Prontuario minimo sul Trentodoc. Le zone e i vitigni della bollicina di montagna

AIS Monza dedica due intense e bellissime serate di approfondimento al Trentodoc con Roberto Anesi, ambasciatore del Metodo Classico trentino e Miglior Sommelier d'Italia 2017: un viaggio tra territori, tendenze, stili e vitigni, con 22 assaggi d'eccezione. Prima parte.

Sara Passerini

Le zone del Trentodoc

Valle di Cembra - l’identità verticale e incisiva del vino

La Valle di Cembra è un territorio fortemente identitario e dalle decise connotazioni alpine, spartisce poco con il resto della regione, è una valle tributaria, che raccoglie i venti freddi delle Valli di Fassa e Fiemme di cui è una sorta di prosecuzione. È una valle stretta e raccolta dove questi venti portano escursioni termiche sensibili. È un territorio che imprime l’impronta sui suoi vini, a partire dal colore tenue.

Si compone di tre microzone, la parte più alta che guarda verso Cavalese, alluvionale e non produttiva; la parte centrale contraddistinta da terreno porfirico, scosceso e ripido, con forti pendenze. Il porfido della Valle di Cembra fa parte della piattaforma porfirica atesina, una formazione che si estende per oltre 8000 km², nonché uno dei più grandi sistemi vulcanici fossili in Europa, nata da una serie di eventi vulcanici estesi e prolungati che si sono verificati nell'arco di milioni di anni durante il Permiano. Infine la terza parte, che guarda verso la piana dell’Adige, un terreno caratterizzato da una forte presenza di gessi. 

La Valle di Cembra, un po’ come tutto il Trentino, è contraddistinta da una grande frammentazione della proprietà. L’unico versante vitato è quello della destra orografica dell’Avisio, è interamente terrazzata, e tra 700 ettari vitati - a un’altitudine che va dai 400 ai 900 m s.l.m. troviamo la coltivazione di müller thurgau, riesling e vitigni semi aromatici, ma anche chardonnay e pinot nero. Negli ultimi anni lo chardonnay ha superato la quota produttiva del müller, diventando la varietà più importante. Questo testimonia come è cresciuta la reputazione della Valle di Cembra all’interno della produzione di Trentodoc. 

Trentodoc Salisà Zero Millesimato 2018 - Villa Corniole

100% chardonnay, altitudini tra i 500 e i 600 m s.l.m., terreno calcareo marnoso, affinamento 85% acciaio, 15% barrique, 44 mesi sui lieviti, malolattica parziale per la percentuale affinata in legno.

Ha il colore tipico della Valle di Cembra: un paglierino delicatissimo, con leggere sfumature tese al verdolino. Le bollicine sono sottili e risalgono lente. L’olfatto spinge in freschezza fin dal principio, profumi agrumati di pompelmo e di cedro, note di lemongrass, poi il ricordo dei prati in estate, qualche sfumatura di burro salato, cenni di radice di zenzero. Il palato rimane raccolto, è teso, vibrante e salino, nel finale, in retrolfattivo, suggestioni che rimandano all’arachide.

Roberto AnesiTrentodoc Nature Riserva 2013 - Opera 

100% chardonnay, altitudini a 600 m s.l.m., terreno porfirico, affinamento in acciaio, 72 mesi sui lieviti (dovuti soprattutto a un cambio di gestione), malolattica non svolta.

D’aspetto gioioso, giallo limone, acceso e scintillante; la bollicina è di media dimensione, lenta a risalire. Il naso riprende l’aspetto e si tinge di giallo, la scorza del pompelmo, ananas maturo, la susina bianca, il fiore di tarassaco, poi note speziate di zenzero candito e una base di panificazione, quasi pasticceria da forno. Al palato è decisamente cremoso, avvolgente e rotondo - una morbidezza dettata dall’autolisi, ha ritmo e una splendida acidità. La chiosa rimanda alle resine.

