Wine and cheese. I formaggi a latte crudo e il terroir

Il ciclo di incontri condotti da Maria Rita Olivas questa volta mette al centro la Valle d’Aosta e il Piemonte. Obiettivo: raccontare il terroir attraverso i formaggi. La loro particolare lavorazione riesce infatti a conservare un patrimonio microbiologico originario, evocativo dei luoghi dove vengono prodotti.

Sara Missaglia

L’ingresso in sala è un abbraccio sensoriale: nell’aria i formaggi sottoposti al taglio dai colleghi del servizio fanno già sentire la loro presenza con un effluvio di profumi: acquolina dei sensi e tanta curiosità. La mission di Maria Rita più che una sfida è un’indagine. Anzi, più che un’indagine è una raccolta di prove: i formaggi a latte crudo sono in grado di interpretare il terroir meglio di altre tipologie. Sono alimenti vivi: il latte crudo non subisce infatti alcun trattamento termico al di sopra dei 40 °C: quando esce dalla mammella della lattifera è intorno ai 37 °C e riesce quindi a conservare un corredo originario che lo lega fortemente all’ambiente.

Maria Rita OlivasIl formaggio a latte crudo contiene i terpeni tipici del territorio, ovvero sostanze aromatiche che dal latte passano al formaggio. Esattamente come accade per i vini, nei formaggi riusciamo infatti a sentire i prati, i pascoli, il fieno con cui sono stati alimentati gli animali. Dal punto di vista qualitativo sono prodotti dai notevoli benefici nutrizionali, con un apporto nutraceutico importante, dalle vitamine A, B2, B6, C, D, gli acidi grassi omega-3 e omega-6, e i molti sali minerali.

Il latte crudo ha la straordinaria caratteristica di essere diverso e unico a ogni mungitura, in funzione di quello che mangiano le lattifere: vacche, capre e pecore. In principio, ci racconta Maria Rita, prima dell’avvento della pastorizzazione con Louis Pasteur del 1886, il formaggio era ottenuto esclusivamente da latte crudo. La caseificazione avveniva con fermenti autoctoni, preservando la biodiversità di ogni caseificio. Dall’allevamento alla mungitura per arrivare alla caseificazione, le caratteristiche di artigianalità e di filiera corta erano distintive a partire dal III millennio a.C.. La pastorizzazione ha invece dato il via a un processo industriale: il latte pastorizzato, infatti, non fermenta e per la caseificazione devono essere aggiunti fermenti selezionati.

Il dilemma del consumatore

Scegliere un prodotto a latte crudo, che può presentare una carica batterica potenzialmente nociva ma con benefici nutrizionali e proprietà organolettiche uniche, oppure affidarsi a un prodotto pastorizzato, apparentemente più sicuro? In realtà, spiega Maria Rita, si tratta di un falso problema, perché durante la caseificazione i batteri lattici svolgono un’azione predominante: con l’apporto di sale e con una stagionatura eventuale oltre i 60 giorni, vengono eliminati i rischi di carica batterica nociva. Ecco quindi abbattuti pregiudizi e mis-informazione. Il Regolamento CE 853/2004 ha normato la produzione di formaggi a latte crudo, definendo un perimetro per la sicurezza e la salute del latte.

In primo luogo, importantissime sono le condizioni di salute delle lattifere: il latte crudo e i prodotti lattiero-caseari devono provenire da animali in buone condizioni generali di salute, senza sintomi di malattie infettive trasmissibili agli esseri umani tramite il latte. Il Regolamento definisce inoltre la carica batterica del latte che, se inferiore al minimo consentito, prevede una etichettatura specifica legata al latte crudo e, se invece è superiore, impone una stagionatura obbligatoria di almeno 60 giorni. Il Regolamento definisce anche i requisiti di lavorazione, come gli standard per locali e attrezzature con condizioni igieniche idonee durante la mungitura, la raccolta e il trasporto del latte e analisi preventive e capillari svolte su tutta la filiera di approvvigionamento.

Il microbiota del latte

Responsabile della caratterizzazione dei formaggi, il microbiota del latte dipende dal tipo di lattifera, dall’alimentazione e dalle condizioni di salute degli animali, dall’ambiente pedoclimatico e da quello di caseificazione. Importante è la posizione di prati, pascoli e coltivazioni con suolo, altitudine e microclima a giocare un ruolo fondamentale. Pascoli, prati stabili e foraggi di qualità favoriscono la complessità aromatica dei formaggi.

