Il Gaglioppo ed i suoi fratelli

Il Gaglioppo ed i suoi fratelli

Degustando
di Guido Montaldo
02 ottobre 2008

Una interessante ricerca a cura dell’azienda Librandi frutto del lavoro dei tecnici del CNR di Torino e San Michele all’Adige coordinati dal prof. Fregoni

“Le varietà autoctone coltivate nel territorio nazionale fanno parte di un insieme particolarmente numeroso, caratterizzato da una elevata biodiversità. Ogni zona vitivinicola possiede infatti, un proprio patrimonio ampelografico, che solo in pochi casi è stato adeguatamente valorizzato per la produzione di vini di grande prestigio. La maggior parte dei vitigni autoctoni, nel recente passato, è stata ritenuta poco adatta alla produzione di vini di qualità”.

E’ il pensiero di Donato Lanati, uno dei più importanti “guru” al mondo, in enologia,

come premessa al lavoro di valutazione analitica delle uve e dei vitigni autoctoni calabresi raccolti dall’azienda Librandi di Cirò in un recentissimo libro intitolato “Il gaglioppo e i suoi fratelli”.

Il volume conclude un periodo di ricerca vitivinicola iniziato nel 1993 dall’azienda Librandi, impiantando alcuni campi sperimentali con un elevato numero di vitigni calabresi raccolti su tutto il territorio regionale. Un lavoro importante di ricerca per il vigneto calabrese, perché in un futuro prossimo, darà la possibilità di disporre di ottimi cloni di vitigni tradizionali calabresi, con l’obiettivo di fare una qualità in grado di soddisfare i mercati internazionali.

“Il gaglioppo e i suoi fratelli” è frutto del lavoro di numerosi specialisti in campo vitivinicolo, svolto da un equipe di ricercatori del CNR di Torino e San Michele all’Adige, coordinati dal prof. Mario Fregoni, dell’Università cattolica di Piacenza.

“Il gaglioppo è il punto di partenza, - spiega Paolo Librandi - perché il più diffuso nella

nostra aerea di coltivazione. Ma per essere all’altezza dei mercati internazionali, oggi

dobbiamo disporre di vini della massima qualità e siccome il vino buono si fa in vigneto,

non possiamo utilizzare vitigni che conosciamo superficialmente. Per questo Librandi

ha intrapreso questa ricerca, iniziata da 15 anni e tutt’ora in corso, con l’ausilio e sotto

la guida scientifica di affermati studiosi”.

In primo luogo Librandi, con il supporto tecnico-scientifico dell’Istituto di virologia

vegetale del CNR (To) si è posto l’obiettivo di migliorare lo standard del materiale di

moltiplicazione dei principali vitigni calabresi: gaglioppo, magliocco dolce (arvino) e

pecorello.

La realtà attuale dei vigneti di Cirò sembra alquanto disarmante, “allo stato attuale delle nostre conoscenze – continua Paolo Librandi – e della nostra (in) disponibilità di materiale scientificamente selezionato, non esistendo materiale garantito, l’unica arma in nostro possesso è quella di girare tra le vigne prima della vendemmia e scegliere a spanne le piante madri in base le caratteristiche che ci interessano, pregando che le stesse non siano determinate da fattori legati al microsistema o peggio alle virosi da cui sono affette”.

Su questi vitigni è stato avviato un progetto molto articolato, che comprende rispettivamente l’analisi del Dna, un’accurata descrizione ampelografica, lo studio virologico, lo studio enologico. La situazione sanitaria però si presenta alquanto critica quando si prendono in considerazione vitigni tipici delle aree meridionali, come spiega Franco Mannini, dell’IVV, questo è il caso dei vitigni tradizionali calabresi, di cui non risulta attualmente iscritto nel Registro nazionale delle Varietà di vite nessun clone selezionato.

La mancata disponibilità di materiale di moltiplicazione migliorato in termini di attitudini colturali ed enologiche del gaglioppo, vitigno icona della viticoltura cirotana, è invece inaccettabile. Sono state effettuate ispezioni nei vecchi vigneti, sono stati selezionati grappoli di pezzatura contenuta, ridotta compattezza, colorazione intensa e ben distribuita, ecc.

Durante il riposo vegetativo le piante scelte sono state potate e campioni di legno

inviati al laboratorio dell’IVV di Grugliasco. I controlli sanitari hanno evidenziato uno stato virologico precario. Sono stati quindi posti in risanamento 7 cloni di gaglioppo, 1 di arvino, 1 di guarnaccia e 1 di Castiglione. Il materiale legnoso dei ceppi risultati esenti da virus è stato propagato su idoneo portinnesto al fine di costituire un vigneto di omologazione presso la Tenuta Rosaneti di Librandi.

Infine due cloni di magliocco, tra quelli confermatisi ideonei dal punto di vista

virologico, sono già presenti con un numero di piante atto a soddisfare quanto

richiesto dal protocollo di selezione (che ne prevede almeno 20) in un vigneto collezione.

Per il riordino del germoplasma viticolo della Calabria è invece prezioso lo studio

di Anna Schneider del CNR (To). Un percorso difficoltoso a causa dell’intreccio di sinonimi (vitigni identici denominati in modo diverso nelle diverse località) e di omonimi (vitigni differenti indicati con uno stesso nome), tale da rendere complicata l’identificazione dei vitigni stessi.

