Il Moscato di Scanzo

Il Moscato di Scanzo

Degustando
di Riccardo Modesti
13 dicembre 2007

Una piccola denominazione per un vino dolce sicuramente interessante.
In previsione un aumento della produzione per arrivare alle 100.000 bottiglie.

Molti ne hanno sentito parlare, ma ad averlo assaggiato sono purtroppo ancora troppo pochi. E’ il Moscato di Scanzo, o più semplicemente Scanzo, vino rosso passito ottenuto dalla pigiatura di sole uve moscato di Scanzo allevate, appassite, vinificate, affinate e imbottigliate esclusivamente nel comune di Scanzorosciate, a un tiro di schioppo da Bergamo. Si tratta di una delle denominazioni di origine più piccole sul territorio nazionale.

E’ un vino dalla storia antica, prodotto in un territorio in cui il legame con la vitivinicoltura è sempre stato molto forte: tuttavia la rinascita del Moscato di Scanzo è un fatto decisamente recente, una storia che si intreccia con quella del suo “alter ego”, prodotto dallo stesso vitigno all’interno della denominazione Valcalepio come tipologia Moscato Passito. Si tratta anche e soprattutto della storia della difesa di un terroir originale, cinto d’assedio dall’urbanizzazione e dai capannoni, nel quale operano realtà - sono una trentina le aziende aderenti al Consorzio di tutela - diverse tra loro per obiettivi, dimensioni e prestigio.

Non si può parlare di Moscato di Scanzo senza parlare di “sas de luna”, la dura pietra calcarea che costituisce lo zoccolo del Monte Bastia lungo i cui ripidi pendii del versante meridionale il vitigno viene allevato da tempo immemorabile: inoltre, la scarsa dotazione del sottile strato di suolo che ricopre la roccia limita la vigoria della pianta, facendo sì che essa concentri nella poca uva prodotta le sostanze aromatiche destinate poi a esplodere nel bicchiere. Il moscato di Scanzo presenta una buona resistenza alle tipiche avversità della vite quali oidio e peronospora mentre il grappolo, tendenzialmente spargolo, è meno facilmente attaccabile dalla botrite: è tuttavia molto sensibile ai ritorni di freddo primaverili. Le forme d’allevamento presenti nel territorio sono eterogenee e riflettono l’età dei vigneti: si trovano infatti sia le tradizionali pergole bergamasche, con sesti di impianto piuttosto larghi, che i filari, più recenti e piantati con adeguata fittezza.

La produzione di Moscato di Scanzo è costituita attualmente da circa 50.000 bottiglie ottenute da una superficie iscritta alla denominazione di una trentina di ettari, tutti siti nella zona collinare di Scanzorosciate.

Con l’entrata in produzione di una decina di ettari recentemente messi a dimora - che non sarà immediata, visto che ci vogliono almeno alcune vendemmie prima di avere un’uva

con le caratteristiche idonee - si potrà arrivare fino a 100.000 bottiglie. Si tratta comunque di una quantità destinata a non aumentare oltre, non solo perchè i terreni inclusi dal disciplinare sono una risorsa limitata e ormai in esaurimento, ma anche per evitare di saturare questa piccola nicchia di mercato in un mercato, quello dei passiti, presidiato da moltissime nicchie.

Comunque sia, se il Moscato di Scanzo viene lavorato con la giusta attenzione è in grado di sprigionare una miscellanea di sensazioni olfattive e gusto-olfattive che difficilmente si dimenticano. La progressione aromatica nel bicchiere, poi, riesce a essere veramente

sorprendente e tale che, nell’arco di alcuni minuti, il vino diventi sempre più affascinante e coinvolgente. Il disciplinare di produzione della denominazione Moscato di Scanzo