Valle dei Laghi - un assaggio di mediterraneo nel clima alpino

La Valle dei Laghi è la zona più a sud della regione, ha caratteristiche che si potrebbero definire “mediterranee”, vengono coltivati limoni e ulivi, per certi versi si può affermare che ci sono le condizioni per una viticoltura mediterranea all’interno di in un clima alpino perché, nonostante il caldo e il sole, la presenza delle montagne si fa sentire: alle spalle della Valle dei Laghi ci sono le cime del Brenta e le montagne di Madonna di Campiglio. Montagne che la sera spingono il Pelèr, il vento freddo, verso il lago; un vento che porta escursioni termiche notevoli. L’influenza del lago di Garda mitiga un po’ gli estremi sia in inverno che in estate, le altitudini della viticoltura sono più basse (nonostante in alcune aree sui 600 m si stiano facendo prove con il pinot nero), le esposizioni sono ottime con un buon arco di ore di sole, i terreni sono soprattutto marnosi e alluvionali nella parti più basse. 

Trentodoc Riserva Erminia Segalla Extra Brut 2016 - Pisoni 

100% chardonnay, altitudini tra i 350 e i 550 m s.l.m., terreno calcareo, affinamento in acciaio, 84 mesi sui lieviti, malolattica non svolta.

Un giallo pieno - l’insolazione nella Valle dei laghi è ottima, è il territorio dell’ampiezza - che arriva fino al bordo, bolla finissima, elegante nell’incedere. Il vino gioca sul tempo speso sui lieviti, ci aspettiamo tanto, e dà ancora di più: naso caldo, mele in cottura, pasta frolla, spezie dolci e ricordi appena accennati di cannella che con l’aprirsi si trasformano quasi in sussurri di zafferano. Un bouquet di fiori gialli: ginestre, tiglio, tarassaco; mieli balsamici, eucalipto. Colpisce la suadenza dell’olfatto. Rotondo al gusto, morbido, denso, cremoso, scioglievole quasi; con retro-aromi di frolla e frutta matura.

Vallagarina

Territorio importante, con terreni particolari: basaltici, vulcanici e calcarei. Le quote sono medie, dai 350 ai 500 m s.l.m., la zona ha una decisa influenza dell’Òra del Garda, vento caldo che spira ogni mattina dal lago e aiuta notevolmente nella sanità e nella maturazione delle uve. Storicamente è una zona importante, è proprio qui che si ritrovano alcuni degli attori che investono nella bollicina, come Leonello Letrari, un signore che negli anni Sessanta crea “Equipe 5”, con Giuseppe Andreaus, Ferdinando Tonon, Pietro Turra e Riccardo Zanetti, tutti enologi, una bollicina che a lungo, in Trentino, ha duellato con Ferrari. Con il tempo i soci hanno abbandonato il progetto e Leonello ha ceduto il marchio a un’azienda veneta; nel ‘76 ha fondato Letrari. Leonello è anche colui che ha creato il bordolese trentino, con le etichette Fojaneghe e Castel San Michele. Roberto Anesi a questo punto si fa portavoce di un racconto che esplicita il mutamento del gusto avvenuto nel territorio e nella società da allora a tempi recenti: «Quando i tedeschi, a fine vacanza, lasciavano il lago di Garda per tornare in Germania si fermavano nelle cantine a riempire il bagagliaio di vini rossi, in quell'occasione i vignaioli spesso regalavano qualche bottiglia di bollicine per far conoscere la produzione; oggi al contrario il consumatore cerca principalmente il vino spumante».

Trentodoc Dosaggio zero 2019 - Cantina Isera

100% chardonnay, altitudini di 5-600 m s.l.m., terreno con residuo vulcanico, fluviale e glaciale, affinamento in acciaio e botte, 40 mesi sui lieviti, malolattica parzialmente svolta.

