Prontuario minimo sul Trentodoc. Dagli albori al giorno d'oggi, come è cambiato lo stile produttivo
Racconti dalle delegazioni
15 gennaio 2025

AIS Monza dedica due intense e bellissime serate di approfondimento al Trentodoc con Roberto Anesi, ambasciatore del Metodo Classico trentino e Miglior Sommelier d'Italia 2017: un viaggio tra territori, tendenze, stili e vitigni, con 22 assaggi d'eccezione. Seconda parte.
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Il territorio, la storia
Il Trentino è una regione piuttosto piccola: ha una superficie di 6207 km² ed è abitato da 545.000 abitanti, il 70% del territorio supera i 1000 metri di altitudine ed è costellato da 297 laghi di origine glaciale - fattore che ha influito fortemente sulla formazione dei terreni -, vede la presenza di 93 cime sopra i 3000 metri, il che significa escursioni termiche importanti, venti freddi e un influsso montano costante. Il 30% del territorio è protetto da parchi naturali e, curiosità, il numero di alberi è pari a 5000 per abitante - l’attenzione e la tutela all’ambiente è sempre stata un elemento importante del territorio, basti pensare che il "Protocollo d'intesa" viticolo Trentino, che disciplina la difesa e i prodotti fitosanitari utilizzabili è attivo dagli anni Novanta.
Tutto questo rende la viticoltura trentina una vera viticoltura di montagna, caratterizzata da escursioni termiche fondamentali, e da un elemento spesso sottovalutato: la variabilità dell’esposizione del vigneto, che oltre all’altitudine e al terreno influenza tantissimo la maturità e la condizione di crescita delle uve. In montagna l’esposizione cambia moltissimo, anche di metro in metro, proprio per le numerose sfaccettature della superficie irregolare.
Oggi il Trentino vede una produzione che al 78% è di uve a bacca bianca, ma non è sempre stato così: negli anni Settanta l’80% era di uve a bacca rossa e andando ancora più indietro, all’impero austroungarico, risulta una percentuale ancora maggiore di uve a bacca rossa; la zona era infatti deputata a produrre marzemino e teroldego, i vini rossi delle corti asburgiche.
Il passaggio verso le uve a bacca bianca comincia negli anni ‘70 e prende il via negli anni ‘90. E introduce i vini spumanti grazie alla figura di Giulio Ferrari, che dopo aver frequentato la Scuola reale di agricoltura di San Michele all’Adige fu scelto e mandato ad arricchire la sua esperienza enologica a Montpellier, a Geisenheim e nella Champagne. In quei luoghi capisce le potenzialità dell’altitudine per la vite e nel 1902 inizia l’attività di produzione del Metodo Classico.
Nel 1993 nasce la Doc Trento, una delle prime Doc specifiche per vini prodotti con Metodo Classico (in contemporanea nasce anche la Do Cava).
Vale la pena mettere in chiaro la differenza tra Doc Trento e Trentodoc: la prima è la denominazione ufficiale di origine controllata per i vini spumanti metodo classico prodotti nella provincia di Trento, con il sottostante disciplinare che ne determina tutto il processo di produzione; il secondo invece è un Istituto nato nel 2007 per promuovere le bollicine trentine, al quale i produttori si iscrivono volontariamente e che oggi vede la presenza di 67 produttori e di 220 etichette. Per amore di chiarezza quindi: tutti i Trentodoc appartengono alla Doc Trento, ma non tutti i produttori di Doc Trento usano il marchio Trentodoc.
Stili produttivi, tradizioni, tendenze e novità
Dopo la presa di spuma, sempre attuata con lieviti selezionati, il Trentodoc si presta a lunghe soste sui lieviti, si può tranquillamente affermare che, insieme al territorio e alla tradizione di 130 anni, l’affinamento è uno degli elementi cardine della tipologia. Le lunghe soste sui lieviti in Trentino sono così importanti che spesso i vignaioli hanno problemi di spazio, dapprima infatti non era previsto che il vino riposasse così a lungo - si era previsto un affinamento di 24 mesi -, poi però si è rivelata una scelta vincente, a livello gusto olfattivo, quella di aspettare, e così ora il vignaiolo si trova con magari cinque o sei annate in affinamento.
