Bordeaux, il fascino della rive gauche

Bordeaux, il fascino della rive gauche

Approfondimento Francia
di Ilaria Ranucci
13 ottobre 2022

Un percorso, guidati da Samuel Cogliati, tra sei cru classé della rive gauche, per ritrovare il grande potenziale e la impressionante varietà espressiva, tra terroir e annate, di una regione iconica.

Si parla troppo poco di Bordeaux, almeno in Italia, soprattutto alla luce del fatto che si tratta, per estensione, del primo territorio vitivinicolo di Francia, la capitale mondiale dell’economia del vino. Un territorio complicato, complesso, articolato, troppo poco raccontato, molto soggetto all’effetto millesimo e un passato con molte annate difficili.

Per percorrerlo nel poco tempo disponibile, oltre alla degustazione, ci siamo concentrati sulla Rive Gauche, la riva sinistra, visitando virtualmente sei châteaux da cinque denominazioni. In comune la profonda conoscenza dei produttori e dei vini, che ci ha trasmesso Samuel Cogliati, e la appartenenza di tutti i vini a un classement: per quattro vini, quello leggendario del 1855, che ha classificato i vini del Médoc e del Sauternais; per gli altri due, quello, maturato tra il 1953 e il 1959, del Graves. I vini proposti, cinque rossi e un bianco, provenivano da annate molto diverse fra loro, il che ci ha permesso, comunque, di ottenere un quadro molto variegato della regione.

Samuel CogliatiCon la consueta schiettezza che lo contraddistingue, Samuel ci ha subito informato che, a suo avviso, due dei vini non erano, purtroppo, in forma smagliante. Ma vediamo il bicchiere mezzo pieno! Ci aspettavano comunque quattro Bordeaux di peso che avrebbero compensato il dispiacere.

La partenza è stata da uno Château di grandissima storia, che porta il nome del papa che, a inizio ‘300, se lo fece intestare, Papa Clemente V. Dagli anni ’80, con l’ingresso del nuovo proprietario, Bernard Magret, è stato modernizzato e rilanciato e ad oggi è nel pieno della periferia di Bordeaux, con una superficie totale di 53 ettari. Il Pessac Léognan 2013 di Château Pape Clement ci ha accolto con un naso scuro, profondo, quasi ruspante. Tanta spezia, frutta, foglia. La bocca, mediamente matura, si è rivelata classicamente bordolese, non espansiva ma ben sorretta dal tannino, asciutta e perentoria nel finale.

Siamo poi passati al sud del Médoc e precisamente a Château La Lagune, proprietà celebre nell’800, ma che ha poi attraversato gravi traversie nella prima metà del ‘900. Anch’esso rilanciato, dal 2001 è proprietà della famiglia Frey, la stessa di Jaboulet. L’annata propostaci in degustazione, la 2009, è stata abbastanza calda, portandoci nel calice un vino ampio, largo, quasi mediterraneo. All’assaggio, prevedibilmente morbido e alcolico ma ben dosato e impeccabile nei tannini.

A seguire, non poteva mancarci Pauillac, perla del Médoc e territorio che ospita tre dei cinque premier cru classé della classificazione del 1855 (uno promosso nel 1973). A rappresentare Pauillac, Château Pichon-Longueville 2006, con un’annata di vini luminosi e raffinati. E in effetti il vino degustato era cremoso ed elegante, con un frutto profondo e succoso e una leggera nota di tabacco. Impeccabile nell’equilibrio e capace di digerire, senza lasciarne traccia, l’80% di barrique nuova.

Ci siamo poi spostati a Saint Julien, per la torrida e siccitosa annata 2003. Vino nel calice lo Château Gruaud Larose, un deuxieme cru classé con una storia travagliata: prima diviso e poi ricomposto. Al naso il vino è dolce, sereno, molto fine, con note di melone maturo e pasticceria. In bocca è succoso, ematico, balsamico, pieno nel gusto e con una lieve tostatura. Insomma, un perfetto rappresentante dello stile Saint Julien, che testimonia anche come si sia potuta gestire bene una annata sicuramente difficile.

I viniCon il quinto vino ci troviamo a Saint Estèphe, comune celebre per i vini longevi e a tratti rustici. Il produttore è Château Lafon-Rochet, un quatriéme cru classé quasi in rovina negli anni ’50. Passato di mano nel 1960 ha avuto un deciso rilancio. Ne abbiamo degustato l’annata 2000 che, contrariamente alla vituperata 2003, è stata forse un poco sopravvalutata. Il vino è notevole, ancora giovanile al naso, con sentori di frutta, liquirizia, tagliata di manzo, rosmarino. Nel complesso un naso intimo, fine e raccolto. Nelle parole di Samuel «un Saint Estèphe con profumo da Pauillac». La bocca è fitta, merlettata, magistrale. Nella chiusura leggermente asciugante rivela un potenziale evolutivo ancora ventennale.

Infine, un bianco, tra i più conosciuti. Siamo di nuovo nel Pessac-Léognan e la nave disegnata in etichetta rivela i fasti passati, un tempo la proprietà era di un ammiraglio. Parliamo di Château Malartiic-Lagraviére 1996, uno dei grandi bianchi secchi di Bordeaux. Questo vino (80% sauvignon blanc e 20% muscadet) ci regala un finale di degustazione con il botto. I profumi, profondi e complessi, spaziano dalla frutta candita, alla torrefazione, al burro. All’assaggio è pieno, solare, ricco, teso e croccante.