Ci aspetteremmo un vino con una trama cromatica più ricca, ma a parte la cromia che si differenzia un po’ dalla tipicità della zona, per il resto ne è un vino emblematico, il naso si apre sulfureo, con suggestioni di cerino spento e zolfo, poi arriva il frutto a polpa gialla e bianca, una macedonia di mela e pera, una pasticceria dolce con ricordi di pasta frolla o krapfen, cenni di pasta di mandorle. Una parte floreale e balsamica conduce al sorso, che si rivela fine e cremoso, rifinito e ben integrato, il palato è un po’ rigido nella parte finale, teso, sapido.

Trentodoc Dosaggio zero Riserva 2017 - Letrari 

60% chardonnay, 40 % pinot nero, altitudini di 400 m s.l.m., terreno calcareo, affinamento 95% in acciaio e 5% in tonneau di rovere, 60 mesi sui lieviti.

Splendida tonalità calda sui toni del giallo paglierino con evidenti spinte dorate, fini risalgono le numerose bollicine accompagnando un profumo sulfureo che si tramuta presto in pasticceria da forno, in creme e frolle, in allusioni di frutta esotica, cenni di agrumi, liquirizia, finocchietto e di nuovo la dolcezza della crema pasticciera. Palato stratificato come il naso, entra ampio, ha volume e ricchezza, pienezza dapprima, per poi farsi fresco e sapido, di un vigore interessantissimo.

Valsugana

Territorio di piccole dimensioni che un centinaio d'anni fa era completamente vitato e contava una grande tradizione produttiva fino a quando, all’inizio degli anni 50 sono giunte le industrie che hanno tolto energie e forza lavoro all’agricoltura. È dopo il 2000 che i giovani, stufi delle fabbriche ceramiche e tessili, si riavvicinano al mondo dell’allevamento e dell’agricoltura. Si tratta di un altipiano contraddistinto da un terreno molto fertile, produce vini molto profumati ma di struttura fugace, vini netti e chiari ma poco complessi. Solo quattro produttori fanno vino spumante in questa zona: Cenci, Terre del Lagorai, Romanese e Michele Sartori.

Trentodoc Brut 2018 - Cenci
100% chardonnay, altitudini di 400 m s.l.m., terreno calcareo e sassoso, affinamento in acciaio e barrique, 30 mesi sui lieviti, malolattica svolta.

Tonalità paglierino, naso che porta a fiori bianchi e gialli, un tocco agrumato, ananas fresco, una leggera nota di panificazione e una tenue sfumatura tostata. Al palato è essenziale, di facile beva, immediato. È un ottimo esempio di Trentodoc della Valsugana, un vino che gioca sull’impatto iniziale piuttosto che sulla lunghezza.

Valle dell'Adige e Piana Rotaliana
Due territori attigui, con molte similitudini climatiche ed enologiche. È una zona molto vitata, con la maggior accessibilità della vigna alla cantina; i vigneti sono tendenzialmente prossimi ai paesi, i terreni sono calcarei e dolomitici, con scheletri magri e drenanti in quota e alluvionali e limosi in basso (terreno questo, dedicato al teroldego e non alle bollicine). Due sottozone particolarmente interessanti sono le Colline di Martignano, sopra Trento, contraddistinte da terreni magri con una buona dotazione di limo, tante ore di luce ma poche di sole, qui i vini hanno grande freschezza ed è un terreno ottimale per il pinot nero. L’altra zona interessante è quella del conoide di Faedo, un conoide di deiezione originato dal disgregamento della montagna, è una zona con detriti alluvionali e morenici che porta ad avere una superficie ampia, ben esposta e con un’insolazione evidente e con correnti fredde serali.

Trentodoc Methius Riserva 2015 - Dorigati
60% chardonnay e 40% pinot nero, altitudini di 600 m s.l.m., terreno argilloso ghiaioso, affinamento in acciaio e legno, 60 mesi sui lieviti, malolattica svolta per il 30% dello chardonnay.