Il latte crudo presenta oltre centocinquanta specie diverse di batteri, che comportano una qualificazione e una diversificazione del microbiota del latte. Sulla produzione qualitativa impatta inoltre la tecnica casearia, associata a una cultura che parte dal rispetto dell’ambiente e della comunità.

Le DOP italiane solo a latte crudo

Su 55 DOP, 26 disciplinano il latte crudo: tra queste il Castelmagno, la Fontina e la Robiola di Roccaverano, alcuni dei prodotti che degusteremo. Nelle DOP a latte crudo il racconto è sempre riferito al territorio: si tratta di una matrice a tante entrate dove le razze storiche, la filiera corta (dove il latte viene lavorato dopo ogni mungitura oppure con mungiture consecutive), l’alimentazione degli animali con essenze foraggere locali come graminacee, leguminose, piante aromatiche e officinali, e la totale assenza di fermenti aggiunti - sostituiti eventualmente da innesti autoctoni o autoprodotti - sono elementi di garanzia qualitativa.

La degustazione

Primo abbinamento

La Robiola di Roccaverano si presenta con un colore candido, a testimonianza del fatto che si tratta di solo latte di capra. L’areale di produzione è riferito ad Asti e Alessandria: qui le capre si arrampicano al pascolo tra piccoli arbusti e vengono tenute libere dalla primavera sino all’autunno. Durante i mesi invernali vengono ricoverate nelle stalle, dove è garantito il loro benessere. Il Disciplinare è molto rigido e prevede due mungiture consecutive. Le razze sono la camoscio alpina e diversi incroci. L’alimentazione avviene con foraggi verdi affienati e la razione è almeno per l’80% della zona di produzione; è inoltre vietato l’utilizzo di latte proveniente da allevamenti senza terra. Il vino proposto in abbinamento è uno spumante Metodo Classico Alta Langa DOCG Oudeis 2019 di Ettore Serafino, 85% pinot nero e 15% chardonnay, con un riposo sur lie di circa 40 mesi. L’area di provenienza delle uve ricomprende l’areale disciplinato dalla DOP Robiola di Roccaverano.  Lo spumante, che non ha effettuato la malolattica, presenta un residuo zuccherino di 6 g/L. Dal colore dorato, ha bollicine fini e persistenti con sensazioni al naso floreali e fruttate di pesca nettarina. Al palato l’agilità della bollicina è molto evidente: si coglie il corpo del pinot nero bilanciato dall’eleganza dello chardonnay. La robiola regala sensazioni olfattive di nocciola, con parti vegetali di pascolo, e ricordi animali. La tendenza dolce del formaggio è bilanciata dallo spumante: la bollicina deterge la bocca e la morbidezza del vino stempera la parte acidula del latte di capra: il sorso regge l’aromaticità della robiola anche se sul finale il sentore animale torna in maniera importante. Il vino ha comunque corpo e persistenza per reggere questo formaggio. L’abbinamento è riuscito, ci viene voglia di riprovarlo.

Secondo abbinamento

Il formaggio proposto in degustazione è una Fontina d’alpeggio. Le lattifere sono di razza valdostana, la pezzata rossa, nera, castana e i loro incroci. Si tratta di un latte crudo intero, proveniente da una sola mungitura. La filiera è corta: la lavorazione avviene nello stesso luogo di mungitura con la consegna del latte al caseificio entro due ore. L’alimentazione è in alpeggio durante il periodo estivo e al pascolo durante quello autunnale e primaverile. Il foraggio deve essere coltivato senza l’uso di fertilizzanti o concimi chimici e almeno il 60% della razione secca deve provenire da territorio montano della Valle d’Aosta, privo di insilati. La stagionatura avviene prevalentemente in grotte a temperatura e umidità naturali. Il vino proposto in abbinamento è un Valle d’Aosta DOC Petite Arvine Vigna Devin Ros 2019 di Les Crêtes, dal colore giallo dorato e con note floreali intense, di mimosa e ginestra, e sensazioni al naso quasi mediterranee, frutta matura da pesca gialla e sbuffi di frutta tropicale: melone, papaya e note agrumate di cedro. La bocca è dotata di una vena acido-sapida che tende ad allargarsi: un vino bianco di corpo che rimane nove mesi sur lie. È perfetto in abbinamento: nel formaggio al palato si avvertono erbe aromatiche, erba sfalciata, burro fuso e note di frutta secca, con ricordi animali. La potenza del formaggio rende molto gradevole il vino che deterge la bocca con la quota sapida: viene voglia di ripetere l’assaggio, per via del perfetto bilanciamento delle sensazioni saporifere e tattili del vino e del formaggio.