Il primo affinamento durevole nasce per cause di forza maggiore: la guerra. Ferrari per proteggere il vino costruisce una parete e scappa da Trento, torna quattro anni dopo, finita la guerra, la casa non era stata bombardata, recupera le bottiglie e nell’assaggiarle trova un netto miglioramento: capisce così quanto è importante lasciare che i lieviti compiano il loro lavoro.
Il legno non è il migliore amico del Trentodoc, non viene mai fatto un uso importante di questo materiale, che al contrario viene usato con parsimonia o con l'uso di legni esausti. La funzione del legno è togliere qualche spigolo ed eventualmente arricchire il bouquet aromatico.
Per quanto riguarda i vini di riserva va detto che in Trentino non si è mai fatto, non c’è la tradizione (anche se qualcuno sta facendo delle prove), non c’è lo spazio e forse l’uniformità gusto olfattiva non è l’elemento primario che si è ricercato finora nel vino. Il nuovo chef de cave di Ferrari, al contrario delle tendenze generali, sta puntando molto sull’uso dei vini di riserva, perché possono portare complessità nonché correggere qualcosa dell’annata. Da disciplinare i vini di riserva sono ammessi fino al 15 %, attualmente nessuno si è spinto a tale uso. Quando si parla di Riserva, nei vini trentini, si parla solitamente di lunghi affinamenti e di uso del legno o uso di annate di riserva nella cuvée.
Il dosaggio è un aspetto determinante del vino, in passato si tendeva a dosare di più (a volte tanto da uniformare i vini), attualmente i dosaggi sono poco invadenti e ridotti al minimo, si ha più consapevolezza dell’importanza della maturità delle uve e la base malica nei Trentodoc è elevata quindi, anche se il dosaggio medio è 4g/l, i dosaggi incidono poco sul gusto finale.
Vigneto singolo: il trentino ha 10.200 ettari vitati e 7500 viticoltori, la proprietà media è molto frammentata, è poco superiore all’ettaro. All’interno di questi 10.200 ettari, il 60% è controllato da Cavit, cooperativa di secondo livello che ingloba altre 12 cooperative.
Questa grande frammentazione rende difficile avere vigneti grandi abbastanza da farne un vino da vigneto singolo, un esempio è quello della Riserva del Fondatore, di Ferrari.
Negli ultimi anni sono arrivati in regione produttori da altre regioni (Elena Walch, Foradori Hofstätter) che hanno acquistato un insieme di ettari, forse quindi in futuro ci saranno vini da singola vigna.
Vini affinati sott’acqua (underwater wines): secondo il relatore sono più interessanti la narrazione dell’affinamento e la bellezza della bottiglia, impreziosita dalle conchiglie al riemergere, più che l’effettivo beneficio dell’affinamento sott’acqua. In Trentino ci sono due realtà: la cantina Romanese, che affina nel lago di Levico, e la cantina sociale di Riva del Garda che porta i vini a 45 m sott’acqua. I possibili benefici riguardano la costanza della temperatura, l’oscurità, l’isolamento dall’ossigeno e il movimento dell’acqua, che culla le bottiglie e tiene in movimento la parte dei lieviti.
Sboccature lontane: in questo periodo si sta lavorando per proporre sul mercato un prodotto già ricco e interessante, al massimo della sua espressione, quindi si degorgia e si riporta in cantina, rilasciando il vino a due anni dalla sboccatura.
Giovani produttori: uno dei trend che si possono notare nel mondo del Trentodoc è la presenza di nuove aziende guidate da giovani, si tratta spesso di aziende orientate alla sola produzione dello spumante trentino e non alla produzione di diversi vini tra cui il Trentodoc. Negli ultimi anni chi si è avvicinato al mondo della bollicina l’ha fatto spesso con piccole produzioni molto focalizzate sull’idea di produrre solo la bollicina. Anche a livello di preparazione, Anesi ritrova una grande preparazione ed esperienza in questi e queste “giovani”, spesso si tratta di vignaioli che hanno alle spalle già varie esperienze viticole ed enologiche all’estero e studi di alto livello.
Trentodoc Cuvée n.8 Extra brut 2019 - Etyssa
100% chardonnay, altitudine 500 m s.l.m., terreno calcareo a scheletro medio, affinamento 50% in acciaio, 50% tonneau e barrique, 36 mesi sui lieviti, malolattica svolta.