Va bevuto possibilmente lontano dalla sboccatura per poterlo apprezzare al meglio, cromaticamente invitante, colore dorato, luminoso, acceso. Bollicine piccole e lente a risalire. Naso dall'apertura vanigliata, con in primo piano sensazioni di pasticceria, crema di pinoli, note dolci, mela, liquirizia. Poi arriva il frutto esotico, chutney di ananas, un bouquet di fiori gialli tra i quali spicca il tarassaco. Spezie dolci, cannella e pepe bianco. Raffinato e complesso l’approccio olfattivo, al palato è tondo, morbido, con una bollicina integrata e un ritorno fresco che alleggerisce un gusto altrimenti statico. Piacevolissimo il finale nella sua dinamicità agrumata, è una chiosa tonica e sapida, vivace.

Trentodoc Riserva Graal 2017 - Altemasi 

70% chardonnay e 30% pinot nero, altitudini di 5-600 m s.l.m., terreno vulcanico e glaciale, affinamento in acciaio e barrique, 70 mesi sui lieviti, malolattica svolta per il 20% (la parte che fa legno).

D’aspetto deciso, un oro pieno e luminoso. Incipit di mela al forno e cannella, note di pepe, una balsamicità di miele all’eucalipto, di propoli. Sorprende la maturità del frutto e l’uso equilibrato del legno. Suggestioni di cedro candito accompagnano all'assaggio, che è equilibrato ed elegante, la bocca è matura e accentua i toni speziati, lascia una trama di burro d’arachidi. Questo vino, così come i Trentodoc che hanno trascorso lunghi periodi sui lieviti, richiede un calice da degustazione ampio, una temperatura leggermente superiore e ha bisogno di un po’ di tempo, nel calice, per stabilizzarsi e raccontarci la sua storia. La chiusura è di zabaione e aromi fumé.

Trentodoc Madame Martis 2015 - Maso Martis 

70% chardonnay, 25% pinot nero e 5% meunier, altitudini di 450 m s.l.m., terreno calcareo, dalla tessitura ricca su roccia rossa del Trentino, affinamento in barrique per lo chardonnay e acciaio per gli altri vitigni, 108 mesi sui lieviti.

Cromia delicata ma molto vivida. Profilo odoroso balsamico e fumé: legni, braci, una suggestione d’idrocarburo, poi arriva il frutto maturo e polpa gialla, l’agrume candito, anzi, gli agrumi canditi, rimandi esotici di ananas e la spezia. Il naso esprime ancora gioventù nonostante il lunghissimo affinamento, c’è una tensione viva e intrigante. Sorso intenso e preciso che richiama il naso. Potente il gusto, equilibrato, fresco, con ritorni affumicati ben bilanciati da una presenza zuccherina non percepibile ma presente.

I vitigni del Trentodoc

Chardonnay

Secondo il disciplinare sono quattro i vitigni consentiti nella produzione di Trentodoc: chardonnay, pinot nero, pinot bianco e meunier; il principe tra questi è senza dubbio lo chardonnay: l’identità della bollicina trentina.

Viene coltivato con un’intensità di impianto tra i 4500-5500 ceppi per ettaro, per il suo benessere è importante che non ci sia troppa competizione tra le viti, sulla pianta inoltre si tende a mantenere una parte importante di verde, lo si avvolge anziché toglierlo.

Lo chardonnay è ubiquitario, trova condizione per esprimersi bene un po’ dappertutto purché non siano terreni troppo fertili, in questo caso fatica a dare il meglio.

I periodi di vendemmia sono molto diversi tra loro, curiosamente si comincia con lo chardonnay e si finisce con lo chardonnay: a seconda di altitudini e zona si comincia prima con lo chardonnay a quote basse, poi i rossi e altri vitigni infine di nuovo lo chardonnay a quote alte - arrivando tranquillamente a fine settembre.