prevede rese in pianta fino a 70 q/ha, un periodo di appassimento minimo delle uve di 21 giorni con una resa massima in vino del 30% e un periodo di affinamento minimo di 24 mesi che deve avvenire in contenitori di materiale diverso dal legno. Anche se la Doc è stata riconosciuta nel 2002, la nascita del Consorzio tutela Moscato di Scanzo risale a nove anni prima, “sulle ceneri” della preesistente Associazione Produttori del Moscato di Scanzo: nel frattempo il consorzio ha anche ottenuto i poteri di vigilanza e di controllo nonché avviato l’iter per il riconoscimento della Docg, ormai in dirittura d’arrivo. Tutto questo è quanto è emerso durante un pomeriggio di studio in cui il consorzio ha ospitato sul territorio un gruppo di degustatori ufficiali lombardi, con l’obiettivo di illustrarne le peculiarità: hanno partecipato, oltre a chi vi scrive, i sommelier professionisti Beppe Biggica, Stefano Botturi, Daniela Guaragni, Nicola Nebbia e Alberto Zanoli, coordinati da Davide Bonassi.

L’incontro ha compreso la visita ad alcune realtà produttive - La Brugherata, Biava, La Berlendesa e Savoldi - e una degustazione con scambio di impressioni sulla giornata

in compagnia dei rappresentanti di dette aziende, rispettivamente Frida tironi, Manuele Biava, Mario Pina e Marcello Savoldi: a essi si sono aggiunti il titolare dell’azienda Ronco della Fola, Sergio Maiorana, l’enologo di La Brugherata, Beppe Bassi, e il presidente

del Consorzio nonché patron di La Brugherata, Paolo Bendinelli.

La degustazione ha riguardato cinque vini, uno per ogni azienda e di annate comprese tra il 2001 e il 2004: difficile dunque fare confronti anche se la presenza di un filo conduttore si è comunque evidenziata, un fatto importante secondo Manuele Biava:

“Disporre di almeno cinque campioni piuttosto simili, quelli che abbiamo degustato oggi, è già un successo: non dobbiamo infatti dimenticare che fino a pochi anni fa il vitigno veniva

interpretato in modi molto diversi tra loro. Il territorio deve sicuramente crescere e molti vini devono migliorare: tuttavia ritengo che disponiamo di una buona base di partenza. Dobbiamo però evitare di fare il passo più lungo della gamba: il Moscato di Scanzo deve

infatti rimanere un vino di nicchia venduto a un prezzo che rispecchi tale

posizionamento”.

Paolo Bendinelli, presidente del Consorzio, ha invece svolto una riflessione in prospettiva: “Difficile dire se tra venti anni ci sarà ancora il Moscato di Scanzo: lo dico guardando alla struttura delle aziende del territorio, fatta per il 50% da coltivatori diretti, per il 25% da hobbisti e per il 25% da imprenditori. tenendo conto dell’incertezza del ricambio generazionale e dei costi elevati della viticoltura di collina c’è da stare poco allegri. C’è bisogno di un aiuto concreto da parte delle istituzioni per supportare il nostro lavoro”.



NOTE DI DEGUSTAZIONE



RONCO DELLA FOLA - ANNATA 2004

Rubino, consistente. Naso fine, vinoso, fruttato, floreale e speziato, in evidenza note di rosa, cannella, prugna e marasca. Abbastanza equilibrato e abbastanza armonico.



LA BERLENDESA - ANNATA 2003

Rubino, consistente. Naso fine, fruttato, floreale, speziato e balsamico, in evidenza note di rosa, cannella, prugna, marasca, pepe nero, sottobosco, eucalipto e menta. Equilibrato e armonico.



LA BRUGHERATA - ANNATA 2003

Rubino, consistente. Naso abbastanza fine, fruttato, speziato, floreale e balsamico, in evidenza note di sottobosco, agrumi, incenso, liquirizia, cioccolato. Equilibrato e abbastanza armonico.



BIAVA - ANNATA 2002

Rubino carico, consistente. Naso fine, fruttato, speziato, balsamico e floreale, in evidenza note di incenso, agrumi, sottobosco, anice, cioccolato, prugna, chiodo di garofano. Equilibrato e armonico.



SAVOLDI - ANNATA 2001

Rubino carico, consistente. Naso fine, fruttato, floreale, leggermente speziato e balsamico.

Abbastanza equilibrato e poco armonico.

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