Ci delizia con un giallo tenue e non troppo intenso, l’incipit odoroso è fruttato di pesca a polpa bianca,susina, ananas. Suggestioni di pepe bianco e pane appena sfornato, erbe balsamiche, un accenno di nocciola e ricordi salmastri. Al palato ci piace soprattutto per la sapidità, la bollicina è fine e i retro aromi rimandano alla polvere di gesso e tostature, non manca un finale, molto apprezzato, di zenzero candito.
Trentodoc Flavio Riserva 2015 - Rotari
100% chardonnay, altitudine 600 m s.l.m., terreno argilloso e porfirico, affinamento 60% in acciaio e 40% in barrique, 96 mesi sui lieviti, malolattica svolta.
Quasi oro, notevole l’aspetto terso e pieno. Esordisce con tonalità esotiche e tropicali, poi le spezie, il pepe bianco, il cioccolato, suggestioni di crema al pistacchio. Ridondanze di burro salato, un accenno iodato, sensazioni di uva passa, di pasticceria da forno, di fiori gialli. Il frutto presente è maturo nei rintocchi di mela cotta, poi panforte, anice stellato, di nuovo bignè alla crema, ginestra. In bocca è potente, deciso, avvolgente ma secco e asciutto nel finale. Quasi metallico all’inizio, ha un’acidità molto importante, va aspettato nel calice, la bollicina ha bisogno di un attimo per stabilizzarsi; una volta fatto il vino comincia a dare, dare, dare.
Trentodoc Brut Rosé Riserva Collezione Luciano Lunelli 2009 - Abate Nero
60% pinot nero, 40% chardonnay, altitudine 600 m s.l.m., terreno fertile di medio impasto, affinamento in acciaio per sei mesi, 144 mesi sui lieviti, sboccatura 6/10/22.
Per noi questa si rivela essere la sorpresa della serata, poche le bottiglie realizzate. È un Rosé fuori dai canoni, di colore rosa tenue, quasi verso tonalità ramate, un oro ramato. Il profilo olfattivo è articolato, coerente e ricchissimo: parte con l’agrume, arancia e pompelmo dapprima, poi il fiore d’ibisco, note di timo e rosmarino. Fiori secchi preludono a ricordi di confetti di nozze, alla farina di segale, al finocchietto appena tagliato, al bergamotto che s’allarga e vira verso la marmellata di agrumi. Tornano suggestioni di pane nero, di mandarino, di marzapane. È un naso che ci porta via, che apre e muta gli scenari lasciandoci stupefatti. Al palato non delude nonostante le aspettative, arrivati a questo punto, siano altissime! Aromi fruttati, un ritmo vivace ed energico, un gusto che rilancia, che non si siede mai, dinamico, fresco, saporito, con un finale che richiama il confetto e una lunghezza sfiziosa e piena.
Trentodoc Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2012
100% chardonnay, altitudine 600 m s.l.m., terreno a scheletro prevalente, sabbioso e con presenza di ghiaia e argilla, vigneto di Maso Pianizza (15 ettari di viti molto vecchie, attualmente arricchite da altri 5 ha), affinamento in acciaio, 120 mesi sui lieviti, malolattica svolta.
Un vino che nasce nel 1972 per volere di Mario Lunelli, che lo produce e lo nasconde fino al 1982, e a quel punto lo fa assaggiare ai suoi fratelli, che apprezzano e danno il via al “Giulio Ferrari”. Colore acceso, bellissimo, oro, bollicina piccolina e briosa. Al naso di nuovo la nota salina, polvere d’ostrica, poi arriva il frutto, l’albicocca, la pesca gialla. C’è una parte balsamica, una ventata di freschezza, di lenzuola stese al sole. Cenni fungini, torrone alle mandorle e pistacchi, note di autolisi che concorrono alla complessità ma non sovrastano mai il frutto. La 2012 è un’annata molto espressiva, una delle prime a far capire che nel clima qualcosa è cambiato. Anche appena stappata è già dinamica, pronta. Al gusto è fine e carezzevole, cremoso, equilibrato, salato, fresco. Aromi di mare, di ostrica, di frutto giallo, note calde in una lunghezza che parte e sembra non voler finire mai. È un vino che regge il tempo e che, se si riesce, va aspettato per esprimersi in tutta la sua matericità e grandezza, racconta Roberto che in una degustazione alla cieca con Giulio Ferrari e Dom Pérignon, le annate giovani hanno premiato il Dom Pérignon, quelle più in là con gli anni hanno visto svettare Giulio.