Per quanto riguarda le selezioni clonali, in Trentino si fa vino per Metodo Classico usando cloni per vino bianco selezionati nel tempo dall’Istituto San Michele all'Adige. Sono state fatte prove con cloni da champagne ma si è visto che vanno in crisi se portati in quota e hanno problemi a portare a maturità il frutto. Nelle selezioni clonali si sono privilegiate viti che resistono bene ad alte altitudini, nel tempo le selezioni si sono affinate tanto che, si può dire che i vitigni scelti sono arrivati alla terza generazione fino a una selezione di chardonnay che si può ormai definire, paradossalmente autoctona in questo ambiente di montagna.

Trentodoc Brut Nature 2018 - Dolomis
100% chardonnay, altitudine 350 m s.l.m. - Dosso di San Rocco, in località Casteller nella città di Trento, terreno dolomia calcarea, affinamento in acciaio, 48 mesi sui lieviti.

Brillante e vivo nel calice, bollicine sottili e veloci nell’incedere incessante. Apertura curiosa all’olfatto, un sentore che potrebbe quasi richiamare il legno - che però in fase produttiva non c’è - ma che ci porta verso direzioni lattiche e burrose. Poi subentra l’albicocca, resine balsamiche e cenni di rosmarino. Torna il profumo di crema alla vaniglia e di mandorla tostata. La bocca è bella rotonda, l’effervescenza pizzica con piacere, la salivazione suggerisce sapidità. Nel complesso non ha troppo slancio ma ha un deciso sapore, è incisivo.

Trentodoc Le Grile Nature Riserva 2018 - Marco Tonini 

100% chardonnay, altitudine 550 m s.l.m., terreno calcareo, affinamento in acciaio, 60 mesi sui lieviti. Tonini è tra quella manciata di produttori che producono anche pinot bianco. Il pinot bianco trova luogo soprattutto nel fondo valle e questo lo penalizza nell’uso per le bollicine, solo pochi produttori lo usano nella produzione di Trentodoc nonostante sia ammesso da disciplinare. Solitamente chi lo usa in blend lo fa per ragioni specifiche legate al proprio vino: una buona esposizione, una parcella che dà buona acidità e così via.

D’aspetto simpatico e vivace, il naso è gessoso fin dall’esordio, sprigiona note di erbe officinali, gesso bagnato, sensazioni vegetali di fieno e di propoli, poi suggerisce l’acidità del kiwi. Ha un’intensità che si fa notare, ma un’attrattiva insolita. L’impalcatura gustativa è quella di un autentico Chardonnay di montagna, ha una sua maturità aromatica, asciuga molto il palato nel finale e non spicca per ampiezza, ha però una sua cremosità e un’eleganza calcarea che ne sottolinea l’acidità.


Trentodoc Riserva Lunelli Extra Brut 2015 - Ferrari

100% chardonnay, altitudine 500 m s.l.m., terreno sciolto, non molto profondo con residui vulcanici e glaciali, affinamento in acciaio e in grandi botti di rovere austriaco per 10 mesi, 69 mesi sui lieviti, malolattica svolta.

La 2015 è una grande annata e ci approcciamo al calice con l’acquolina in bocca. Osservandone l’aspetto lo spumante si rivela di un giallo molto intenso con bollicine finissime, il profilo olfattivo è un must, scherziamo riconoscendolo come “naso Ferrari”, quel misto di alga marina, iodio e ricordi di onde, poi tostature, accenni di caffè, frutta esotica, chutney di ananas e papaya. Una nota fumé, quasi di brace spenta, e poi sbuffi orientaleggianti di curcuma. Al palato è dirompente, ha energia da vendere, una rotondità d’ingresso che si trasforma in sale, nel finale aromi di frutta matura ed esotica, torna l'ananas. Il vino ha materia e concentrazione ma al palato sembra alleggerirsi, ha grande forza ma non la mette in mostra, piuttosto ci parla di sprint, di leggerezza.

