dopo un affinamento di 30 mesi in botte grande. È un naso più austero e profondo, il cui sorso è tuttavia dotato di ottima freschezza. In bocca sembra essere il più fresco dei tre sino a questo punto assaggiati. Qualche sbuffo anche di spezie esotiche, di agrume confit, con un tannino grintoso e un finale che ricorda la liquirizia su uno sfondo di piacevole freschezza.
Barolo DOCG Villero 2018 - Livia Fontana
Elegante e nitido, ha un profumo accogliente ed elegante al tempo stesso: erbe aromatiche, macchia mediterranea, nota agrumata di arancia sanguinella. L’affinamento è di 40 mesi in botte grande. Il frutto è polposo, croccante, carnoso e maturo, con una leggera sfumatura di etereo. È una bocca potente, ma la mano è delicata. Intense sono le note mediterranee di garrigue, con una speziatura infinita e un fiore su uno sfondo di grafite.
Barolo DOCG Ravera 2019 – Cogno
Rispetto ai precedenti si propone con una nota balsamica mentolata leggermente dolce, e con note vegetali che rimandano ad erbe aromatiche. Florealità piacevoli per una bocca dotata di ottima freschezza e con una perfetta corrispondenza naso-bocca. Giovane, scalpitante ed energetico, ha una lunghissima memoria. L’affinamento è di 20 mesi in botte grande e di 12 mesi in bottiglia.
Barolo DOCG Ravera 2013 – Cogno
La tonalità cromatica vira su nuance scure e profonde. Il frutto rimanda alla gelatina di ribes, al melograno e alla mora con una nota eterea. Aghi di pino, per un naso piacevole e ampio. In retro-olfattiva tornano importanti sensazioni dolci di liquirizia, con un ricordo di china e di erbe officinali. Il tannino è perfettamente integrato, piacevole, elegante e ricamato. Più austero rispetto ai precedenti, ma con una capacità di tenere il tempo di rara bellezza.
La serata si chiude con una degustazione che ha soddisfatto non solo tutti i partecipanti, ma il relatore stesso, che ha da subito dichiarato il proprio amore per il vitigno: una dichiarazione carbonara e di parte, autentica e motivata anche dalle proprie origini: la terra non mente mai, ma in questo caso nemmeno il cuore.