Il Trentodoc rosé
In una fase iniziale il Rosé era un prodotto curioso nella gamma dei Trentodoc, poco codificato tendeva a proporre vini molto diversi tra loro per colore e caratteristiche, quasi mancasse un'identità forte. Anni dopo, tra il 2015-2017 si può dire con orgoglio che l’identità è stata trovata, così come la sua interpretazione coerente con il territorio. Il primo Rosé in Trentino nasce nel 1982, quando Mauro Lunelli si sposa. Prodotti generalmente sempre con una leggera macerazione, i Rosé trentini in passato erano molto dosati e spesso zuccherosi - si estraeva una ricchezza fenolica che veniva pareggiata con un dosaggio importante -, oggi c’è grande controllo, sia per il miglioramento tecnologico, grazie a presse più delicate e rispettose nella spremitura sia per la direzione scelta: si preferisce la presenza di una delicata sensazione fenolica che permette di fare del Rosé un interessante e ampio uso gastronomico, anche con piatti importanti vista la ricchezza aromatica che riesce a esaltare e non coprire alcuni tratti, ad esempio, della selvaggina. Di recente è stata inserita nel disciplinare la categoria Rosé Riserva.
Trentodoc Monsieur Martis Rosé 2018 - Maso Martis
100% pinot meunier, altitudine 450 m s.l.m., terreno fluvioglaciale sciolto da decomposizione di rocce porfiriche e sabbiose, affinamento in acciaio, 48 mesi sui lieviti, malolattica parzialmente svolta. Un’azienda, Maso Martis, che crede nel meunier, questa in degustazione è la quinta vendemmia prodotta e di recente il vigneto è stato ampliato di un ettaro, è al momento l’unico meunier in purezza tra i Trentodoc, se ne consiglia l’assaggio a qualche anno di distanza dalla sboccatura. Il meunier è un vitigno che germoglia tardi e matura presto, molto sensibile al marciume, ha una buccia delicatissima che cede meno colore rispetto al pinot nero e dona sfumature ramate nel calice. In tutto il Trentino ce ne sono circa tre ettari.
Magnifico il colore oro rosa, prezioso e suggestivo, porta quasi i segni di una delicata ossidazione, riflessi ramati, bollicina di media finezza. Il naso fin da subito è agrumato di bergamotto e mandarino, poi violetta e iris, finocchietto e anice, sbuffi di cotognata, braci di rosmarino, tocchi di pesca, sensazioni appena accennate di pasticceria. Il palato ha una splendida intensità fruttata, rafforza l'idea della buccia dell’agrume con un finale appena amarognolo. È un vino che gioca più sull’intensità che sulla persistenza - forse perché è ancora giovane. Fresco, rugginoso, molto particolare, ma decisamente apprezzato in sala.
Trentodoc Rosé Riserva Extra Brut Cavaliere Nero 2017 - Revì
100% pinot nero, altitudine 600 m s.l.m., terreno di argilla calcarea, affinamento in acciaio, 80 mesi sui lieviti, malolattica non svolta. La famiglia Malfer ha il primato della bollicina non dosata in Trentino, negli anni ‘80.
Bollicine sottili che impreziosiscono una colorazione delicata, rosa tenue con sfumature salmone. Ouverture di frutti di bosco, ribes rosso, melagrana, ibisco, poi arrivano note di panificazione, pane ai semi di finocchio, tocchi di cipria, l’agrume, la negritella. Si tratta di un profilo olfattivo ricco e sfaccettato, che non manca di eleganza. Curiosi di approcciarci al palato ne apprezziamo la larghezza, l’equilibrio, la carezzevolezza. La trama della bocca è sorprendente, morbida ma fresca in deglutizione. Tornano aromi di negritella e spezie d’Oriente, liquirizia in bastoncino, rabarbaro. Notevole la persistenza.