Pinot Nero
Il Trentodoc è strettamente legato allo chardonnay, che ne è il vitigno principale, in qualche caso però è capace di sorprendere con le produzioni a base pinot nero. Il pinot nero è un vitigno difficile e per dare il meglio ha bisogno di determinate condizioni, non ama il ristagno d’aria e vuole il vento, gli piace il sole ma non le lunghe insolazioni perché ha la buccia delicata. In Trentino non è mai stato davvero considerato, è dalla fine degli anni ‘90 che se ne studia la produzione per il Trentodoc. Al momento viene piantato a quote medio alte, dai 500 m in su, per questo è stato complesso individuare zone adatte alla sua crescita ottimale, i primi vigneti sono stati messi a dimora negli anni '80 con cloni francesi, fu un fallimento totale, la quota, per quei cloni, era troppo impegnativa. Successivamente l'Istituto San Michele compie una ricerca completa dei cloni anche per il pinot nero e da lì si comincia ad avere qualche risultato. Il primo Blanc de Noirs prodotto in Trentino è il Perlé Nero del 2002, di Ferrari, uscito sul mercato alla fine del 2008, da quel momento sono nate svariate etichette, ma la tendenza è recente e i luoghi ideali sono difficili da trovare.

La degustazione dei Blanc de Noirs è particolare e suggestiva, tre rappresentazioni molto diverse tra loro dello stesso vitigno, sono poco convenzionali i pinot neri di montagna ed è una meraviglia scoprirli insieme.

Trentodoc Blanc de Noirs 2020 - Altemasi
100% pinot nero, altitudine oltre i 500-600 m s.l.m., terreni vulcanici e glaciali, affinamento in acciaio, 30 mesi sui lieviti, malolattica svolta.

Tenue paglierino nel calice, nessuna incursione ramata, nessun indizio che si tratti di pinot nero se non una certa tonalità fredda del colore. Esordio di ribes nero e di uva spina, poi un piacevole susseguirsi di cedro candito, gelatina di lampone, panificazione da forno, tracce gessose di pietra umida. Al palato c’è struttura e ricchezza aromatica, media la lunghezza, forse è giovane e fresco di sboccatura, ha bisogno di qualche anno ancora.

Trentodoc Blauen Extra Brut Blanc de Noirs 2017 - Moser 

100% pinot nero, altitudine 350 m s.l.m., terreno prevalentemente calcareo con Dolomia, affinamento in acciaio, 72 mesi sui lieviti, malolattica non svolta.

La zona è quella della Valle di Cembra, che con le dovute esposizioni e una buona altitudine è culla interessante per piccole produzioni di pinot nero. D’aspetto giallo paglierino e profumi fruttati al principio, è un profilo olfattivo caldo, di frutto maturo, con una parte floreale che unita alla balsamicità esalta una ricchezza piacevole. Una suggestione mielata si accompagna a cenni di tisana alle erbe. Il gusto è superiore alla semplicità del naso. Possiede una ragguardevole freschezza, una lunghezza inaspettata, un retrogusto con la dolcezza del fiore di camomilla e una bollicina perfettamente integrata.

Trentodoc Domini Nero 2017 - Abate nero 

100% pinot nero, altitudine 350-500 m s.l.m., terreno calcareo, affinamento in acciaio, 60 mesi sui lieviti.

Proveniente dalla zona di Lavis, con un residuo zuccherino pari a 6,5 g/l, leggermente superiore rispetto alla media. Si presenta con una tipica tonalità da pinot nero, una colorazione che rimanda a cenni d’ossidazione, con bagliori diretti alla luminosità del rame, è un bel colore, invitante. Al naso i primi sentori sono di frutta candita e panettone, poi tisane alle erbe alpine, scorza di pompelmo. Un naso equilibrato e piacevolissimo, netto e identitario. Davvero molto espressivo il gusto, rimanda a note di panettone e pandoro, di un frutto maturo e con ricordi di frutta rossa in chiusura. Anche tattilmente la bocca è cremosa e lascia il palato deterso.

Seconda parte: "Prontuario minimo sul Trentodoc. Dagli albori al giorno d'oggi, come è cambiato lo stile produttivo".