Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop. L'Acetaia Picci

Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop. L'Acetaia Picci

Non solo vino
di Gabriella Grassullo e Ezio Gallesi
21 giugno 2012

Ha conquistato imperatori, principi e duchi: è una storia ricca di gusto, quella dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia. L'incontro con Marco Piccirilli, patron dell'Acetaia Picci

Acetaia PicciLa prima testimonianza scritta dell’aceto di Reggio Emilia, parente in linea retta con l’attuale balsamico tradizionale, è contenuta nel poema "Vita Mathildis", scritto dal monaco Donizone. Cita un fatto dell’anno 1046, quando Enrico III, imperatore di Germania, in viaggio verso Roma per l’incoronazione, fa tappa a Piacenza e scrive a Bonifacio, signore della Rocca di Canossa (vicino a Reggio Emilia) chiedendogli uno speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Secondo il resoconto del monaco, Bonifacio fece costruire una botticella in argento per contenere il prezioso nettare e gliela inviò su di un carro, il re “gradì assai quel magnifico dono”. All’epoca il castello di Canossa ospitava un formidabile tesoro di botti per la produzione di aceto balsamico. Durante il Rinascimento l’aceto balsamico comincia a fare la sua apparizione sulle tavole della nobiltà, in particolare su quella dei Duchi d’Este che lo usano come un elisir prezioso, ricco anche di proprietà benefiche; il nome stesso “balsamico” contiene in sé, infatti, il concetto di "medicamento portentoso". Ludovico Ariosto, nato a Reggio Emilia, lo cita nelle sue Satire. Avvicinandoci ai giorni nostri, gli elenchi dotali delle nobili famiglie reggiane dell’ottocento indicano che era una consuetudine diffusa arricchire la dote della nobildonna con batterie di botti di aceto balsamico. È considerato così prezioso che la batteria di botticelle con cui si producono l’aceto balsamico viene indicata nel testamento.

Marco PiccirilliSiamo a Cavriago in prossimità di Reggio Emilia per incontrare Marco Piccirilli, figlio di Quirino Raffaele, Presidente Regionale Ais dell’Emilia, dove sorge l’Acetaia Picci (che sta per Piccirilli), soprannome affibbiatogli al padre Raffaele appena arrivato in Emilia (è d’origine Abruzzese) dove tutto deve essere funzionale e veloce, “un nome troppo lungo rappresenta una perdita di tempo”. Marco inizia la visita portandoci nel piccolo vigneto di trebbiano e spergola, spiegandoci che nelle acetaie non esistono ricette di base e regole auree, ma ogni proprietario si affida alla propria capacità di “sentire l’aria, le uve”. Da “Picci” si seguono tutte le regole della tradizione, a cominciare dalla presenza del sottotetto che consente le necessarie escursioni termiche, sino alla disposizioni delle “batterie” composte da 5-6-8 barili di legno differenti e pregiati, tutti con particolari e indispensabili caratteristiche: il castagno, ad esempio, è carico di tannini e contribuirà al caratteristico colore scuro, il ciliegio ne addolcirà il sapore, il gelso lo concentrerà più velocemente, il ginepro lo aromatizzerà con le sue essenze resinose, mentre il rovere viene usato generalmente per le botticelle piccole, dove si pone l’aceto già maturo. La disposizione dei legni viene decisa da Picci in base al prodotto che si vuol ottenere.

Marco si occupa personalmente della produzione scegliendo le uve per il mosto, controlla che la spremitura sia soffice e leggera; presiede alla lenta cottura del mosto, cotto a fuoco diretto e a bassa temperatura (70° C) per oltre 50 ore; si occupa della delicata fase dell’avviamento delle botticelle, con la preparazioni dei barili e la messa in dimora del mosto cotto, con l’innesto di colonie di acetobatteri da lui selezionati, per la costituzione di nuove batterie e per i rincalzi di quelle più antiche, che risalgono sino a 80 anni.

Acetaia PicciNei primi dodici anni d’invecchiamento Picci governa la batteria mantenendo costanti i livelli dell’aceto nei barili (2/3 della loro capienza) rincalzando ogni barile con l’aceto di quello adiacente, considerando che in media ogni anno, dal 10% al 20% di aceto si perde per evaporazione acquosa. Dopo almeno dodici anni d’invecchiamento Marco inizia il prelievo annuale: 3 litri di aceto maturo (20% max del liquido contenuto nella botticella finale) da presentare al Consorzio per la verifica organolettica.

Il Consorzio, nato nel 1986, applica un disciplinare di produzione con l’intento di definire un metodo per garantire la qualità. Nel corso degli anni, ha inoltre adottato un marchio d’identificazione, ha creato una tipologia di bottiglietta in esclusiva ed ha istituito la classificazione, su tre livelli: “bollino aragosta”, “bollino argento”, “bollino d’oro” nel rispetto delle diverse caratteristiche organolettiche. Consente la citazione extra vecchio per il prodotto con invecchiamento non inferiore a 25 anni.

Finiamo la visita con la degustazione dei prodotti e un pranzo con menù scelto appositamente da Marco Picci per spiegarci l’utilizzo in cucina delle diverse tipologie d’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia. Da citare tra i vini in abbinamento “La Vigna ritrovata” vendemmia 2010 (spergola 100%) Tenuta di Aljano “vino bianco fermo da vendemmia posticipata”. Vino complesso e di grande solarità

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