Il confronto tra alcune cultivar calabresi e vitigni di altre regioni italiane ha confermato

la loro corrispondenza portando quindi ad identificare quel vitigno coltivato in Calabria

come sinonimo di cultivar importanti altrove. Questo è il caso dello iuvarello calabrese

che corrisponde al bianco d’Alessano pugliese; della malvasia bianca che si identifica

con la malvasia del chianti; del greco di Bianco (o di Gerace) identico alla malvasia delle

Lipari; del sangiovese. Anche il nerello mascalese è rappresentato nei vecchi vigneti

della provincia di Reggio Calabria, denominato nerello o negrello.

Infine il magliocco dolce, con i numerosi sinonimi, quali arvino o lacrima, spiega come la coltivazione fosse un tempo e ancora oggi molto diffusa, anche se limitata a vecchi vigneti. L’esistenza nella regione di numerosi omonimi è stata forse una delle principali ragioni che hanno portato confusioni ampelografiche e ad errori.

Sembra che in Calabria i vitigni bianchi vengano chiamati tutti greco o mantonico e quelli a bacca nera magliocco, nerello e ancora greco e mantonico o montonico nero. Invece fino ad ora sono stati distinti ben 5 greco nero; i nerelli sono ben 7, di cui alcuni sono da identificarsi con il sangiovese, nerello mascalese, toccarino, grenache.

Ulteriore chiarezza, intrecciata con l’indagine ampelografica, si è ottenuta con le relazioni

genetiche stabilite con l’analisi del Dna, coordinata da Stella Grando, ricercatrice dell’Istituto S. Michele all’Adige.

Il profilo di marcatori molecolari ottenuti sono stati confrontati tra loro e con quelli

di una banca dati contenente le informazioni genotipiche di circa 2000 vitigni di

tutto il mondo.

L’indagine condotta nella collezione Librandi ha quindi permesso di stabilire quali accessioni sono verosimilmente attribuibili allo stesso vitigno e quali invece rappresentano esemplari unici di altre varietà.

Complessivamente nella collezione le 166 accessioni hanno prodotto 92 diversi genotipi molecolari. Dal confronto in banca dati, solo 1/3 di questi ha indicato delle possibili corrispondenze con varietà già caratterizzate con marcatori del DNA. E’ il caso ad esempio di 12 accessioni di varia provenienza, quasi sempre denominate Negrello o di un insieme di vitigni dai nomi più eterogenei come magliocco dolce, arvino, guarnaccia, marcigliana, lacrima christi, nera di Scilla e altri. Il raggruppamento delle 5 adesioni denominate corinto nera, negrello campotta, vigna del conte, nerello di savelli e puttanella è risultato corrispondente al sangiovese.

A tal proposito è interessante ricordare che uno dei tanti nomi attribuiti al sangiovese in toscana è calabrese. Nella collezione Librandi il confronto dei marcatori molecolari ha dimostrato che esistono 12 accessioni (il gruppo dei negrelli) con legami di parentela altrettanto stretti col sangiovese. Alcuni di questi vitigni, geneticamente vicini al

sangiovese, mostrano anche una curiosa, possibile parentela di primo grado, con il gaglioppo. Sarà interessante confermare queste prime evidenze con più estese analisi molecolari per arrivare a stabilire l’origine genetica e magari geografica del

gaglioppo.

“In definitiva – conclude Donato Lanati – Dopo questo prezioso lavoro di ricerca,

le conoscenze attuali consentono di costruire modelli di riferimento viticolo ed

enologico, estremamente utili ai fini della produzione di vini dotati di elevata qualità,

diversità e durata nel tempo. Queste conoscenze risultano determinanti per la vinificazione delle uve dei vitigni autoctoni italiani, la cui composizione risulta condizionata molto più di quanto avviene per gli internazionali, dalle variabili ambientali

e culturali”.



Le Metodologia e le tappe del percorso di ricerca intrapreso da Librandi



Librandi nasce come realtà moderna nel 1950, producendo solo vini base della tradizione: gaglioppo e greco bianco. Alla fine degli anni ’70, l’azienda progetta un Cirò riserva da offrire ai mercati di fascia superiore e all’ho.re.ca. Questo momento segna la nascita delle aspirazioni e il desiderio di puntare all’eccellenza produttiva. Negli anni ’80 l’attenzione si sposta sui vitigni internazionali, ma Dopo poco tempo torna a concentrarsi sui vitigni tradizionali calabresi. Nel ’93 nasce la prima vigna sperimentale dell’azienda, in cui vengono innestati magliocco, arvino, mantonico bianco e pecorello.

Nel ’97 Librandi acquista l’azienda Rosaneti, di 250 ettari circa. Nello stesso anno la conduzione tecnica della cantina viene affidata a Donato Lanati, contestualmente viene data in consegna anche il progetto di trasformazione dei vigneti.

Lanati da subito condivide l’idea di insistere con forza sugli autoctoni e vengono piantati nella nuova azienda magliocco, mantonico bianco, gaglioppo e greco bianco. Nascono così vini come il megonio (magliocco) e l’efeso (mantonico).

Nel 1999 si concretizza il primo campo sperimentale costituito da 2500 viti suddivise tra 25 varietà autoctone, sulle quali tuttora si sta conducendo un lavoro di confronto tra presunti cloni. Volendo approfondire ulteriormente la conoscenze relative alle varietà a bacca rossa coltivate sul territorio: gaglioppo, magliocco e arvino, prende forma il secondo campo sperimentale di 2.786 piante da seme, quindi anche franche di piede, creato nel 2001. Tutto il materiale collezionato è stato innestato a partire dal 2003, nel terzo campo sperimentale, un giardino varietale di 2800 viti, disposte a spirale, realizzato allo scopo di includere e studiare l’intera collezione di vitigni antichi raccolti.

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