Terzo abbinamento

Il Bettelmatt viene prodotto solo in sette alpeggi della Val Formazza tra i 1800 e il 2400 metri s.l.m., tra fine giugno e inizio settembre. Sono alpeggi con identiche caratteristiche di erbe, latte, tecniche di produzione e tradizioni peculiari propri della cultura Walser, una comunità di origine germanica che abita le regioni alpine del massiccio del Monte Rosa. Già nella marchiatura del formaggio sono contenute tutte quelle che sono le sue caratteristiche: il profilo della montagna, la stella alpina, un sentiero tra i monti. Si tratta di latte crudo intero proveniente da una sola mungitura, da lattifere prevalentemente di razza bovina. È dotato di un aroma caratteristico legato alle varietà stagionali della flora, come l’erba mutellina o la festuca. Il vino in abbinamento è una Barbera Nizza DOCG Cipressi 2020 di Michele Chiarlo, da uve provenienti dai comuni di Castelnuovo Calcea e di Mombercelli in provincia di Asti. La fermentazione avviene in acciaio, con circa 12 giorni di macerazione, malolattica svolta, maturazione di 12 mesi in botte grande seguita da un affinamento di 6 mesi in bottiglia. Il vino al naso ha sensazioni floreali di rosa, di spezie agrumate, di note fresche balsamiche e di frutta rossa croccante. Una bocca succosa, dotata di una bella acidità, con un’ottima avvolgenza. Un vino dotato di dinamismo e di persistenza. Le sensazioni al naso del formaggio sono quasi da tisana, da infuso di erbe: se al naso si sente il pascolo, in bocca il Bettelmatt è esplosivo. Con questo formaggio è necessario un accostamento a un vino importante. La Barbera di Chiarlo peraltro sembra anche funzionare con il formaggio precedente, la Fontina, dove siamo sul medesimo livello di intensità gusto-olfattiva e di persistenza.

Quarto abbinamento

Il formaggio proposto in degustazione è un Castelmagno d’alpeggio, di due anni. Si tratta di latte di vacca crudo con eventuali aggiunte di latte ovino e/o caprino. Sono previste fino a quattro mungiture. L’alimentazione è sempre da foraggi verdi o affienati da prato, pascolo e fieno. La stagionatura avviene prevalentemente in grotte a temperatura e umidità naturali, o comunque in locali in grado di replicare queste condizioni ambientali. Gli alpeggi sono definiti sostenibili: per ogni appezzamento sono infatti determinate le quantità massime di latte prodotto per animale. Il formaggio si presenta di colore giallo, con pasta friabile e granulosa, con sentori al naso che ricordano la frutta secca, la noce, le verdure bollite. In bocca ha un’incredibile consistenza: eleganza e grassezza, ma mantiene solubilità ed è molto persistente, con un finale che rimanda alla castagna. Il vino in abbinamento è il Barolo DOCG Parafada 2017 di Cantina Palladino, uve nebbiolo in purezza con sosta di 24 mesi in botti grandi di rovere e 12 mesi in bottiglia. Il vino è dotato di grande eleganza, con sensazioni di erbe aromatiche, timo e rosmarino, ricordi di corteccia, spezie fresche come il cardamomo, sbuffi di arancia sanguinella e di sandalo. Un vero ensamble perfettamente integrato, così come il tannino, setificato. Oltre al Castelmagno, il Barolo sembra essere in perfetta comunione anche con il Bettelmatt, dove il vino arriva a detergere perfettamente la parte di grassezza.

Quattro storie casearie e vinicole magistralmente raccontate da Maria Rita, che chiude la serata sottolineando la dimensione artigianale della produzione dei formaggi degustati e l’importanza del benessere animale e della biodiversità territoriale.  In questi formaggi i tre elementi “ambiente, animali e uomo” sono perfettamente in equilibrio fra loro. Ma alla fine il bello è che, per citare Maria Rita, «sono anche buonissimi!».

Non potevamo chiedere più.